Socialmente pericolosi
Ciao a tutte e tre… dopo l’esperienza di Tutte lo vogliono eccovi di nuovo insieme in un’altra sceneggiatura! Prima di avventurarci nel film parliamo del vostro gruppo di scrittura al femminile: com’è cominciato, come fate a scrivere in tre, come funzionate? Avete dei ruoli specifici interni?
Il sodalizio è iniziato lavorando insieme tutto il giorno e tutti i giorni alla soap Centovetrine. Nella palestra della soap impari a fare brainstorming in gruppo e poi quando ti trovi bene con qualcuno non lo molli facilmente. Come funzioniamo? Più che altro si parla, si fanno girare idee. Scrivere è sempre l’ultima cosa. E scriviamo sempre tutte. Non abbiamo ruoli specifici.
Passiamo subito al pitch del film: chi sono i Socialmente pericolosi?
SP (Socialmente Pericolosi) è un’associazione culturale creata dal giornalista Fabio Venditti (che non non è parente di Maria Teresa neanche alla lontana, ndr). Il film racconta una storia vera e il pitch potrebbe essere questo: un giornalista “cane sciolto” decide di fare un’indagine nel carcere di Sulmona, il cosiddetto carcere dei suicidi per l’alto tasso di morti. Lì incontra un boss della camorra condannato all’ergastolo e tra i due nasce una profonda amicizia e il libro La Mala Vita. Quando il boss si ammala e ha bisogno di un trapianto di fegato, il giudice gli concede gli arresti domiciliari a patto che qualcuno si offra di ospitarlo. Il giornalista farà di tutto per salvargli la pelle, ospitandolo addirittura in casa propria. Fabio costruisce un rapporto leale con l’amico che crede redento.
Insieme i due creano nel cuore dei Quartieri Spagnoli l’associazione Socialmente pericolosi, per dare una chance ai ragazzi dei Quartieri diversa da quella della malavita. Purtroppo il boss non si dimostra altrettanto leale…
Dunque, all’inizio c’erano un libro e un giornalista che voleva trarne un film e diventare regista, che si è quindi avventurato in un territorio che non conosceva… Come è avvenuto il contatto tra di voi?
Fabio un giorno ha contattato Alessandra con la quale aveva lavorato in precedenza e le ha chiesto di raccontare l’esperienza coi ragazzi dei Quartieri Spagnoli, ma soprattutto la sua amicizia con il boss. Alessandra ha coinvolto anche noi e insieme abbiamo scritto una sceneggiatura continuamente in fieri, fino al giorno delle riprese.
Difficile lavorare con uno dei protagonisti di una storia vera, dovendo scrivere proprio quella storia vera. Com’è andata? Come ve la siete cavata? Avete individuato un tema, un punto di vista comune…
Facile e difficile al contempo. Facile perché non avevamo bisogno di fare ricerca: Fabio aveva tutte le risposte. Difficile perché lui avrebbe voluto che raccontassimo le scene esattamente come erano andate. In molti casi siamo riuscite a fargli capire che serviva una struttura e un tirante narrativo… in altri casi era così convinto di ciò che voleva raccontare che la fedeltà alla cronologia degli eventi ha avuto la meglio sulla drammaturgia.
La cronologia del racconto viaggia tra le guerra di camorra degli anni ’80, il percorso dell’arresto e della prigione, l’incontro tra i due protagonisti nei primi anni del 2000 e poi gli sviluppi nel presente. Non era facile: come ve la siete cavata?
In realtà il film parte dall’incontro tra i due protagonisti nei primi anni del 2000 e arriva fino ad oggi. La guerra di camorra e le vicende della vita di Mario emergono dai suoi racconti. Quello che interessava al regista era raccontare l’amicizia tra due uomini con due storie così diverse, eppure così simili nel voler essere contro il sistema.
Avete dovuto restare molto fedeli al testo del libro, alla storia? Insomma, vi sembra di aver scritto più un documentario che una fiction, o avete trovato uno spazio di autonomia perché il film potesse respirare a pieni polmoni l’aria dello schermo cinematografico?
Più che il libro la nostra fonte erano i racconti di Fabio. Il film effettivamente è un ibrido tra un documentario, un film d’inchiesta, e una storia d’invenzione… è il risultato di una mediazione tra noi e il regista/protagonista della vicenda, nella quale comunque abbiamo coltivato un nostro spazio di autonomia.
Avete partecipato anche alle riprese, avete dato una mano sul set?
Non abbiamo mai voluto fare un ruolo che non ci apparteneva. Solo una volta siamo andate ad assistere alle riprese, nel carcere di Rebibbia. Giravano una scena con alcuni detenuti. La verità del contesto era davvero emozionante.
Torniamo al tema: la storia è incentrata su un’amicizia maschile. E’ vero che le donne non incontrano nessun problema a scrivere di queste amicizie, che ne conoscono bene i meccanismi? Cosa avete scoperto di nuovo?
Non abbiamo mai creduto che ci fosse una differenza di genere nell’amicizia. E il tradimento di un amico, che è quello che abbiamo raccontato, fa male nello stesso modo.
Qual è il percorso umano del giornalista?
Fabio era e resta un idealista. Essere stato deluso da un amico nel quale lui si era quasi identificato è stata una vera mazzata, ma il suo sguardo da innocente non è stato inquinato.
È questa la sua forza. Continuare a credere di poter cambiare il mondo.
E quello del camorrista chiuso in galera?
Nel film Mario è affascinante, è un seduttore nato e l’attore Fortunato Cerlino ha colto in pieno questa caratteristica. Sembra aver convinto tutti di essere cambiato, ma alla fine non ce la fa ad essere diverso da ciò che è. Né il carcere né la malattia riescono a fargli cambiare direzione.
Le differenze tra i due?
Entrambi sono dei maschi alfa, ribelli, che lottano contro il sistema. Uno però lo fa per giustizia sociale, l’altro per interesse personale.
Nessuna di voi è nata a Napoli. Come vi siete trovate a raccontarla? Non vi siete mai sentite imbrigliate in modelli troppo sfruttati?
No, perché siamo andate nei Quartieri, abbiamo conosciuto i ragazzi di questa associazione e quindi non abbiamo mai avuto la sensazione di scrivere un cliché.
Dall’incontro tra questi due uomini è nata una realtà concreta, un corso di cinema per giovani napoletani dei quartieri spagnoli… L’arte come percorso alternativo alla pistola. Ha funzionato? E’ andato in porto?
Per alcuni di loro ha funzionato. Per esempio uno dei ragazzi ha recitato in Gomorra la serie (nel ruolo di ‘O Track). Per altri è stato più difficile. Hanno avuto delle possibilità, ma alcuni di loro non ce l’hanno fatta a costruire un futuro alternativo.
Anche i ragazzi del corso di cinema hanno partecipato al film?
Solo alcuni, perché purtroppo la loro diffidenza e il contesto in cui sono cresciuti li hanno portati in rotta con il regista e a sciupare un’occasione di riscatto importante.
Il film ha avuto un percorso produttivo complesso. La nuova legge cinema lo definirebbe “film difficile”… Avete usufruito di fondi pubblici?
No, la produzione non ha avuto finanziamenti pubblici. Il film è stato realizzato grazie alla “capatosta” del regista che non si è fermato davanti a nessun ostacolo. E’ riuscito a mettere insieme un piccolo budget grazie alla RAI e ad ACTION AID, ha trovato un produttore (Massimo Spano) che si è lasciato coinvolgere e poi sono arrivati gli attori (Fortunato Cerlino, Vinicio Marchioni e Michela Cescon), che hanno accettato di lavorare per dei compensi minimi… è un film a bassissimo budget.
Avete qualche riflessione, suggerimento proprio sul percorso di questi film? Riuscite ad individuare delle criticità sanabili?
La criticità è che non ha una distribuzione. Sono i singoli esercenti di tutta Italia a richiederlo e lo tengono un giorno o due, per vedere come va… Il sistema di dover pagare la distribuzione taglia le gambe a film a così basso budget.
Voi a che condizioni avete fatto parte del progetto? Siete in partecipazione?
Sì, siamo in partecipazione sugli utili, se mai ci saranno.
Dalla soap, alla commedia, al dramma sociale… Dove vi sentite più a vostro agio?
MT: Personalmente nella commedia. Lo sguardo che preferisco è quello disincantato e ironico.
ADP: Mi piace misurarmi in tutti i generi. Certo la commedia ti diverte anche mentre la scrivi, fa bene all’umore.
VG: il mercato tende a inserire gli sceneggiatori in categorie: quello “bravo nel comedy”, quello che “sa fare il crime”, etc. E alla fine la profezia si auto-avvera. Ma secondo me se si usa sempre quel colore, prima o poi ci si ritrova con la penna scarica. Io sono a mio agio quando posso variare. Adesso mi sono lanciata nel giallo e nella fantascienza. Ma il mio sogno è un fantasy!
WGI insieme ad altre associazioni, ha presentato una proposta per i decreti attuativi perché vengano appoggiati e in caso di parità preferiti i film ove il gruppo autoriale risulti in maggioranza femminile. C’è stata la solita alzata di scudi contro le quote rose che in Italia non manca mai… Voi cosa ne pensate?
MV: Credo sia una buona cosa. Siamo uno strano paese. Ieri ero alla posta, una donna dietro lo sportello e la radio accesa sul tgr. La notizia di un ennesimo omicidio (non voglio usare di proposito il termine femminicidio, è un omicidio, punto) in cui un marito uccide la moglie. L’impiegata dietro lo sportello commenta: “Ma che ci vogliono far fuori tutte?” E poi: “Però pure ‘ste donne se la cercano…”
Ecco, in questo paese sta diventando normale il fatto che le donne vengano uccise dai mariti o dai fidanzati o dagli ex. E’ normale che le donne vengano pagate meno a parità di ruolo, è normale che nei posti di comando siano in pochissime (spesso figlie di…). Chi è contro le quote rosa pensa che le donne dovrebbero farcela da sole, ed è vero, ma in un paese sano. Come si fa a vincere se la partita viene giocata sempre con le regole truccate?
Ragazze, sono troppo polemica?
VG E ADP: no no, siamo d’accordo con te.
Altri progetti insieme?
Sì. Abbiamo scritto un nuovo soggetto cinematografico, stavolta un dramedy, e stiamo preparando un concept per una serie TV. Poi meditiamo di andare in vacanza insieme perché siamo prima di tutto amiche.