Odissea nel Design
Sono stata a Milano alla seconda edizione del Wired NextFest (16-18 maggio 2014), una tre giorni dedicata ai media e alle nuove tecnologie, organizzata dalla rivista omonima nei giardini di Porta Venezia, ora rinominati Giardini Indro Montanelli.
La manifestazione era interamente gratuita e tra i diversi appuntamenti c’era di tutto, da performance musicali a dibattitti su temi di attualità. Gli incontri sono stati incentrati su tre temi ispirati alle Lezioni Americane di Calvino: velocità, visibilità e leggerezza.
Sabato 17, ero lì. Era la giornata dedicata alla visibilità e volevo appunto vedere uno dei miei modelli ispiratori, lo scrittore cyberpunk Bruce Sterling, che da qualche anno vive nei pressi di Torino. Il mio goal principale era avere l’autografo di Bruce sulla mia copia di “La matrice spezzata”. Arrivo e mi perdo alla ricerca del Red dome, la tenso-struttura principale del festival, che nel mio immaginario avrebbe dovuto essere rossa, o almeno con una scritta rossa… Non la vedo. Gentili hostess passmunite mi indirizzano verso l’acquario, in fondo al parco. Trovo un maxischermo, ma chi sta parlando non è Sterling. Passo oltre e mi perdo di nuovo: gente che corre, nonni coi nipoti, liceali che bigiano. Uno con le cuffiette mi dice che non ci sono tende rosse (il rosso, di questi tempi, pare che sia un colore da usare con cautela). Un senegalese mi ripete lo stesso concetto, vorrebbe anche vendermi uno dei suoi libri, ma sono in ritardo e ha pietà di me: tra zaino e Nikon con teleobbiettivo, sto un po’ trafelata e si vede. Ritorno all’area festival con gli stand degli sponsor, le tende e il bar e capisco: il Red dome è la tenda bianca più grande e Sterling ha già finito il suo intervento.
Entro comunque: ricevo in omaggio la barretta di cioccolato offerta dallo sponsor e vado a sedermi, stravolta, in prima fila, nei posti di lato. Sullo schermo, c’è la foto gigante di una giornalista cinese, costretta alla latitanza per i suoi articoli di denuncia. Sta parlando il nobel per la pace, Jared Jansen, un legale esperto di diritto internazionale: si occupa di cause che riguardano gli attivisti in varie parti del mondo (dalla Cina al Medioriente) e inizia a dire che sono cause perse in partenza, viste le condizioni di censura e di repressione ancora attive in molti paesi.
Però insiste che è grazie al WorldWideWeb se sono venute alla luce problematiche di censura, segregazione e violazione dei diritti umani, anche dai più remoti angoli del globo. L’incontro è interessante, ma mi accorgo che Sterling è seduto dietro di me: mi mette a disagio. Mi alzo, gli scatto un paio di foto ed esco al sole a fare colazione.
Il senegalese torna a propormi i suoi volumi. La parola stampata, lì, in mezzo a quel trionfo di sponsor, schermi e new media, mi commuove. Gli compro 5 libri per venti euri. Sono nata predigitale, che ci posso fa’?
Sullo schermo parla l’indiano Deepak Ravindran, che si è inventato una app milionaria, e io, stesa sul pratino, mi spalmo la crema da sole e osservo il passeggio hipster.
Alle 13, pausa pranzo: si ferma tutto. Cerco invano un addetto stampa, che mi ceda il suo pass postumo (non si sa mai…). Ma mi cattura lo stand Vodafone che mi prospetta una meravigliosa vita virtuale in una casa cablata con la fibra. L’offerta pare conveniente, sono pronta a sottoscriverla, ma quando la informo che abito a Roma, la hostess va nel pallone: “Non so se a Roma c’è la fibra.” Evito di dire che abito a un quarto d’ora dal Colosseo, sento dentro di me una voce automatica che mi avverte: “Evitare di parlare di digital divide tra Roma e Milano_ evitare, evitare, evitare”. Così, non faccio polemica e ottengo in regalo il pranzo al sacco. Viva gli sponsor!
Mentre mangio sul pratino e sfoglio la copia omaggio di Wired, mi si avvicina una ragazza di colore: anche lei vuole vendermi qualcosa. Si chiama Maria, sta in Italia da un po’, non ha mai visto Roma, ma vorrebbe perché sa che è molto bella.
E arriva l’imprevisto: parecchi uomini, con striscioni e fischietti, si affollano davanti al Red Dome. Sono tassisti e protestano. Come tutti, in Italia: la cosa non mi sembra degna di particolare attenzione, mi sposto in un’altra tenda a seguire un incontro su Wikileaks. Ma intanto la tensione sale: non si capisce se per la protesta dei tassisti, per il caldo, o per l’ansia del dj-set di Giorgio Moroder, programmato per la sera. Mi preoccupo solo quando vedo 4 agenti di polizia casco muniti, che si affrettano verso il concentrato di tassisti incazzati.
Esplodono bombe carta: l’effetto sonoro è perfetto, l’acustica promette bene per il dj-set. L’incontro su wikileaks inizia in ritardo, le due speaker sono un po’ nervose. I megafoni scatenano cori di slogan e nuovi petardi fanno tremare la tensostrutturina, in cui siamo un po’ stipati, come polli in una serra. Decido di uscire.
I tassisti contestano l’applicazione Uber, perché – dicono – permette a chiunque possegga una macchina e abbia tempo libero di fare il loro lavoro. Siccome Milano è un buco e i mezzi pubblici funzionano già abbastanza bene, si può capire che siano incavolati. Assisto a un geniale scontro verbale fra i tassisti e un signore pelato, accompagnato da una signora in elegante maglietta a righe e gonna longuette (Il look Amélie Poulain, dopo i 40, è sempre un rischio, ma ammetto che la signora ha il suo fascino post-chic). E’ chiaro che i tassisti, alzando quel bordello, fanno solo il gioco del festival, animando una pausa pranzo con un po’ di poliziotti, potenzialmente indigesti alla mamma di Aldrovandi, presente al festival per un incontro su un altro argomento. Ma il problema reale per gli organizzatori è lo slittamento della scaletta (sia mai che qualcosa a Milano ritarda). I tassisti stanno quasi per aggredire fisicamente il tizio pelato, lo insultano pesantemente, anche se non sanno chi sia.
La situazione si risolve in un paio d’ore; intanto, nel Red dome, proseguono le conferenze.
The special Need è un interessante documentario on the road di Carlo Zoratti: racconta di Enea, ragazzo autistico, alla ricerca dell’amore e del sesso.
Segue lo scrittore Evgeny Morozov, che parla di rehab al tempo dei social network. Spiega che stare troppo tempo su FB rovina la vita, che farsi troppe foto con lo smartphone riduce la memoria visiva e altre menate intellettualoidi-psicologiche che sono un po’ la fiera dell’ovvietà. Ma forse destano un po’ di ansia alle giovani madri. L’accento russo di Morozov fa molto comunista pentito, ma non troppo, come il Red dome, che è bianco fuori, ma rosso dentro, per migliorare l’effetto scenico dello streaming e permettere anche al pubblico di pomiciare con lo smarthphone in penombra…
L’ultima presentazione è quella decisiva: Salvatore Iaconesi, definito interaction designer, parla di “Near Future Design: immaginare gli oggetti del futuro”. E’ una metodologia di lavoro sul racconto e l’immaginario, che intreccia diverse competenze professionali, per creare performance artistiche multimediali. E’ stato presentato un progetto dello studio di design Nelly Ben Hyaoun, che grazie alla collaborazione della regista e scrittrice serba Jasmina Tesanovic (per la cronaca rosa, moglie di Sterling) ha coinvolto scienziati spaziali di tutto il mondo (NASA-SETI) e musicisti del calibro di Damon Albarn e Bobby Womack, per creare un’orchestra ispirata al tema del viaggio nello spazio. Dal progetto, è nato un film, oltre che concerti, tenuti dall’orchestra, con partecipazioni musicali come Beck. Tutte le info e i trailer QUI.
Se vi sembra poco, è un problema vostro: io mi sono entusiasmata alla presentazione, fatta da Jasmina in tuta della Nasa. Sterling ha definito ulteriormente il concetto di designed narrative, come un modo nuovo di concepire la narrazione e l’arte, facendo vivere il futuro in performance multimediali, che raccontano scenari possibili e immaginano altre realtà. Le performance si rivolgono al pubblico, non come prodotti di un autore singolo, ma come testi nati e sviluppati attraverso il cervello collettivo del web. Ascoltate Bruce, QUI.
Per il finale, grande entusiasmo per il DjSet di Giorgio Moroder, che mi fa pensare che forse un altro mondo non è possibile, ma immaginare il futuro è doveroso: gli scrittori lo fanno da diversi millenni e ora le tecnologie digitali permettono di realizzare film che dieci anni fa sarebbero stati improponibili economicamente. Non bisogna credere che questa possibilità produttiva sia accessibile solo agli autori mainstream: infinite sono le vie della rete, per la creatività, l’espressione e l’arte. Possiamo arrivare a vedere i famosi bastioni in fiamme al largo di Orione: è solo una questione di immaginario.
Testo e foto di Fosca Gallesio