La Città del Teatro e dell’Immaginario
Ciao, Donatella, noi iniziamo tutte le nostre interviste con un pitch. Facciamolo anche per la Città del Teatro di cui sei direttrice. Cos’è, dov’è, che fa?
La Città del Teatro e dell’Immaginario si trova a Cascina, sulla Tosco Romagnola, storica via di congiungimento con Pisa e Pontedera.
È un Centro di produzione teatrale votato alla ricerca e alla sperimentazione di spettacoli rivolti, in specie, all’infanzia e alla gioventù. Riassumere che cosa fa è un’impresa titanica, perché un sacco di cose avvengono nei tanti spazi di cui si compone: produzione, programmazione, corsi di formazione, laboratori pratici, concerti, mostre, incontri…
La Città del Teatro è stata ricavata da un ex spazio industriale di 5mila mq dove avrebbe dovuto arrivare un supermercato.
Adesso – lo ricavo dal sito – ci sono tre sale deputate allo spettacolo, un’arena per spettacoli all’aperto, un centro studi, spazi di documentazione, atelier per attività di formazione, un laboratorio scenotecnico, spazi di magazzino scenico e illuminotecnico, un pub/ristorante, uno studio di registrazione.
Si trova a due passi da Pontedera (una decina di chilometri) e da Pisa (meno di venti chilometri) dove già esistono luoghi forti del teatro (il teatro Era e il Teatro Verdi). Perché questa scelta? Col senno di poi ti pare una scelta oculata?
Trovi che sia stato sbagliato destinare tutto questo spazio solo al teatro, che era un carico eccessivo per quel tipo di servizio e di spettacolo?
Quando l’allora Sindaco di Cascina Carlo Cacciamano concordò l’occupazione dell’ex fabbrica con la compagnia Sipario Stregato, nessuno si sarebbe sognato di dire che con la cultura non si mangia. Erano altri tempi e certo altre erano le risorse, ma io credo che sia stata una scelta giusta perché proprio l’esistenza di quelle due realtà vicine (diverse tra loro e con identità e progetti ben definiti) ha consentito di mettere meglio a fuoco cosa mancava sul territorio e quali ambiti andare dunque ad approfondire.
È chiaro che si può sempre migliorare, ma il fatto che La Città del Teatro abbia non solo resistito nel tempo, ma abbia via via aumentato il proprio pubblico (con spettatori che arrivano non solo dal territorio pisano, ma anche da Lucca, Livorno e Firenze) ci rassicura circa la bontà di quella scelta.
Tu e la Città del Teatro. Era il 1992. Entri a far parte della Fondazione di Sipario Toscana – a cui è stata affidata la gestione del Teatro – come responsabile Cultura e Formazione (per la quale hai scritto più di una decina di lavori…). Insomma sei membro fin dall’inizio della Fondazione, conosci perfettamente il lavoro di chi ti ha preceduto e la Fondazione conosce bene te, ti conoscono tutti… Possiamo dire che al momento di assumere l’incarico di direttrice, tu sapevi bene a cosa saresti andata incontro e la Fondazione sapeva cosa avresti fatto tu?
Amo profondamente La Città del teatro e alla mia esperienza passata, durata circa 10 anni, devo buona parte della mia formazione e di ciò che oggi sono. Non so se quando ho assunto l’incarico sapevo a che cosa sarei andata incontro, ma ero certa di una cosa: che ciò che mi veniva lasciato in eredità non era un progetto da riconvertire o modificare, ma da rinvigorire semmai, da valorizzare e far conoscere anche attraverso una maggior connessione con il territorio. Ho speso tutte le mie energie e non ne sono affatto pentita.
Per arrivare alla prima nomina nel 2012, hai vinto un concorso pubblico. Ho letto sul web che qualcuno avrebbe preferito la nomina diretta… Tu come l’hai vissuta? Avete dovuto solo presentare titoli e credenziali o siete stati giudicati anche su un progetto?
Quella del bando mi è parsa una scelta corretta e sì, abbiamo dovuto presentare un progetto.
Com’era la situazione economica della Città del Teatro al tuo arrivo come direttrice? Preesisteva un debito? Quali erano le fonti di finanziamento?
Quando mi sono insediata la situazione debitoria era importante. Ben oltre i 600.000 euro. Le fonti di finanziamento che trovai inserite a preventivo nel maggio del 212 (la data precisa è il 5 maggio… chissà che non sia questa l’origine di tutti mali) erano, euro più euro meno: Comune 260.000 euro / Regione 305.000 + circa 40.000 per un progetto speciale / Ministero 205.000 / Provincia di Pisa 70.000 / Comune di S. Giuliano Terme 160.000.
Ora, chi si occupa di teatro sa bene che assumere la direzione di un teatro a maggio significa fare i conti con un progetto già al 90% definito.
Ho fatto alcune scelte che ritengo importanti – come ad esempio mantenere la doppia replica domenicale degli spettacoli per le famiglie che gli amministratori pensavano di ridurre a una per carenza di pubblico, una serata evento sul femminicidio e l’accoglienza di giovani compagnie in residenza – insomma ho iniziato a dare una mia impronta, ma nulla di più.
Mentre facevo questo e ottenevo buoni risultati (i dati di pubblico delle domenicali sono schizzati alle stelle, la serata sul femminicidio, nata prima di tanto altri eventi simili, ha fatto parlare di sé…) iniziavano però le brutte sorprese.
A attività già più che avviate, il Comune di San Giuliano in parte perché in difficoltà economiche in parte perché scontento dell’operato della precedente gestione, ha ridotto il contributo di 100.000 euro. Correggere in corsa il preventivo 2012 era pressoché impossibile. Il buon andamento autunnale delle attività ci ha consentito di arginare il danno e avere sul consuntivo 2012 il segno meno accanto non a 100.000 euro, ma a 60.000.
Nel 2013, anno felicissimo dal punto di vista artistico sia per i dati di pubblico di tutte le rassegne che per il successo delle nostre produzioni infanzia e gioventù, la questione dei contributi è peggiorata ulteriormente. La Provincia ha chiuso rubinetti e battenti, idem il comune di San Giuliano e la Regione stessa, venendo meno il progetto speciale ha ridotto il proprio contributo a 305.000 euro. Considerate che tutte queste cose non si sanno mai mentre si mette a punto un preventivo, ma in corso d’opera se non a opera quasi finita.
Come se non bastasse, mentre davvero il teatro stava rifiorendo (fra laboratori, residenze, spettacoli non c’era giorno che non accadesse qualcosa) l’ufficio amministrativo della Regione Toscana ci inviava (era marzo se non ricordo male) una bella lettera in cui la Fondazione era invitata – pena la sua liquidazione – a presentare un progetto di ripianamento della perdita.
Su questi aspetti, più di me potrebbe spiegare meglio i fatti l’ex Presidente del passato CdA, ciò che posso dire io è che 2013 è stato un anno davvero difficile, che ha portato il debito a crescere ancora fino ad arrivare a 780.000 euro. Lì però il debito si è fermato. Nel 2014 siamo diventati Centro di Produzione, il contributo del Ministero è aumentato di circa il 71% (arrivando a 359.000 euro) la Regione in nome del progetto da me presentato ci ha riconosciuto un extra di 60.000 euro (questo è accaduto anche per il 2015 e spero possa avvenire anche per il 2016), una nostra produzione per adolescenti ha vinto il premio Eolo per la miglior drammaturgia…
E adesso come stanno le cose? Debito e fonti sono aumentate, diminuite… Qual è la situazione che sta spaventando la nuova amministrazione del comune di Cascina?
Adesso le cose stanno che 2014 e 2015 sono stati chiusi in pareggio. Non ho idea di che cosa accadrà nel 2016. Per contrastare la costante crisi di liquidità a cui tutti i teatri sono soggetti per i tempi di erogazione dei contributi, con il supporto della precedente amministrazione è stato fatto un finanziamento. Le rate di quel finanziamento avrebbe dovuto pagarle il Comune, portando di fatto il proprio contributo, fermo dal ’97 a 260.000 euro, 360.000 euro.
Se questo avverrà anche con la nuova giunta, se Regione e Ministero confermeranno i loro contributi, a giudicare dallo stato d’avanzamento del bilancio lasciato dal precedente direttore amministrativo, non dovrebbero esserci sorprese negative. Ma è anche vero che non ho più alcuna notizia delle scelte economiche della Fondazione e dunque mi è molto difficile avere un’idea di ciò che spaventa la nuova amministrazione e del modo in cui hanno calcolato il disavanzo. Il buco di bilancio di cui parlano sarebbe di 1.450.000 euro: se le cose stanno davvero così, mi domando come Ministero e Regione possano aver approvato nel recente passato consuntivi dai quali si evincono conti completamente diversi.
Perché hai accettato l’incarico, Donatella? Per come ti conosco, so che ha a che fare con la passione… Che idea avevi?
Per me era come tornare a casa dopo un lungo viaggio. L’idea che avevo, la più forte e quella che considero vincente, era che quella casa doveva essere una casa aperta a tutti. Ho sempre detto e sempre dirò che dirigere un teatro non significa possederlo, ma condividerlo e in questi 4 anni ho fatto di tutto perché fosse così.
Hai accettato il rinnovo nel 2015. L’idea era la stessa? Come era cambiato il tuo progetto?
Ho accettato il rinnovo – che avrebbe potuto essere anche di 5 anni, ma con l’allora Presidente ci siamo dati i 3 anni come scadenza legittima per il compimento di un percorso – perché La Città del teatro stava diventando un esempio virtuoso a livello nazionale, perché gli artisti cominciavano a cercarci per allestire da noi, perché ancora molto c’era da fare ma il tunnel delle difficoltà si andava a poco a poco smaterializzando per far posto alla luce.
L’attività della Città del Teatro, sempre come si ricava dal sito è uno Stabile d’innovazione per l’infanzia e la gioventù.
Tra gli scopi “il fare arte, educare, formare/formarsi in rapporto al nuovo mondo in divenire, rivendicare l’indipendenza della creatività collocandola, senza eccessive schizofrenie, all’interno di un tragitto d’impresa.” Teatro e impresa… Insomma, in Italia, il teatro campa dell’assistenza dello Stato, sono soldi spesi che non ritornano indietro, il pubblico è scarso… Come si può parlare di impresa? In che senso hai cercato di realizzare quest’obiettivo?
Non ho dovuto inventare nulla, ma solo ridare forza e evidenza a un progetto che è nel DNA della Città del teatro e costituisce la ragione della sua esistenza. L’immenso lavoro educativo che a Cascina viene svolto, in rete con tante altre realtà regionali e nazionali, ha anche un mercato importante. Ma ciò che a Cascina aiuta a fare impresa è la struttura stessa del luogo, ottima sede ad esempio per importanti allestimenti. Artisti come Fiorella Mannoia, i Pooh, Francesco De Gregori, Francesco Renga e tantissimi altri hanno scelto più volte Cascina per preparare i loro tour.
In una tua intervista di qualche tempo fa, hai dichiarato che …”se ci si occupasse di più di diffondere una cultura teatrale, se si smantellasse la convinzione che il teatro è per pochi e si formasse al gusto e alla bellezza, avremmo spettatori onnivori e felici di scegliere.” Ci spieghi meglio cosa intendi?
Ti faccio un piccolo esempio: per consentire al pubblico piacevoli scoperte e a chi non ha ancora avuto la fortuna di una qualche notorietà, abbiamo offerto ai nostri spettatori, accanto a ciò che sceglievano, altri spettacoli che ritenevo di qualità ma che difficilmente avrebbero scelto in autonomia, per la minor fama appunto di chi li portava in scena magari.
Ho sempre pensato che, quando si ha la fortuna di dirigere una struttura così piena di potenzialità, non si può ragionare su una stagione teatrale composta da un’antologia di proposte e stop.
La scelta di “raccontare” diversi temi, proponendoli attraverso storie e generi magari lontani, a poco a poco ha creato fiducia e affezione. Ogni spettacolo in serale era diventato insomma l’epilogo di un discorso più ampio, iniziato col pubblico talvolta addirittura dalla mattina.
E veniamo ora al punto dolente. Con le elezioni del 2016, gli equilibri politici sono cambiati in Comune e, di conseguenza, sono stati sostituiti anche il Presidente e l’amministratore della Fondazione Sipario Toscana. Ho detto di conseguenza, perché anche il precedente direttore artistico della Città del Teatro non ha visto rinnovato il suo incarico al momento di un cambio politico.
Ma forse ho sbagliato – ideologicamente, da autore – a considerare una conseguenza naturale gli effetti politici sulla cultura? Tu che ne pensi? Un evento politico comporta conseguenze di nomine solo perché in Italia facciamo le cose male? Perché qui la cultura, dai tempi del Rinascimento, viene considerata propaganda del Principe e deve servire i suoi scopi? O dappertutto funziona così, è normale?
La questione è complessa. Non so cosa avvenga negli altri paesi, ma so per certo che in questa occasione è mancata la volontà di cercare un confronto sui contenuti. Ciò che sognerei potesse sempre avvenire.
“La direzione artistica continuerà ad essere autonoma, a scegliere spettacoli e manifestazioni in calendario, ma dovrà essere sensibile al mandato culturale che i cittadini di Cascina hanno affidato ai loro rappresentanti” ha dichiarato l’assessore Luca Nannipieri. In che termini ti è stato espresso questo mandato culturale a cui dovresti essere sensibile?
In nessuna forma. A parte la richiesta di una maggior attenzione alla tradizione – a cui peraltro non mi sono mai opposta – nessuno ha mai condiviso con me alcunché. Di fatto nel giro di pochissimo tempo mi sono trovata a “non” dirigere più in un teatro dove Presidente e Vicepresidente, avocate a sé le deleghe artistica e amministrativa, hanno sistematicamente ignorato il mio sguardo sulle loro scelte e sono andati nella loro direzione. Quale sia non lo so, non l’ho ancora capito.
Per il lavoro che hai svolto in tv, come responsabile di molte serie di fiction, sei abituata a mediare l’interesse artistico con l’interesse delle produzioni, dei network…
Interpretare le richieste, filtrarle, è a sua volta un atto creativo, artistico… Insomma, non è la richiesta in sé ad essere distruttiva del lavoro artistico, l’arte può sopravvivere anche sotto committenza o mi sbaglio?
Diciamo che l’arte si è fatta una ragione del vivere sotto committenza.
A che cosa hai detto no? Le accuse che appaiono sui giornali riguardano i compensi alle compagnie, compensi promessi che non vuoi abbassare. Ti capisco e ti apprezzo. Come autori, come lavoratori dello spettacolo siamo allo stremo, è dalla crisi del 2008 che non si fa che limare, abbassare, invitare a lavorare gratis… Perché si pensa che le compagnie possano limitare i loro compensi? Perché si chiede a chi già in difficoltà di dare di più?
A non molte cose ho detto di no, visto che sono stata subito estromessa da ogni processo decisionale. A due, comunque, sì: alla richiesta di scrivere il testo di uno spettacolo sulle foibe (un autore non è un juke-box, in grado di scrivere su qualunque argomento) e alla richiesta di ricontattare tutte le compagnie inserite nel cartellone serale da me proposto, chiedendo loro di ridurre di un ulteriore 20% il compenso già limato durante la fase della trattativa. Un lavoro lungo, accurato e al termine del quale, con reciproca soddisfazione, ci eravamo stretti la mano. Si chiedeva di farlo facendosi forti del fatto che c’è la crisi e dunque, pur di salvare il salvabile, avrebbero probabilmente accettato. Può darsi, ma non è così che si difende una categoria e la dignità del suo lavoro.
Allargando lo sguardo oltre Cascina mi viene da chiedere, sulla stessa scia: perché si indice una giornata nazionale del teatro, il 22 ottobre, e si stabilisce che i teatri si debbano aprire gratuitamente al pubblico? E ancora, oltre i nostri palcoscenici, perché all’università i professori a contratto sono nella maggior parte dei casi dei professionisti a cui si chiede di mettere gratuitamente al servizio le loro competenze? Purtroppo siamo nei fatti un paese demagogico, che considera la cultura come qualcosa di superfluo e l’investimento sulla stessa come uno spreco di denaro.
Hai dichiarato di aver proposto un’alternativa per far quadrare i conti. Quale?
Non per far quadrare i conti in generale. Magari ne avessi alternative in tal senso… per quanto i bilanci della parte artistica dal 2013 in poi sono sani anche se non so che cosa sarà di quello del 2016 dato che ho perso completamente il controllo della situazione. Ho proposto un’alternativa alla richiesta di abbattimento del cachet delle compagnie in cartellone, proponendo di tagliare una delle produzioni previste per il 2017. I tagli del 20% alle compagnie portavano un risparmio di 12.400 euro. Perché rischiare di esser tacciati di scarsa professionalità in tutta Italia e di scorrettezza, a fronte di un risparmio così esiguo?
C’erano stati dei problemi con i dipendenti della Città del Teatro, a causa di alcuni licenziamenti nel 2013… Pensi che la crisi di oggi trascini anche questioni vecchie?
Sì. Il personale a La Città del Teatro è spaccato da sempre. Il licenziamento del direttore tecnico ha inasprito fratture già esistenti e allontanato i lavoratori dalle dirigenze.
La questione è uscita dai confini di Cascina perché investe soldi e compiti nazionali, affidati dal Ministero, e importanti questioni di principio come il diritto al compenso e all’autonomia culturale dell’artista. Hai chiesto la solidarietà delle associazioni di categoria, di altre forze politiche?
Non ho chiesto la solidarietà, ma me ne è arrivata tantissima e ringrazio davvero tutti coloro che mi hanno testimoniato vicinanza.
Come vorresti che si risolvesse?
Da inguaribile ottimista mi auguro che La Città del teatro possa rinascere più forte e più bella di prima, sulle ceneri della distruzione programmatica di un bel progetto che al momento abbiamo sotto gli occhi.
In bocca al lupo e grazie!