THE WITCHER
Introduzione
IL VIAGGIO DELL’ANTI-EROE TRA I VARI MEDIA
Nel 2019 è stata pubblicata sulla piattaforma Netflix la prima stagione della serie televisiva fantasy The Witcher, seguita poi dalla seconda nel 2021. Entrambe le stagioni, in particolar modo la seconda, hanno ottenuto un grande successo di critica e di pubblico, seppur con qualche riserva. Quando si parla di The Witcher tuttavia, ci si riferisce a un vero e proprio franchise, di cui la serie televisiva non è altro che uno dei prodotti più recenti. Esso ha dato vita infatti a numerosi articoli da intrattenimento, tra romanzi, videogiochi, fumetti, film, giochi da tavolo e altri ancora, conseguendo un successo a livello mondiale con pochi precedenti nella storia. Le incarnazioni fondamentali del franchise tuttavia, sono costituiti senza dubbio dai romanzi degli anni Novanta, frutto dell’inventiva dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, i videogiochi dei primi anni Duemila e l’attuale serie televisiva.
Nell’inverno 1985, l’allora trentasettenne Sapkowski partecipò a un concorso letterario indetto dalla celebre rivista fantascientifica polacca Fantastyka, scrivendo una raccolta di racconti intitolata Wiedźmin, ossia The witcher (termine inglese inventato, tradotto in italiano come Lo strigo). Tale raccolta traeva ispirazione da celebri autori fantasy quali J. R. R. Tolkien, e anche dal noir di Raymond Chandler, uniti a diversi elementi della mitologia slava e nordica. I racconti vedevano come protagonista Geralt di Rivia, il witcher del titolo medesimo, il quale viveva avventure in un universo fantastico, nel ruolo di un guerriero mutante che combatte mostri per denaro. Il racconto arrivò in terza posizione, ma ottenne comunque un congruo numero di consensi tra i lettori polacchi, tanto che Sapkowski decise di continuare a scrivere storie. Questi racconti brevi comparirono, di anno in anno, tra le pagine di Fantastyka, per poi essere inserite e pubblicate insieme nel 1990 nella raccolta Wiedźmin. Nel 1992 vide la luce una seconda raccolta di racconti brevi, La spada del destino. In seguito, Sapkowski decise di scrivere una saga di cinque libri, scritti e pubblicati tra il 1994 e il 1999. Nel 2013, a distanza di quattordici anni dalla fine della saga, è stato pubblicato un sesto libro, ambientato cronologicamente tra le storie delle prime due raccolte.
L’universo di The Witcher divenne noto al grande pubblico però solo nel 2007, quando la software house polacca CD Projekt RED pubblicò il primo di una serie di videogiochi basati sull’universo di Sapkowski: The Witcher. Seguito poi nel 2011 dal secondo titolo, The Witcher 2: Assassins of Kings e infine da The Witcher 3: Wild Hunt nel 2015. Con lo stesso Geralt di Rivia nel ruolo di protagonista, e con un intreccio narrativo integralmente nuovo, senza il minimo contributo da parte di Sapkowski, la serie videoludica conobbe un grande successo di critica e vendite, con un seguito di fan molto agguerrito.
La terza incarnazione fondamentale del franchise di The Witcher prese forma nel 2017, quando la casa di produzione polacca Platige Image annunciò che era in corso la produzione in esclusiva per Netflix di una serie televisiva live-action in lingua inglese tratta dalla serie di libri e con l’autore Andrzej Sapkowski direttamente coinvolto nel processo di creazione. L’uscita della prima stagione di The Witcher, composta da 8 episodi, è avvenuta nel dicembre 2019, con protagonista l’attore Henry Cavill nel ruolo di Geralt. Per via del successo di pubblico riscontrato è stata realizzata la seconda stagione nel 2021, e annunciata una terza stagione per l’estate del 2023.
Nonostante le differenze tra i vari prodotti, essi condividono il medesimo punto di forza che contraddistingue l’intero franchise, ossia l’impianto narrativo, che approccia temi profondi e assai attuali. I personaggi soprattutto, molto realistici pur nella loro natura fantasiosa, hanno fatto appassionare tante persone, poiché nell’ambientazione fantasy, popolata da cavalieri, maghi, contadini, re, mercanti e simili, è possibile riscontrare modelli umani della società contemporanea. Tra essi spiccano senza dubbio i tre protagonisti: Geralt, il witcher in persona, la maga Yennefer, sua amata, e la giovane Ciri, loro figlia adottiva. Il presente articolo mira appunto a esaminare il viaggio che ognuno di essi compie all’interno della prima stagione della serie televisiva, mettendoli a confronto con gli altri due prodotti principali del franchise: la serie dei romanzi e i tre principali videogiochi.
Per comprendere la natura del viaggio dei tre Eroi, è necessario prima guardare alle caratteristiche del mondo in cui vivono. La prima cosa da osservare è l’ambientazione che, a prima vista, potrebbe apparire identica come nei più noti classici fantasy: un mondo simile al Medioevo, abitato da esseri umani, elfi, nani, gnomi, maghi, e altre creature magiche. Ma l’apparenza inganna, poiché The Witcher ribalta molti dei canoni tipici del fantasy. Per esempio, nel presente universo è assente la lotta tra il Bene e il Male; al contrario, uno dei temi centrali del franchise consiste nel fatto che è estremamente difficile distinguere una buona azione da una cattiva, come anche una brava persona da una malvagia. In effetti, in The Witcher nulla è mai moralmente bianco o nero, ma tutto è grigio.
La serie televisiva in particolare, lo mostra fin dal principio: il primo episodio si apre con Geralt che combatte contro un mostro in una grigia palude immersa nella penombra. Da questo punto di vista, la serie TV mantiene una perenne atmosfera di grigiore: la luce è quasi sempre fioca e sommessa, anche di giorno, come a ricordarci costantemente che in questo mondo tutto è indistinto, confuso, ingannevole. Quando cala il buio della notte poi, è ancora peggio. La lieve luce del giorno lascia il posto alla completa oscurità, durante la quale i mostri escono dai loro nascondigli e si consumano le atrocità più indicibili. I personaggi sono immersi in questa atmosfera perennemente tetra, dove bisogna continuamente guardarsi dai pericoli e lottare per la sopravvivenza. Anche quando i protagonisti vincono le proprie battaglie l’atmosfera bigia permane; in The Witcher non vi è luce che squarci le tenebre. Non vi è vittoria del Bene sul Male. Ma la ragione è perché, in fin dei conti, né l’uno né l’altro esistono, almeno non in quanto concetti metafisici. Anzi, come viene esplicitato nel primo episodio, L’inizio della fine, spesso l’unica scelta che si presenta a una persona è fra due Mali, il Male minore o il Male maggiore.
Si potrebbe affermare che nell’universo di The Witcher siano tutti malvagi, poiché ci presenta gli abitanti di questo mondo immaginario il cui unico fine è perseguire il proprio interesse; dal povero contadino al sovrano di un regno, l’unica motivazione che li guida è avere maggiore ricchezza, o esercitare potere. Si percepisce una fondamentale assenza di ideali, e anche quando sembrerebbero presenti, vengono ritratti come meri inganni volti a coprire interessi meschini e giochi di potere. Le cosiddette brave persone, quelle che si comportano bene per fare del bene, sono assai rare. D’altra parte, come sarebbe possibile essere buoni di animo in un universo del genere, dove solo il più forte o il più spregiudicato sopravvive?
In aggiunta, uno dei temi che The Witcher pone come centrali è l’imprevedibilità delle conseguenze, sul lungo termine, delle proprie azioni: anche se un gesto viene compiuto con buone intenzioni, non è detto esso produca effetti positivi. Anzi, può avvenire il contrario: un’azione fatta con buone intenzioni può generare anche effetti negativi. Di conseguenza, in The Witcher nessuno vive per sempre felice e contento ed è molto difficile che le storie si concludano con un lieto fine.
L’assenza di ideali va di pari passo con un’altra carenza che si percepisce: il legame con il divino, con il trascendente. In tutti e tre le incarnazioni di The Witcher l’esistenza effettiva di esseri divini viene lasciata volutamente ambigua. Benché esistano religioni e culti organizzati, ispirati alla religione cattolica o alle tradizioni nordiche e celtiche, la presenza autentica degli dei, non è mai confermata e nemmeno autenticamente percepita[1]. Il tema della vita dopo la morte non viene neanche approcciato. Non c’è quindi legame con la trascendenza, né una qualsiasi forza ideale che elevi gli abitanti di questo oscuro mondo verso qualcosa di più alto del piano terreno, della pura materialità.
Una forza che sembra agire dall’alto è il Destino. L’universo di The Witcher è pieno zeppo infatti di profezie, predizioni, leggi mistiche e domande sul futuro. Ma in definitiva anche il Destino viene rappresentato in maniera ambigua, lasciando il dubbio se davvero gli avvenimenti siano stabiliti da una forza superiore o se invece sia tutto frutto del caso. Inoltre, il Destino, anche qualora la sua esistenza fosse fuor di dubbio, è per sua stessa natura imperscrutabile: non è possibile conoscerlo in anticipo e non è neanche detto che esso conduca a un esito piacevole. Neanche nel Destino, quindi, un individuo può trovare conforto o risposte.
Altra forza che può influire sulla sorte degli esseri umani è la Magia, la quale, a differenza del divino, certamente esiste in The Witcher. Essa è presente quasi dappertutto: a volte in maniera molto evidente come nel caso di un mostro o di un incantesimo, altre volte come una forza invisibile, che agisce nel silenzio, come la Legge della Sorpresa. In The Witcher la Magia è rappresentata come una forza neutra, simile alla tecnologia del mondo reale, né buona né cattiva, ma potenzialmente molto pericolosa, poiché deriva dal Caos. Coloro che hanno il dono della Magia devono infatti passare per un duro addestramento per imparare a controllarla, altrimenti essa può facilmente diventare un mezzo per sconvolgere l’equilibrio del mondo e portare distruzione. L’universo di The Witcher abbonda di maledizioni che costringono le persone a una sorte miserevole, o di individui che utilizzano la Magia per fare del male o per il mero profitto. Benché sia presente una casta di maghi “ufficializzati”, essi appaiono molto più interessati a difendere i propri privilegi che a usare la Magia in modo saggio. Per le ragioni sopra elencate, la Magia, e tutto ciò che deriva da essa, è guardato con sospetto e paura dalla maggior parte della gente.
In sostanza, The Witcher ci presenta un universo pieno di contraddizioni, sofferenza e ingiustizia, in cui non vi è alcuna certezza e nessuna fonte di conforto. Ognuno è solo, abbandonato a sé stesso. L’assenza di trascendenza e di ideali relega tutti su un piano nichilistico privo di valori, dove l’unico mezzo per andare avanti è l’egoismo. In un mondo senza regole né leggi tutto è permesso, anche le peggiori nefandezze, al fine di conseguire il proprio interesse. Gli esseri umani sono catapultati in questo miasma grigio, dove nulla è certo, né garantito e non c’è nessuna luce a illuminare il cammino. In un simile universo, a una prima impressione, la sofferenza e la morte appaiono come l’unico inevitabile Destino.
Nella prima stagione della serie televisiva, questo carattere di incertezza viene ulteriormente accentuato dal fatto che persino il flusso del tempo è confuso. La serie comprende infatti tre filoni narrativi principali per i tre protagonisti: Geralt, Yennefer e Ciri. Le loro storie vengono narrate in contemporanea ma avvengono in tempi diversi. La serie balza continuamente da un personaggio all’altro, così come da un tempo all’altro. Ad esempio, nel primo episodio, L’inizio della fine, compare una Ciri già adolescente, mentre nel quarto episodio, Banchetti, bastardi e sepolture, ella non è ancora nata. Passato e presente si mescolano fra loro e il tempo perde il carattere di linearità. Nella serie ciò è stato fatto appositamente per sottolineare la posizione di parità dei tre protagonisti, ma soprattutto per rammentarci che i loro destini erano intrecciati fin dall’inizio, ancora prima che si conoscessero, e nessuna delle tre storie potrebbe sussistere senza le altre due. Lo spettatore prende coscienza dello sfalsamento temporale (e può apprezzarne il senso) solo quando arriva all’episodio 4.
Ciascuno dei tre personaggi principali compie il suo viaggio, attraverso grandi sofferenze e terribili ostacoli, allo scopo, come in ogni storia che si rispetti, di raggiungere la completezza della personalità. In un mondo come quello di The Witcher tuttavia, raggiungere la completezza non significa vivere per sempre felici e contenti, che è un obiettivo irraggiungibile. Significa invece trovare qualcosa nella vita che abbia valore, una motivazione per continuare ad andare avanti, anche in mezzo a tutta la sofferenza e il dolore.
Abbiamo analizzato ruoli e sviluppo dei tre personaggi principali in altre pagine a loro dedicati, che potrete trovare qui (Geralt), qui (Yennefer) e qui (Ciri).
In conclusione, il franchise di The Witcher ha il merito di aver creato dei prodotti dalla notevole complessità narrativa. Esso ha rimodernato molte caratteristiche tipiche del genere fantasy, creando un mondo tutto nuovo nel quale non esiste Bene e Male ma un’infinità di sfumature morali. Ha anche la caratteristica, particolarmente peculiare, di aver scartato del tutto l’archetipo dell’Eroe per valorizzare quello dell’Anti-Eroe, ossia quel tipo di protagonista tipicamente soggetto a una condizione di emarginazione, che non lotta in nome di un ideale di Bene e non è privo di contraddizioni. Ma, proprio per i motivi elencati, è ottimamente in grado di coinvolgere lo spettatore in un’atmosfera tragica e appassionante.
La prima stagione della serie TV, su cui il presente articolo si è soprattutto concentrato, sfoggia ben tre figure di Anti-Eroe, ciascuna con il proprio vissuto, i propri conflitti e i propri obiettivi. I loro viaggi partono separati, ma alla fine convergono, lasciando presupporre che nella stagione successiva le loro storie saranno collegate più strettamente. Una cosa è sicura: il loro viaggio non è terminato. Il finale della prima stagione rappresenta soltanto una prima tappa conclusiva poiché molti elementi della trama principale attendono ancora di essere esplorati.
[1] Questo assunto potrebbe essere contraddetto dall’espansione Heart of stone del videogioco The Witcher 3: Wild Hunt, nel quale compare il personaggio di Gaunter O’Dimm. Chiaramente ispirato al Diavolo, misto con elementi della letteratura lovecraftiana, Gaunter O’Dimm è dotato di poteri che si potrebbero facilmente definire divini e viene presentato come l’incarnazione del Male stesso. Ciò va piuttosto contro i temi tipici di The Witcher, nel quale non è mai presente il Male allo stato puro. C’è però da ricordare che i videogiochi si basano su intrecci integralmente nuovi, creati dagli sceneggiatori della CD Projekt RED. Ispirati all’universo di Sapkowski ma senza alcun contributo da parte sua, non sono quindi da considerare “canonici”.