Il concorso di sceneggiatura riservato a sceneggiatori tra i 16 e i 30 anni
Questa è la prima parte di un focus sul Premio Internazionale per la Sceneggiatura Mattador, il concorso triestino è giunto quest’anno all’ottava edizione e oltre ai premi in denaro offre dei percorsi formativi di sviluppo della propria idea. Si partecipa sia con soggetti che con sceneggiature, la scadenza è il prossimo 15 aprile. Tutte le informazioni sul sito
La particolarità del Mattador è di essere un concorso pensato e dedicato ai giovani sceneggiatori di ogni nazionalità tra i 16 e i 30 anni. Infatti il premio nasce in memoria di Matteo Caenazzo, giovane triestino studente di cinema all’Università Ca’ Foscari di Venezia, scomparso prematuramente il 28 giugno 2009, mentre stava studiando con l’obiettivo di intraprendere la professione di sceneggiatore.
Il Mattador si propone di far emergere e valorizzare i nuovi talenti che scelgono di avvicinarsi alla sceneggiatura e, oltre ai premi in denaro, offre dei percorsi formativi in cui più tutor professionali affiancano gli autori finalisti in un lavoro di sviluppo sia in italiano che in inglese, che ha come obbiettivo l’elaborazione di un progetto articolato e pronto per essere presentato sul mercato.
Il concorso mette in palio: il premio MATTADOR alla migliore sceneggiatura per lungometraggio, che consiste in 5.000 euro e la possibilità di vedere pubblicato il proprio lavoro nella collana Scrivere le immagini. Quaderni di sceneggiatura; il premio MATTADOR al miglior soggetto di 1500 euro, che andrà a uno fra i soggetti finalisti che avranno partecipato al percorso di formazione e di sviluppo professionale; il premio CORTO86 alla migliore sceneggiatura per cortometraggio, che prevede il percorso formativo di realizzazione del corto; e il premio DOLLY – Illustrare storie per il cinema alla migliore storia raccontata per immagini, che prevede una borsa di formazione per il vincitore della sezione e 1.000 euro alla fine del percorso formativo, assegnati in base all’impegno e al risultato del tirocinio.
Abbiamo incontrato la vicepresidente Laura Modolo che ci racconta la storia del concorso e il socio WGI Vinicio Canton, che collabora come tutor dal primo anno dell’iniziativa.
Laura, che idea ti sei fatta dei pensieri delle nuove generazioni, della direzione presa dai futuri sceneggiatori?
Parlo come Vicepresidente del premio, ma anche come genitore: vedo una maturità nei ragazzi di oggi che smentisce le generalizzazioni sul loro conto. In otto edizioni del Premio Mattador ho conservato la sensazione di generazioni per nulla immature, ma con problematiche diverse dalle generazioni precedenti. I ragazzi oggi sono forse meno preparati su alcuni aspetti pratici della vita, ma come pensiero e approccio affrontano temi complessi e sensibili, spesso anche di carattere sociale come l’immigrazione, la disabilità, la malattia, la malavita, la droga; ma lo fanno sempre con modalità e sensibilità talmente particolari, che per me è evidente che abbiano vissuto questi problemi in prima persona o almeno ne abbiano sentito parlare da qualcuno molto vicino. Anche quando scrivono ispirandosi a fatti di cronaca, questi ragazzi dimostrano di avere colto le fragilità e le debolezze della nostra società.
Com’è la qualità di scrittura dei soggetti e delle sceneggiature che vengono inviati al concorso?
Essendo un Premio aperto anche a giovanissimi, e sappiamo quanto sia difficile scrivere bene, ci accorgiamo che i ragazzi non sanno bene l’italiano. Alla fine i migliori scritti, i più belli, sono anche quelli con una migliore sintassi: si capisce che gli autori sono persone che leggono e studiano. Riscontriamo in generale la presenza di una scrittura piuttosto scorretta, un linguaggio importato dai social, dal loro modo di parlarsi per abbreviazioni. Abbiamo delle giurie qualificate, un gruppo nutritissimo di cinquanta lettori illustri, professionisti, sceneggiatori, registi e produttori, che si occupano di scegliere i lavori in concorso, che confermano quanto la carenza della scrittura deriva spesso da una carenza nella lettura. Anche per questo motivo dal 2010 abbiamo scelto di produrre, in collaborazione con EUT Edizioni Università di Trieste, dei Quaderni di Sceneggiatura, una collana dove trovano posto non solo le sceneggiature vincitrici ma anche i testi importanti da leggere se si vuole affrontare questo mestiere. Abbiamo poi chiesto ai ragazzi di inviarci i loro consigli di lettura, che compongono una sezione specifica, e abbiamo avuto molte sorprese.
Infatti offrite anche un percorso formativo: spesso i ragazzi sono molto giovani, hai notato un loro cambiamento, un’evoluzione di scrittura durante il percorso di tutoraggio?
Sì, certo. Abbiamo da subito abbassato l’età dei partecipanti proprio per intercettare i giovani ancora in formazione, quelli che a volte devono ancora scoprire cosa faranno da grandi e che magari nel tempo sceglieranno altre strade. La nostra offerta formativa inizialmente era pensata come un lavoro one to one con un solo tutor, con l’esperienza è diventato un percorso formativo di gruppo. Sono stati proprio i commenti dei ragazzi, di cui raccoglievamo i feedback alla fine, a indirizzarci su questa strada. In questo modo loro trovano in noi un punto fermo, si sentono ascoltati, stimati. E le reazioni in gruppo sono entusiaste. Si creano legami, si impara a relazionarsi con una classe di pari e non solo con un adulto. I ragazzi, incoraggiati nella loro creatività, accanto all’apprendimento delle tecniche e all’avvicinamento alla realtà lavorativa del settore, sperimentano davvero una crescita grande. Negli anni abbiamo focalizzato la nostra attenzione non tanto sul passaggio dal soggetto alla sceneggiatura, ma sullo sviluppo del soggetto. Questo perché a volte l’idea di partenza è ottima, ma la struttura narrativa è debole o i personaggi sono poco interessanti ed è lì che, come dicono i nostri tutor, bisogna lavorare.
Anche i giovani che incontrate manifestano nei loro scritti la mancanza di fiducia nel futuro che pare essere la caratteristica delle nuove generazioni?
Sì. Anche se molti di loro sono veramente appassionati in quello che fanno, ci accorgiamo di questa diffusa mancanza di speranza quando leggiamo gli argomenti da loro scelti, ovvero gli aspetti più negativi della vita, ma soprattutto parlando con loro. Ciò che li circonda e ciò che fanno perde valore, come se non potessero crederci: quando andiamo a parlare nelle scuole e nelle università, quando presentiamo il premio, ripetiamo costantemente di non avere paura di tirare fuori le loro storie. Spesso temono che il loro lavoro non sia interessante, ma noi cerchiamo soprattutto storie capaci di emozionare. Il premio Mattador è nato fin dall’inizio con una forte valenza educativa, etica e formativa, nel rispetto del pensiero e dei principi che Matteo, entusiasta della vita e appassionato di cinema come di ogni forma d’arte, ha sempre seguito. Ci accorgiamo sempre di più, e lo dico con semplicità e gioia insieme, che il Premio Mattador è diventato un reale punto di riferimento per generazioni di ragazzi che restano in contatto con noi con fiducia e affetto ricambiati, in uno scambio che ci nutre. Quando sento dire da alcuni di loro – Finalmente qualcuno che crede in noi! – ecco, allora penso a quanto noi adulti dobbiamo dare fiducia alle nuove generazioni. Siamo noi l’esempio, il riferimento: in primis la famiglia, e poi gli insegnanti, entrambi importanti. Mi permetto, infine, di far notare un altro aspetto: questi ragazzi sono attenti e molto informati su tutto ciò che accade, leggono i giornali, soprattutto online. Allora, una responsabilità ce l’ha anche chi fa informazione, il modo attuale di fare giornalismo può cambiare, trasformarsi in qualcosa di più autentico, ma anche più positivo. Siamo sempre più telecomandati e bisogna avere un pensiero critico forte per non essere soggiogati da questo modo distorto di fare comunicazione. Penso che il comportamento individuale sia fondamentale: agiamo creando a ruota una sorta di trasmissione di energia e di pensiero attorno a noi. Tutti.
Vinicio Canton, tu oltre che sceneggiatore professionista e socio fondatore WGI, fai il tutor al premio Mattador dalla prima edizione. Quindi è un bel po’ che lavori accanto ai ragazzi, come li vedi questi giovanissimi aspiranti sceneggiatori?
VC: Affiancare i ragazzi che partecipano al premio è prima di tutto un grande privilegio. La loro energia e l’entusiasmo, che li spinge a provare a fare un mestiere bellissimo e altrettanto difficile, è un’occasione di crescita soprattutto per me. Durante tutte le sessioni di tutoraggio, noi sceneggiatori più esperti possiamo trasferire ai ragazzi che iniziano la nostra esperienza, ma è la loro urgenza di raccontare storie che abbiamo il dovere di stimolare. Senza accanimento, mi viene quasi da dire ossessione, un aspirante sceneggiatore faticherà a diventare un professionista, perché è un risultato che si ottiene solo con la capacità di resistere alle delusioni e ai rifiuti, la disillusione è connaturata a questo mestiere. Non tutti l’hanno mostrato, ma molti dei ragazzi a cui ho avuto la fortuna di fare da tutor, adesso lavorano in importanti case di produzione qui a Roma. Quindi, per rispondere alla domanda dopo questa lunga premessa, negli anni di tutoraggio ho incontrato ragazzi magari inesperti, a cui spero di avere dato qualche ferro del mestiere in più, ma tra di loro c’erano sicuramente degli sceneggiatori. E sono quelli che non coltivano aspettative o speranze, ma che sentono di dover dedicare la loro vita e i loro sforzi a raccontare quello che hanno dentro.
Dal primo anno ad oggi com’è cresciuto o cambiato il Premio Mattador? E tu sei cambiato?
VC: Devo dire che fin dalla prima edizione Mattador ha espresso una qualità alta di autori. Non è un caso che alcune delle sceneggiature che hanno vinto il premio alla sceneggiatura si siano trasformate in film (risultato per niente scontato). L’esperienza ha naturalmente migliorato sia la qualità della selezione che quella di noi tutor (oltre a me a seguire i ragazzi nel tutoraggio ci sono Andrea Magnani, Laura Cotta Ramosino e Maurizio Careddu). La prova più difficile per chi interviene su idee altrui è quella di non modificarle, non trasformarle nelle proprie. Devo dire che all’inizio tendevo maggiormente a trovare soluzioni narrative al posto dei ragazzi, mentre ora sono più in grado di guidare senza suggerire o addirittura forzare soluzioni.
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