Equo compenso o copyright?
Il convegno sull’Equo compenso da copia privata è stato organizzato e diffuso in streaming dal Movimento Cinque stelle e dallo Studio Sarzana nella sala delle Colonne della Camera dei deputati, a palazzo Marini. WGI era l’unica associazione presente, in rappresentanza degli autori.
Siamo andati a ripetere quello che era contenuto nella nostra petizione, ovvero che occorre trasparenza, non solo da parte di SIAE, ma di tutte le collecting che incassano i soldi pubblici di copia privata. Che siamo disponibili a discutere una messa a punto della legge e del decreto, ma che non è possibile prescindere dagli autori e dal loro diritto ad essere pagati, perché sono i contenuti degli autori e la possibilità di fruirne che alimentano il mercato dei devices. E’ il prodotto creativo che va difeso in concreto: non ci basta la pur incoraggiante dichiarazione di Elio Catania, presidente Confindustria Digitale, di non avere nulla contro la creatività. Sì, ma chi deve pagare gli autori? Tutti i presenti hanno fatto un passo indietro, nascondendosi dietro al fatto di non appartenere all’industria della creatività, anche se la legge li chiama in causa, di essere solo degli intermediari e hanno per di più accusato una sofferenza di mercato, ciascuno per la propria fetta di attività. I recentissimi aumenti di Apple sui propri prodotti, provocatori o no, parlano chiaro.
Tutti gli interlocutori hanno, quindi, chiesto un congelamento del decreto Franceschini, in molti una revisione dell’art. 71-septies della legge 633/41, che istituisce il principio del compenso per copia privata e li costringe a versare ogni tre mesi il dovuto alla SIAE.
Una voce, quella di Davide Rossi, direttore generale di AIRES, associazione dei distributori, si è levata a chiedere che la legge sul diritto d’autore venga abolita del tutto e sostituita dal copyright anglosassone. Perché? Per praticità: nelle trattative tra distributori e produttori, l’equo compenso è una scocciatura (sic!). Meglio liberarsi degli autori-scocciatori (il termine è ironico…) alla fonte, con un by out sui loro diritti: cioè un primo pagamento per la prestazione d’opera e un secondo pagamento, un doppione della prima cifra, al momento dell’utilizzo del prodotto. Li pago e li ripago, ma poi li tolgo dal mercato: così funziona in tutto il mondo, la legge del diritto d’autore (e il suo corollario di copia privata) penalizza il mercato italiano.
Giustezza delle motivazione a parte (la legge sul diritto d’autore non è solo italiana, ma largamente europea, tanto che la questione della copia privata è stata oggetto di una direttiva comunitaria) e quisquilie relative (tipo il fatto che sui diritti per il web la WGA americana è entrata in sciopero per mesi) Rossi non è stato certo il primo a considerare la 633/41 un ostacolo alla crescita del mercato e noi degli scocciatori.
Il caso Marescotti e la successiva battaglia con la RAI sulle clausole relative alla par condicio avevano già dimostrato che sebbene in Italia esista il diritto d’autore, network e produzioni tendono a raggirare il principio fino a trasformarlo a nostro svantaggio in un copyright non pagato. Notate bene che anche la clausola portata a casa sulla par condicio, non prevede retribuzione in caso di modifiche. Del resto lo sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle: i produttori si infilano nei nostri diritti come dei carri armati, non solo con una straripante richiesta di modifiche, ma alcuni addirittura con la pretesa di firmare bollettini SIAE come autori di soggetti di serie al posto nostro e altri, rari per fortuna, con la richiesta di illegali cessioni dell’equo compenso a loro nome.
C’è una banale riflessione da fare: nei paesi dove il diritto d’autore sembra moralmente bistrattato e le opere dell’ingegno considerate come un qualsiasi prodotto industriale, automobile o saponetta, gli autori sono meglio pagati e più rispettati nei credits e nella prassi. Da noi, ci riempiono di belle parole per legge e per scritto, ma ci rispettano assai poco. Rispettare la creatività non è un fatto considerato per quello che è, cioè una funzione essenziale del mercato, ma piuttosto un bel gesto umanitario, un fiore all’occhiello di forze politiche e governi.
Quindi?
Quindi, come ci ripete il nostro garante, non è una legge che ci può proteggere, se noi non la conosciamo e non pretendiamo che venga rispettata. Giusto. Tocca a noi, soprattutto a noi sceneggiatori che siamo i primi ad aprire la filiera creativa del prodotto autodiovisivo. La legge 633/41 la conosciamo abbastanza? La facciamo rispettare? WGI ha usato il termometro di un sondaggio per scoprirlo. Ecco i risultati nel file allegato.