Il 31 agosto a Venezia c’è stato l’incontro tra la Women in Film, Television & Media Italia, il presidente della Biennale Paolo Baratta e il direttore artistico Antonio Barbera. In questa occasione è stato firmato un documento per la parità e l’inclusione delle donne nei festival promosso dalla Wif Italia e la Carta50x50by2020 in collaborazione con le colleghe di Dissenso Comune e quelle francesi di Deuxieme Regard.
Il 3 settembre, durante un atteso evento, la Women in Film Italia ha tenuto un dibattito per testimoniare l’esistenza e le potenzialità di questa nuova associazione. La partecipazione da parte di tutte le operatrici e gli operatori dell’audiovisivo è stata ampia e calorosa e la volontà d’aderire alla Wif è stata dichiarata da molte associazioni femminili del settore nonché da professioniste attive in diversi ambiti. Kissy Dugan, la presidente, ha anche sottolineato che, assieme alla Ewwa e alla WGI, è già in atto una sinergia che ha come obiettivo un’attività di collaborazione e sostegno reciproco.
L’associazione Women in Film nasce nel 1973 a Los Angeles e si diffonde rapidamente in molti Paesi europei. È un’organizzazione che al momento vede iscritte circa 14.000 professioniste/i che operano nell’industria cinematografica, televisiva e del web in tutto il mondo. È stata creata a difesa delle donne che lavorano nello spettacolo e che, dati alla mano, hanno molta meno visibilità e opportunità dei colleghi maschi. Kissy Dugan, sceneggiatrice e producer, americana di origine e italiana di adozione, ha deciso di creare anche una Women in Film italiana.
Kissy, come nasce questo desiderio?
Quello che ha fatto scattare in me l’esigenza di portare anche in Italia questa organizzazione è stata la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni americane. Ci avevo sperato. Finalmente una donna alla presidenza degli Stati Uniti, pensavo. Così purtroppo non è stato. Nello stesso periodo è nato il movimento “MeToo” e questo mi ha dato la spinta definitiva. Ho sentito amici e colleghi per capire che cosa ne pensavano e tutti erano entusiasti dell’idea di creare Women in Film Italia quindi mi sono data da fare. Ho preso contatto con le associazioni di donne dello spettacolo esistenti in Europa, che sono molte, e siamo riuscite a fare questo grande passo!
Come è organizzata attualmente la Wif Italia?
Siamo nate da poco quindi siamo solo all’inizio, spiega Margherita Chiti, vicepresidente dell’associazione. Al momento ci dividiamo le aree di competenza. C’è chi si occupa della Comunicazione, chi della tesoreria, chi della pianificazione eventi, chi della raccolta dati ecc. Uno dei nostri primi progetti è lavorare in un ambito formativo, ad esempio portando la cultura della parità e dell’integrazione nelle scuole non solo di cinema, raccontare mestieri che spesso le donne svolgono dietro le quinte, quindi poco apprezzati e conosciuti. Il sogno è di riuscire a creare delle borse di studio e dei premi. Insomma le idee sono tante dobbiamo solo riuscire a costruire un’organizzazione più solida, sia strutturalmente che economicamente. Ci riusciremo.
Avete previsto un supporto legale?
È uno degli obiettivi per essere un punto di riferimento per tutte le donne in difficoltà ma vorremmo anche sostenere le donne che cercano lavoro oppure orientare le giovani appena uscite dall’università, aggiunge Monica. Vorremmo creare una grande rete anche perché l’idea della rete ci piace, evoca un’immagine di collegamento e di sostegno allo stesso tempo.
La Women in Film è aperta anche agli uomini?
Certamente, a tutti coloro che riconoscono le difficoltà che incontrano le donne nel lavoro e che sono pronti a difendere i loro diritti.
Kissy, quanto ritieni sia discriminante il mondo dei Media in Italia?
Non poco. Stiamo raccogliendo dei dati dove è evidente che le donne sono in netta minoranza e non sempre riescono ad emergere, anche tenuto conto degli impegni familiari che spesso inevitabilmente gravano su di loro. D’altra parte, in questo Paese, anche in altri ambiti, il ruolo della donna nel lavoro è penalizzato e spesso meno pagato di quello degli uomini.
Durante la conferenza del 3 settembre si è parlato anche di quote rosa. Qual è la vostra posizione al riguardo?
Ne stiamo discutendo, ci sono posizioni differenti al nostro interno. Se da una parte non vogliamo essere trattate come una specie in via di estinzione da difendere a tutti i costi dall’altra è un’opportunità utile a molte donne che, pur meritandolo, spesso non anno accesso ai livelli più alti della professione, quasi sempre appannaggio degli uomini. Durante il mio recente viaggio in Svezia abbiamo tenuto un incontro con altri 7 paesi. L’obiettivo era una raccolta dati a livello internazionale per capire esattamente come è la situazione delle lavoratrici. Ne è emersa la volontà di creare un think-tank per raccogliere dati reali in maniera capillare e per capire come e dove intervenire.
In Svezia viene applicato il Bechdel Test ad un film prima che sia mandato in sala per valutare se le figure femminili siano state rappresentate in maniera corretta o se siano frutto di stereotipi. Secondo te sarebbe possibile una cosa del genere in Italia?
Io credo che non siamo pronti. Probabilmente il test non lo passerebbe nessun film Italiano. Per farti capire la differenza: in Svezia sono stata ospitata da un regista e produttore il quale, quando ha avuto un figlio, ha bloccato completamente il suo lavoro per tre anni perché non voleva che la cura del piccolo pesasse completamente sulla sua compagna. Ma si sa, loro sono oltre.
Un pregio e un difetto della WGI, secondo te?
Condividiamo moltissime cose con il vostro sindacato, aderiamo al vostro decalogo, apprezziamo le vostre battaglie che sono anche le nostre. Una cosa che potrebbe essere interessante portare al dibattito, però, è stabilire un compenso minimo per gli sceneggiatori in modo che possa essere un riferimento per orientarsi.
Prossimi eventi?
Il 14 settembre a Milano, in occasione di “Visione Incontro”, ci sarà un panel, a partire dalle 17:00, in cui Women in Film si presenterà al pubblico e parlerà dell’evento di Venezia. Vorremmo presentare la nostra associazione in altre città d’Italia perché non vorremmo che fosse considerata solo romana.
Quale potrebbe essere un terreno di lavoro comune?
Primo rendere visibili gli invisibili (le donne) tra gli invisibili (gli sceneggiatori) in tutti i modi possibili. E poi c’è un progetto internazionale da portare avanti assieme. In Svezia abbiamo raccolto delle domande da diffondere a livello europeo per comprendere a fondo quali sono le nostre esigenze. L’obiettivo è portare le nostre istanze al Parlamento Europeo.
Per iscriversi alla Wif che cosa bisogna fare?
Basta andare sul nostro sito: www.wiftmitalia.it. Qui si troveranno tutte le indicazioni.
Un augurio per Wif Italia e Wgi insieme.
Mi auguro che riusciremo ad unire le nostre energie per fare grandi cose.
Intervista a cura di Silvia Longo