Sotto copertura
Caro Francesco, il soggetto originale di Sotto copertura è di un’altra nostra socia, Maura Nuccetelli, ti chiediamo di raccontarcelo in un pitch di poche righe così com’è arrivato a te quando sei stato coinvolto nella sceneggiatura.
Sono stato coinvolto nel progetto dopo che Salvatore Basile aveva già scritto la prima stesura della sceneggiatura, perciò non ho avuto modo di leggere il soggetto originale. La storia che raccontiamo è quella della ricerca e della cattura, avvenuta il 17 novembre del 2010, di Antonio Iovine, boss del clan dei Casalesi, da parte della squadra Mobile di Napoli, guidata da Vittorio Pisani.
Sotto copertura ha avuto una vicenda produttiva complessa proprio perché racconta una storia vera.
Vittorio Pisani è stato prima accusato di abuso d’ufficio e favoreggiamento e poi finalmente assolto lo scorso giugno. La fiction ha aspettato la sentenza per andare in onda. Il che colpisce: ma come sta messa la libertà d’espressione in questo paese? Si pensa a una fiction come a un possibile elemento di disturbo?
Vittorio Pisani è stato messo sotto inchiesta nel giugno del 2011. In quel momento Salvatore Basile aveva consegnato da poche settimane la prima stesura della sceneggiatura. Date le accuse, la Lux Vide e la Rai hanno deciso di mettere in stand by lo sviluppo della miniserie, in attesa di un chiarimento della situazione. Nel dicembre del 2013 Pisani è stato assolto in primo grado e lo sviluppo della miniserie è ripreso. È a quel punto che sono stato coinvolto. Fra gennaio e agosto 2014 abbiamo scritto sei revisioni di sceneggiatura, fino ad arrivare al primo giorno di riprese, l’8 settembre 2014. In seguito, nel giugno 2015, è arrivata anche l’assoluzione di Pisani in secondo grado (assoluzione piena: per non aver commesso il fatto). Non mi risulta che si sia aspettato questo secondo grado di giudizio: la Rai aveva già deciso di dare luce verde alla produzione della miniserie dopo la prima assoluzione e, in un primo momento, era prevista una messa in onda già nell’aprile scorso, messa in onda poi saltata per incastri di palinsesto.
Restiamo ancora un momento sulla parte politica, perché leggo tra i titoli che stanno uscendo per annunciare la messa in onda di Sotto copertura, “la fiction che dà la caccia al superboss dei Casalesi”. La fiction dà la caccia? La fiction? Incredibile, no? Anche la Polizia di Stato lancia un tweet: La cattura del boss di #camorra Antonio #Iovine nella fiction #sottocopertura su RAI 1 il 2 e 3 novembre prossimo. Vengono un po’ i brividi… Aiutaci. La fiction è il braccio comunicativo della polizia? I cittadini italiani sono destinati ad archiviare come vere le vicende di un racconto di finzione?
Sì, anch’io ho notato quel titolo sulla “fiction che dà la caccia”… Diciamo che il titolista non era in forma! In ogni caso, Sotto copertura racconta una delle pagine più luminose della lotta alla criminalità organizzata nel nostro paese. La cattura di Antonio Iovine è paragonabile a quella di Riina o Provenzano. È comprensibile che la Polizia sia felice che la gente conosca come sono andate le cose. Del resto la trama del film, in tutti i suoi snodi essenziali, è autentica. Anche perché la storia vera è così bella che saremmo stati folli a cambiarla!
Veniamo alla parte specifica tua, quella dello scrittore. Ti trovi davanti ad una storia vera: la cattura di un boss della camorra latitante da 14 anni. Le nostre regole dicono che tanto più è forte l’antagonista, tanto più è bravo l’eroe buono che riesce a sconfiggerlo. Come hai lavorato sul personaggio di Iovine? Hai dovuto ingigantirlo, umanizzarlo… Cosa?
Pisani e la squadra mobile di Napoli sono riusciti a catturare Antonio Iovine, latitante da 14 anni (nascosto in un bunker sotto quel labirinto di cemento che è Casal di Principe), perché, invece di indagare sui collaboratori criminali, si sono concentrati sulle persone insospettabili che si occupavano delle sue necessità private. Perciò chi lo ha arrestato studiava da anni – attraverso intercettazioni, colloqui con collaboratori di giustizia, ricostruzioni storiche – la psicologia di Iovine, le sue abitudini, le sue debolezze. Io e Salvatore abbiamo avuto la possibilità di parlare a lungo con questi agenti e abbiamo avuto così accesso a informazioni di prima mano. Il lavoro sul personaggio di Iovine è stato poi piuttosto naturale, perché la storia della sua cattura è perfettamente rivelatrice del suo personaggio.
Siamo invasi di polizieschi tv, italiani e stranieri, e siamo anche abituati a una certa cialtroneria nel rappresentarli (chi comanda, chi interroga, chi intercetta ecc): e bisogna anche dire che spesso la cialtroneria ci viene chiesta, perché si ritiene che l’adesione alla realtà faccia perdere tempo, abbia delle ricadute noiose… Tu come ti sei comportato? Hai potuto accedere a informazioni di prima mano? da 1 a 10 quanto vi siete dovuti allontanare dalla vera indagine della Squadra Mobile?
Abbiamo avuto un grande privilegio e una grande fortuna. Il privilegio di conoscere a fondo la vicenda grazie agli incontri con chi l’ha vissuta e alla visita ad alcuni dei luoghi in cui si è svolta. E la fortuna che la vicenda aveva già in sé, senza bisogno di forzature, tutti gli elementi di una storia originale e potente.
Alludete alla vicenda processuale di Pisani nella fiction o il protagonista di Sotto copertura resta un eroe senza se e senza ma?
Non ne parliamo perché quella vicenda processuale è avvenuta l’anno successivo alla cattura di Antonio Iovine. Detto questo, il personaggio ispirato a Pisani (che nella miniserie si chiama Michele Romano) e tutti gli uomini e le donne della sua squadra attraversano momenti di dubbio e crisi, professionali e personali. Nelle loro storie private abbiamo lavorato molto più di invenzione di quanto non abbiamo fatto nella ricostruzione dell’indagine. Questo per ragioni di privacy e di rispetto nei confronti degli agenti che abbiamo conosciuto. Ma è stato un momento memorabile quando, dopo aver letto la sceneggiatura in cui nessuno di loro è direttamente riconoscibile, quegli stessi agenti ci hanno detto “Questi siamo proprio noi…”
Veniamo appunto all’eroe e allo schema retorico che adoperiamo nei nostri racconti della tv generalista. Buono/cattivo, legge/criminalità, speranza/disperazione. Il bianco e nero del contrasto forte è vincente, acuire i conflitti funziona… Sappiamo che la realtà è molto più confusa e grigia. Però, la semplificazione non è solo comoda, rappresenta anche una dimensione reale della nostra vita: ognuno di noi s’imbatte in bivi dove il male e il bene, almeno agli occhi e al giudizio della coscienza singola, divaricano. E’ per questo che questa fiction eroica piace? Il buonismo è anche un bene? Ottunde o rinforza?
Uno dei tanti aspetti avvincenti della vicenda reale della cattura di Iovine è che non si presta a facili schematismi, ai soliti stereotipi. Al centro di tutto c’è una ragazza appena maggiorenne divisa fra due fedeltà, entrambe comprensibili. A sfidarsi ci sono due uomini – uno che insegue, l’altro che è inseguito – anch’essi “divisi”. Il territorio legale e morale in cui si muovono è grigio e complicato, finché ognuno di loro si imbatte in un evidente bivio. Non fra bene e male, ma fra due beni diversi. E ognuno di loro fa la propria scelta.
Le linee sentimentali. Oltre al bianco e nero, un altro must che ci viene pressoché imposto nella tv generalista è il maledetto triangolo – lui, lei, l’altro – variamente accordato: come ve la siete cavata? Nella storia vera ce n’era uno, avete dovuto inventarlo?
Il “maledetto triangolo” è il cuore della storia reale che raccontiamo. È stato al tempo stesso un ostacolo e il fattore determinante della risoluzione della vicenda. E ci ha permesso di mostrare in modo naturale la complessità non solo dell’indagine, ma anche della vita a Casal di Principe, dove legalità e illegalità a volte si mescolano, altre volte convivono fianco a fianco. Anche per questo dicevo che saremmo stati dei pazzi a “inventare” invece che cercare di raccontare al meglio la storia vera.
Hai visto il risultato finale. Senti che la scrittura è stata rispettata dal regista? Che rapporti avete avuto?
Io e Salvatore siamo entusiasti. Ero un fan di Giulio Manfredonia fin dai tempi di È già ieri e Si può fare, perciò è stata una grande gioia sapere che aveva accettato di dirigere Sotto copertura. È stato coinvolto nelle discussioni sulle revisioni fin dalla primavera del 2014, all’incirca dalla terza stesura in poi. Revisione dopo revisione, lui ha assorbito l’idea della storia che avevamo in mente io e Salvatore, mentre la sceneggiatura assorbiva via via la sua “visione”. È un regista che cura molto l’aspetto narrativo e offre molti suggerimenti, perciò è stato un grande piacere, oltre che molto utile, entrare con lui nelle pieghe di ogni scena. Credo che la fitta e prolungata collaborazione fra sceneggiatori e regista, oltre naturalmente al grande talento di Giulio, spieghi l’entusiasmo mio di Salvatore e, speriamo, del pubblico!
Veniamo al format, la miniserie in due puntate. Personalmente ne hai firmate parecchie, è una misura di racconto che conosci bene. Quali sono i vantaggi e quali le trappole rispetto a un tvmovie di 100’?
Se avessimo dovuto raccontare Sotto copertura in un tv movie, avremmo dovuto tagliare tutto l’aspetto privato dei poliziotti e molti snodi interessanti dell’inchiesta. Sarebbe stato un peccato. Il punto è sempre quello: è la storia che deve decidere. Se hai a disposizione una vicenda epica (grandi protagonisti, conflitti complessi, coralità della vicenda, poste in gioco epocali) allora la miniserie è il formato giusto. Che poi si basi su episodi da 50 o da 100 minuti e si sviluppi per due o più serate è per molti versi secondario. In passato, per tante ragioni, venivano prodotte miniserie sia per storie che funzionavano meglio come film tv sia per storie che meritavano uno sviluppo più esteso di due serate. Oggi c’è più varietà, e questo è un bene.
Il termine miniserie nella realtà anglosassone in realtà individua racconti tv da 4 a 12 puntate. Ci accorgiamo che lo slogan del prossimo Roma Fiction Fest (11-15 novembre) insiste sul serial. Ci giungono voci che le due puntate non vengano più richieste che sia un genere in estinzione… Tu che ne pensi? Perdiamo una possibilità espressiva o è assolutamente necessario concentrarsi sulla serialità per riuscire a rompere il nostro provincialismo e competere col mercato internazionale?
Anni fa ci chiedevano spesso: hai una bella idea per una miniserie? Oggi ci chiedono altrettanto spesso: hai una bella idea per una serie? Direi che per noi sceneggiatori è meglio, no? Abbiamo l’opportunità di costruire personaggi e mondi di lungo respiro. Gli esempi di serie americane, francesi, ma ormai anche italiane in questo senso dimostrano le potenzialità narrative senza precedenti che abbiamo. Anche il “modulo” internazionale dell’episodio da 50 minuti penso sia una grande opportunità. È un formato che permette alle nostre storie di accedere a un mercato globale.
Occupiamoci di te. Sei uno scrittore lombardo, continui ad abitare al nord e quindi felicemente rompi lo schema romano centrico della fiction. Come la vivi questa distanza? Quali sono i vantaggi, oltre l’ovvio prezzo da pagare alle linee ferroviarie?
Oggi da casa mia – che si trova a Romano di Lombardia, un paesino nella provincia di Bergamo – al centro di Roma impiego 4 ore di viaggio. Quando ho cominciato a fare questo lavoro, quindici anni fa, ne impiegavo 8. Nel frattempo sono nati Skype, si sono diffuse le conference call, mi sono sposato e… ho avuto tre figli. Più o meno sono queste le ragioni che mi hanno portato a restare “al paesello”. Amo Roma e ci vivrei volentieri, ma… anche Romano non è niente male.
Sei socio fondatore della WGI, due domande strettamente per noi. Sia Peter Exacoustos che Carlo Mazzotta hanno detto la loro sul fatto che all’estero le serie tv si avvantaggiano creativamente e produttivamente del fatto che lo showrunner sia lo scrittore che ha inventato la serie e invece in Italia, si resiste col vecchio metodo e cioè la supremazia alla regia e il final cut al produttore. Tu che ne pensi?
Sono d’accordo con Peter e Carlo. Alle serie giova la figura del writer-producer. Lo dice la critica e lo dice il mercato. Credo sia un processo ineluttabile, già in atto anche in Italia. Da head-writer siamo sempre più coinvolti nelle scelte creative e produttive delle serie che scriviamo. Tanto è vero che in alcune delle serie italiane migliori e di maggior successo c’è un solo head-writer a fronte di più registi in stagioni diverse o anche nella stessa stagione. E poi sempre più società si avvalgono di produttori creativi, cioè story-editor (o ex sceneggiatori) che seguono un progetto dal primo pitch fino alla sera della messa in onda. Cosa sono se non show-runner? La questione è la “preparazione” dei writer-producer o show-runner. A un grande potere corrisponde una grande responsabilità. Perciò è importante dare spazio a figure come queste, ma altrettanto importante è che ci siano professionisti con la giusta esperienza per farlo.
Un’altra domanda WGI: ci stiamo molto impegnando per la visibilità dovuta agli sceneggiatori, visibilità in senso stretto diritto d’immagine e diritto di parola. Sul red carpet della Festa del Cinema l’abbiamo avuto vinta. E tu? Ci sei stato sul palco della conferenza stampa?
Sì, con Salvatore ci siamo stati. E abbiamo avuto piena visibilità e opportunità di parola. In generale, devo dire che, nella mia esperienza, le conferenze stampa della Rai sono state sempre molto attente alla figura dello sceneggiatore. Mentre su altri fronti c’è ancora molto, molto da fare, per questo le iniziative della WGI sono da sostenere il più possibile!
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