Cuori puri
Sceneggiatore, regista, documentarista, autore di libri-inchiesta… Adriano, ti va di parlarci un po’ di te?
In effetti si tratta di esperienze molto diverse tra loro. Dopo anni di set come assistente e aiuto regista ho deciso di mettermi in proprio. Quando non sono impegnato in progetti ufficiali o su commissione, mi avventuro sulle strade dell’inchiesta, per le quali investo personalmente sia tempo che risorse. Le inchieste e i documentari mi danno la possibilità di esprimermi attraverso l’impegno civile e politico, una tradizione che in Italia abbiamo completamente disperso tra censure, autocensure e convenienze politiche. Mi piace pensare di tenere accesa una fiammella in tal senso, anche se a volte il prezzo da pagare è alto: vedi denunce, processi e a volte anche emarginazione professionale. Eppure siamo in tanti a insistere su questa strada. Tanti documentaristi, tanti saggisti, indagano su pagine oscure del nostro presente. Chissà che da queste fiammelle sparse non nasca un gigantesco fuoco, in grado magari di tornare a contaminare definitivamente cinema e tv. Sarebbe magnifico.
Cuori puri affronta la tematica del valore della verginità ai giorni d’oggi, attraverso il personaggio di una ragazza cattolica e praticante. Come è nata l’idea di questa storia, e cosa vi premeva raccontare?
Non credo sia il tema della verginità il cuore pulsante del film. Nel momento in cui sono intervenuto io come sceneggiatore, con il regista condividevo un punto di vista ampio – seppur vago – su certe comunità religiose che alcuni definiscono settarie. Per pura casualità, quando sono stato scritturato per il film provenivo da un lungo periodo di ricerche sul mondo delle nuove religioni.
Tuttavia non era assolutamente il settarismo né il mondo dei nuovi culti a interessarci.
Se è vero che Agnese, la nostra protagonista, proviene da un gruppo religioso (Cuori Puri appunto, realmente esistente) nel quale la verginità è lo scopo primario di appartenenza, è proprio a partire da questo dogma di appartenenza che si sviluppa la sua personalità, in modo per così dire “centrifugo”, tormentato, attraverso un percorso tortuoso e doloroso.
Tu, gli altri sceneggiatori ed il regista Roberto De Paolis avete collaborato a partire dalla prima idea?
No. L’idea originaria è di Roberto de Paolis, sceneggiata in prima stesura con Luca Infascelli e Carlo Salsa. Io sono arrivato dopo.
Il desiderio della giovane protagonista di restare vergine fino al matrimonio non è così usuale al giorno d’oggi. Che tipo di documentazione avete fatto per costruire il personaggio? Avete parlato con ragazze che avevano fatto questa scelta?
Come accennavo, portavo già con me un bagaglio di conoscenze relative alle nuove religioni e al cattolicesimo di frangia. Di quel mondo ho preservato e cercato di trasmettere nel testo un clima di separazione dalla realtà, condizione tipica di chi vive la fede o in generale un culto con esagerato e sincero fervore, al punto di chiudersi alla realtà esterna. Abbiamo avuto modo di partecipare a riti e celebrazioni pubbliche di alcuni gruppi di derivazione cattolica, strada perseguita con ammirabile meticolosità da De Paolis più di chiunque altro. La mia ricerca sul campo è consistita maggiormente nel vivermi il quartiere di Tor Sapienza, respirare giorno e notte l’aria di quel particolare luogo, che tra l’altro all’epoca della scrittura di Cuori Puri attraversava un momento di alta conflittualità tra residenti e stranieri.
Ti va di raccontare come è stato organizzato fra voi il lavoro di scrittura?
E’ stata una staffetta. Le prime stesure hanno visto la luce grazie alle penne di Salsa e Infascelli. Io sono subentrato come terzo sceneggiatore in un momento in cui si avvertiva la necessità di dare alla storia una virata più “stradaiola”, se mi si passa il termine. Ho scritto a stretto contatto con Roberto quasi tutti i giorni, per sei o sette mesi, solo noi due in un piccolo ufficio di Tor Sapienza affittato allo scopo, sbilanciandoci più sul protagonista maschile e sull’aura da “ghetto-boy” che si porta dietro. Dopo di me, è arrivata Greta Scicchitano che ha chiuso il cerchio, ha dato la stura definitiva all’anima femminile ed eterea del film, Agnese appunto, che a conti fatti è la colonna portante di Cuori Puri. Ogni stesura è stata comunque rivista e modificata in modo collegiale.
Quanto è importante una stretta collaborazione fra gli sceneggiatori e il regista per la riuscita di un film, secondo te?
Dipende dal film e dal regista. Non esiste una regola. Nel caso di Roberto de Paolis, scrivere gomito a gomito è stato fondamentale. Era lui ad avere il polso reale dello sviluppo, della direzione, del tono della storia. Io l’ho accompagnato con idee, invenzioni e suggerimenti fin dove è stato necessario.
Il tuo modo di procedere nella scrittura varia a seconda dei collaboratori e del regista del progetto? E quanto incide il tuo essere anche regista nello scrivere un film per la regia di un’altra persona?
Ciò che posso dirti è che alcuni registi lasciano libertà totale nella scrittura, altri esercitano un ferreo controllo in ogni fase. Io mi trovo a mio agio in entrambe le situazioni. Da piccolo regista televisivo e documentarista invece, posso dirti che dal canto mio preferisco applicare il maggior controllo possibile su tutto. La condizione ideale per me, quando non si tratta di fiction o di lavori da realizzare collegialmente, è scrivere libri: ricerche solitarie, silenzio, isolamento, direi quasi eremitismo. Anche se quando si lavora in gruppo e il gruppo è particolarmente affiatato, non c’è niente di meglio.
Quali pensi siano i punti di forza della sceneggiatura di questo film? C’è una scena a cui sei particolarmente affezionato, e se sì perché?
Non saprei risponderti. Con il tempo e con la pratica ho individuato un indicatore attendibile, che con ragionevole precisione rivela se qualcosa funziona oppure no. Se mentre scrivi o mentre rileggi, anche con i tuoi colleghi, ciò che hai scritto, senti tremare – dico fisicamente proprio – qualcosa dentro di te, se ti trema la voce, se ti aumenta il battito cardiaco, vuol dire che per qualche oscura e fortunata circostanza ciò che hai scritto funziona.
Posso dire che nella fase in cui ho collaborato a Cuori Puri mi è capitato spesso. Spero che gli spettatori siano dello stesso avviso…
Ti sei chiesto, in fase di scrittura, a quale pubblico potesse rivolgersi il film? Hai preso delle decisioni per andare incontro a quel pubblico?
Il pubblico è una scommessa, sempre. Il desiderio di tutti coloro che fanno questo mestiere è scrivere per il pubblico una storia che lo appassioni e lo entusiasmi. Non è una domanda che mi pongo, è solo una speranza, quella di non annoiare a morte il pubblico.
Quanto è cambiato il copione sul set, rispetto allo script? Per quali ragioni?
Non ho ancora visto il film. Credo che una quota fisiologica di cambiamenti sia inevitabile se non addirittura necessaria. È tipico di qualsiasi processo produttivo.
Gli eventuali cambiamenti che si rendevano necessari venivano concordati fra te e gli altri sceneggiatori e il regista? Siete stati presenti sul set?
Posso parlare solo per la fase di scrittura. Tutte le modifiche in fase di scrittura sono state puntualmente concordate tra tutti, senza alcun problema.
Non ero presente sul set, perché ero impegnato in altri lavori.
Cosa pensi della situazione del nostro cinema in questi anni?
Laddove non si insista nell’autoreferenzialità borghese, i veri guizzi li ho visti nelle storie di genere. C’è un ritorno al noir, a storie sporche, a personaggi ben strutturati, monolitici. Anche la commedia sta vivendo nuovi fasti, con idee fresche e innovative. Forse tutto ciò è il preludio a una nuova epoca nella quale torneremo a inventare grandi storie, o forse è pia illusione. L’importante è che ognuno ci metta il proprio. I talenti non mancano.
Hai seguito i lavori sulla nuova legge cinema e le richieste delle associazioni? Cosa ne pensi?
Credo che il finanziamento diretto agli autori possa tranquillamente essere definito un successo. Il mio piccolo contributo è stato mettere in contatto la WGI con determinate realtà politiche. Il resto lo hanno fatto soci ben più navigati ed esperti di me. Mi riferisco tra gli altri a Giovanna Koch, a Massimo Martella e a Carlo Mazzotta.
Sei fra i soci fondatori di WGI. Quali sono a tuo parere le priorità che dovrebbe darsi la nostra associazione in questo momento?
L’obiettivo che andrà sempre tenuto in considerazione è quello di diventare un reale gruppo di pressione, un interlocutore potente dal quale nessun attore del mercato audiovisivo potrà prescindere. Ciò passa attraverso una riqualificazione e ricostruzione del nostro ancora bistrattato ruolo. Qualche passo è stato fatto, ma le nostre non devono essere solo rivendicazioni economiche. Il cambiamento culturale è farci percepire come capofila di un’industria. In poche parole: senza le nostre storie non si muove niente, a cominciare dai soldi. I produttori tipo “scrivimi due paginette” lo dovranno capire prima o poi. Ci riusciremo? Chissà…
D: Cosa ti aspetti da Cannes?
Al di là di un piacevole momento di orgoglio non saprei cosa aspettarmi. Senza dubbio è un grande risultato per tutti coloro che hanno lavorato a questo film.
Ti va di raccontarci qualcosa sui tuoi progetti futuri
Sono a caccia di fondi per un un documentario ambientato a Taranto, in una scuola di frontiera. Per il resto, tante idee, tanti progetti. Qualcosa di buono combinerò.
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