Romanzo Siciliano
Ciao Leonardo! Ci riassumeresti la tua densa biografia professionale in un pitch?
Da quindici anni, ormai, salto in modo disinvolto da un lato all’altro della legalità, prima Distretto di Polizia e RIS poi Romanzo Criminale – la serie e Il Clan dei Camorristi e poi tornato in forze ai Carabinieri con Romanzo Siciliano. Nel mentre, scrivo fumetti a tempo perso…
Passiamo ora a Romanzo Siciliano: com’è nata e di cosa parla la serie?
La serie, in un primo momento, nasce dalla volontà di Pietro Valsecchi di rilanciare il brand di RIS. L’idea era di spostare l’azione in Sicilia, di raccontare un modo nuovo di affrontare la mafia (ovvero con la scienza) e la serie per un po’ si è chiamata RIS: Sicilia Connection. Poi, col passare del tempo, ci siamo resi conto che la storia funzionava a prescindere dalla caratterizzazione scientifica della serie. Quindi è nata l’idea di renderla una serie nuova di zecca e non il secondo spin-off di RIS.
La serie narra le indagini che un gruppo di Carabinieri, capitanati dal Tenente Colonnello Sergio Spada (Fabrizio Bentivoglio), svolge attorno a un terribile fatto di sangue che scuote la città di Siracusa: una bomba fatta esplodere fuori da un liceo che fa ripiombare la Sicilia in pieno clima anni ’90 (le autobombe volute da Riina). Tutto questo mentre si sta celebrando il processo all’ex governatore della Sicilia per concorso esterno in associazione mafiosa. E in questo contesto, si staglia l’ombra minacciosa di un potente boss latitante, Salvo Buscemi, completamente diverso dai suoi predecessori… La domanda che si pone ai nostri eroi è: c’è veramente la Mafia dietro questo sanguinoso fatto di sangue e qual è il suo reale obiettivo? Le indagini svolte da Spada e dai suoi uomini porteranno alla scoperta di verità scottanti e inimmaginabili…
Qual è la domanda tematica che si pone la serie?
Aldilà del plot mafioso, la vera domanda tematica è: siamo sicuri di conoscere chi abbiamo accanto? Una domanda universale che riguarda sia i rapporti privati (amicizie, rapporti di coppia) che i rapporti di lavoro e che può essere declinata in molti modi. Noi abbiamo cercato di declinarla su tutti i personaggi, minando costantemente le loro sicurezze e i loro punti fermi. È una domanda attualissima, basta guardare ai recenti attentati parigini…
Quali sono, secondo te, i punti di forza della serie?
È una serie che cerca, almeno nelle intenzioni, di riprendere a piene mani la tradizione de La Piovra riattualizzandola al ventunesimo secolo. A cosa ispirarsi se non alla miglior serie sull’argomento? Ma la mafia, da allora, è cambiata e noi vogliamo raccontarla, senza fare documentari, in modo diverso dal solito. Il plot è pieno di colpi di scena. E i personaggi sono tutti interessanti e abbastanza moderni. Insomma: una bomba!
Cosa distingue Romanzo Siciliano dalle altre fiction crime?
Senza rinunciare alle spettacolarizzazioni tipiche della Taodue di Valsecchi, siamo ancora più attenti alla realtà e cerchiamo di raccontare un mondo, non una semplice indagine. Non voglio dire che Romanzo Siciliano racconta la Sicilia di oggi, ma cerca di raccontare un contesto andando oltre il puro genere.
Il gruppo di sceneggiatori, oltre che da te e Filippo Kalomenidìs, è formato anche da altri quattro autori (Paolo Marchesini, Giacomo Durzi, Andrea Nobile e Mizio Curcio). Com’è stato strutturato il lavoro?
Io e Filippo abbiamo scritto Bibbia e soggetti di puntata che son stati affidati agli sceneggiatori. Gli sceneggiatori han prodotto un trattamento e due versioni di sceneggiatura. Noi siamo intervenuti laddove produzione e network, esaurito il contratto, richiedevano ulteriori interventi.
Quanta libertà avete avuto nello scrivere? Avete avuto dei paletti dalla produzione e/o dal network? Se si, quali?
Nessun vero paletto. Devo dire che di nostro non ci siamo lanciati in nulla di ostico per la generalista. Sappiamo con chi dobbiamo lavorare e sappiamo adeguarci. Per assurdo gli aggiustamenti maggiori non sono avvenuti per censura ma per adattare la serie all’attore principale. Avevamo pensato un personaggio completamente diverso per Sergio Spada e lo abbiamo adattato a Bentivoglio. Aveva talmente amato la serie che non potevamo non accontentarlo, ma questo ha comportato diversi correttivi.
L’anima del personaggio resta la stessa ma la sua connotazione è fortemente modificata in funzione dell’attore.
Dall’idea al final draft, dalla produzione alla messa in onda: quali sono stati i tempi di realizzazione della serie?
Tempi abbastanza rapidi per la scrittura, considerando che la serie ha cambiato rotta strada facendo (da spin off di RIS a serie nuova di zecca). Abbiamo iniziato a febbraio 2013 e terminato intorno a marzo 2014. Le riprese son partite a giugno 2014 e son terminate entro l’anno. Poi c’è stata una lunga fase di post-produzione.
Nella tua carriera, hai scritto per Mediaset (Taodue) ma anche per Sky, essendo stato tra gli sceneggiatori delle due stagioni di Romanzo Criminale e della miniserie Il mostro di Firenze. Quali sono le maggiori differenze tra i due network?
Mainstream e tv satellitare han bisogno di numeri diversi. La tv generalista ha bisogno di un’audience molto più elevata della satellitare, da qui l’esigenza della generalista di avere un prodotto più largo. La satellitare, che è a pagamento, deve attirare un certo tipo di spettatore con prodotti più targettizzati, con un carattere più definito e forte. La scrittura, per questo, in un caso e nell’altro, è completamente diversa.
Se si volesse, invece, fare un paragone tra le nostre serie e quelle americane e nordeuropee, quali pensi siano le differenze maggiori?
Budget diversi, maggior coraggio e più aderenza alla contemporaneità. E spesso, più verità, anche in generi molto codificati. Questo se penso alla generalista. Rispetto alla satellitare, il discorso è diverso. Il problema budget resta ma le serie della “pay tv” raccontano meglio la realtà. Unica nota dolente, all’estero c’è un pizzico di coraggio in più e si punta ancora moltissimo su concept originali non su brand o franchise…
Torniamo a noi, al nostro piccolo e soffocato mercato televisivo. Sky sembra che abbia fatto quello che poteva per innovare e adesso si assesta sul suo, che è una piccola fetta in termini di produzione. Netflix si allinea con Suburra. Paradossalmente la palla torna in mano alle generaliste… RAI un po’ ci prova ad innovare. La fiction Mediaset è per metà Taodue. Romanzo Siciliano si allinea al prodotto standard della rete o tenta un salto in qualche altra direzione?
Ci giochiamo la carta di una maggiore credibilità senza troppe concessioni ai patetismi. Le linee dei personaggi, inoltre, sono in parte classiche, in parte meno. E raccontiamo un tipo di mafia diversa. Salvo Buscemi (Ninni Bruschetta) è un boss molto diverso da quelli visti di recente in TV…
Tu scrivi graphic novel, sai che i fumetti devono rispettare i generi e vengono amati per quello. L’Italia è un paese che ne consuma moltissimi… Come mai abbiamo un cinema e una tv che tentano invece di annullarli, i generi?
In realtà è un problema che attiene anche il fumetto italiano che, per certi versi, è rimasto pure più indietro rispetto alla tv. Nel mondo del fumetto si passa dal popolare tout court, fatto di genere “puro” senza secondi o terzi livelli di lettura, a prodotti autoriali (e spesso troppo uguali tra di loro). Sembra la situazione del contrasto cinema/tv degli anni 90 e i primi 2000. Ora mi pare che al cinema e in tv ci sia una piccola inversione di tendenza. Prendi Il ragazzo invisibile, Suburra, Lo chiamavano Jeeg Robot per il cinema oppure Gomorra, la buon vecchia Romanzo Criminale – la serie o i prodotti Taodue per la tv. Il genere sta tornando in auge, spero come nei 70ies. Ma resta, indubbiamente, un problema culturale italiano…
Cosa fa di buono il genere al racconto, come lo aiuta ad entrare in contatto col pubblico?
Il genere offre dei punti di riferimento, quindi attira il pubblico con le sue certezze. Voglio vedermi una storia dove c’è un mistero, vedo un giallo. Voglio tensione, vedo un thriller. Riconoscibilità però non vuol dire mancanza di personalità. E il genere ci permette, se ben fatto, di poter raccontare dei contesti o delle tematiche con la scusa dello schema di racconto.
Alcuni generi sono fuggiti sul web. Tu che ne pensi? Rimangono tentativi deboli o vedi nelle webseries una crescita?
Credo nelle webseries. Ti cito due prodotti che in Francia han funzionato benissimo e che sono pensati per una doppia fruizione web/tv e sono Bref e Bloqués (peraltro degli stessi autori). Schegge di due minuti, fulminanti. Per non parlare del portale Canalplay (il Netflix del gruppo Canal +) che offre anche webseries nel pacchetto. Il formato corto della webserie è interessante e, credo, in espansione.
La scrittura è il cuore e la garanzia di una fiction, qualunque sia la piattaforma: all’estero ormai lo sanno bene. Da noi, ufficialmente facciamo finta di non saperlo, ma sotto sotto questa certezza avanza. Si sa che Valsecchi si fida molto dei suoi editor, li manda sul set e al montaggio. Con Romanzo Siciliano com’è andata? Possiamo parlare di un passo in più verso lo showrunner o non ancora?
Per Romanzo Siciliano non sono andato né sul set né in sala di montaggio ma ho dato un parere sui giornalieri e i vari premontati. Non mi è stato chiesto di andare oltre e io non l’ho chiesto. Penso che, sì, pian piano ci si diriga verso il modello dello showrunner classico americano che decide un po’ tutto ma credo anche che non sia l’unico modello possibile. Un esempio su tutti Michael Hirst di Vinkings e The Tudors che, ho letto in un’intervista (QUI il link), ama piuttosto delegare e non essere sempre sul set. Ecco, semmai dovessi diventare showrunner mi vedrei più così. Amo la mia vita di scrittore, diviso quotidianamente tra la rassicurante routine della realtà e gli emozionanti viaggi mentali in mondi fantastici…
Grazie mille Leonardo e in bocca al lupo per i progetti futuri.
Crepi il lupo! E grazie a te!