La Writers Guild Italia è nata con il preciso intento di valorizzare e di far rispettare, sotto ogni aspetto, il lavoro professionale degli sceneggiatori e quindi anche la loro immagine pubblica. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, raccoglie e diffonde la voce degli sceneggiatori italiani, per tentare di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori e le sceneggiature vengono penalizzati dalle comunicazioni dei festival e degli organi di informazione.
SCRITTORI A VENEZIA
Writers Guild Italia (WGI) incontra gli sceneggiatori italiani presenti con le loro opere alla 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (27 agosto-6 settembre)Francesco Munzi ha diretto e scritto, con Fabrizio Ruggirello e Maurizio Braucci, ANIME NERE, tratto dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco. Il film è in concorso nella sezione principale Venezia 71 ed è stato proiettato oggi, 29 agosto 2014, alle 17 nella Sala Grande, e tornerà domani alle 22,10 al PalaBiennale.
Anime nere
scritto da… FRANCESCO MUNZI
1. Francesco, subito un pitch della storia in poche righe.
È la storia di tre fratelli. Uno vive tra l’Olanda e Milano, in traffici di droga; il secondo, Rocco, lavora nell’imprenditoria, a cavallo tra il crimine e l’edilizia pulita; il terzo, Luciano vive in Calabria coltivando l’illusione di tornare alla terra di famiglia, per allevare capre, come il padre e il nonno. C’è anche un quarto protagonista, il figlio di Luciano: tocca a lui, a seguito di una sciocchezza, far ripartire una faida di paese che sembrava seppellita. I conflitti sopiti esplodono, ma la guerra diretta apparentemente verso l’altro clan, si rivela in realtà come una guerra interna alla stessa famiglia.
2. Parliamo di clan, di traffici illegali…. E’ l’aspetto criminoso quello che ti ha attratto di più nel libro di Criaco?
No. Al contrario. Del romanzo ci ha conquistato la possibilità di non raccontare la sociologia del crimine, la malavita, ma di entrare invece in una storia privata. Al centro della storia, c’è uno scontro familiare, normale, in un contesto straordinario, quello criminale della ‘ndrangheta, che ci consente di alzare i toni e di arrivare all’archetipo della tragedia classica. Il romanzo Anime Nere, è un libro scritto con una grande visceralità e partecipazione. Criaco viene da Africo e conosce l’ambiente molto bene. Lo sguardo è dunque inedito, interno. E profondamente morale. Il romanzo non mitizza mai la violenza o il crimine.
3. Quali sono stati, dunque, i rapporti con Gioacchino Criaco, con l’autore del romanzo?
E’ stato un compagno di viaggio. Ci è stato vicino, ci ha dato molti suggerimenti. Non ha partecipato in maniera continuativa alla scrittura, ma ha seguito tutte le varie stesure del copione.
4. E con gli altri sceneggiatori?
La sceneggiatura è stata scritta da Fabrizio Ruggirello, che è l’autore principale. Poi, a stesura inoltrata è intervenuto anche Maurizio Braucci. Purtroppo, Ruggirello è morto lo scorso dicembre e quindi non ha potuto vedere il film finito. Era un regista, sceneggiatore ed editore di grande talento: il film è dedicato a lui.
4. Ci sono stati cambiamenti dal romanzo al film?
Grandi cambiamenti. Il film è ambientato negli anni ’80, ’90, noi l’abbiamo riportato ai giorni nostri. I personaggi che nel libro erano amici, nel film sono diventati fratelli. Nel romanzo avevano vent’anni, nel film ne hanno quaranta, rappresentano la generazione successiva. Il libro, si può dire che è servito come materia prima, è come se avessimo costruito un sequel del libro. Il racconto del presente l’abbiamo inventato ex-novo.
5. Gli sceneggiatori sono venuti anche sul set?
Ruggirello sì, anche Criaco perché abbiamo girato ad Africo, nel suo paese. La cronaca dipinge tutto il territorio in maniera fosca, ma noi abbiamo avuto un’ottima esperienza di lavoro.
6. Da 1 a 10, quanto è importante lo sceneggiatore sul set?
Dipende, ovviamente, dallo sceneggiatore. In questo caso è stata una presenza importante: non assidua, ma con un confronto continuo. Essendo anche io sceneggiatore, ero maggiormente in grado di attuare delle modifiche. La sceneggiatura deve essere solidissima per partire, e tuttavia elastica. Si deve poter plasmare, adattare all’incontro, a quello che succede… A volte, capitano cose che arricchiscono, bisogna essere capaci di ascoltare.
7. La WGI sta facendo queste interviste sulla sceneggiatura, per supplire a un vuoto d’informazione. Facciamo bene?
Sì, la sceneggiatura è una specie di pilastro silente che se non ci fosse – dico una banalità, lo so – non potrebbe esserci nemmeno il film. Eppure, sì, è un po’ il destino dello sceneggiatore quello di stare nella retrovia, anche se, senza una sceneggiatura solida, non si può andare da nessuna parte. Non so perché sia così. In Italia, c’è anche molto la figura dello sceneggiatore regista e quindi ci facciamo meno caso. Devo dire che c’è una difficoltà a trovare gli sceneggiatori bravi e a poter leggere le sceneggiature degli altri. Non perché non ci siano gli uni e le altre: perché non si sa dove sono, come arrivare a leggerle.
8. Sei già stato a Venezia con Saimir. Cosa ti aspetti quest’anno?
Domanda difficile… Che il film prenda vita. Un festival può farlo o lasciarlo dov’è, dopo una fiammata. Un festival può aprire un canale di valorizzazione, di apprezzamento. Sì, questo può farlo.
9. Avevi in mente un pubblico particolare mentre costruivi il film?
No, non abbiamo mai ragionato in termini di pubblico. Ci interessava una storia che mescolasse l’appeal de genere con una possibilità di approfondimento sulla materia. Adoperare gli stilemi della tragedia, per parlare d’altro: la nostra Italia, la Calabria, i rapporti tra il sud e il nord. Doveva piacere a noi come spettatori, prima di tutto. Arrivare al pubblico è un regalo: il regalo più grande che può dare un film.
10. Definisci il tuo film una tragedia. Siamo in Italia, è difficile pensare che non si sia infiltrato un pizzico di commedia, come una specie di atto doveroso alla cultura del paese…
A me pare che sia proprio una tragedia pura. Ci sono un paio di scene divertenti, sì, ma non sono lì per calcolo. Era giusto che, in quei precisi momenti, ci fosse un pochino di leggerezza.
11. Ti chiediamo un parere sintetico sul nostro cinema, di pescare uno o due aggettivi per definirlo…
Quale cinema? Io vedo una piccola roccaforte di resistenza che ancora osa, inventa, prova a fare cose diverse e poi vedo una maggioranza di film un po’ tutti simili, in questo momento. Se vuoi un aggettivo, userei conservatore. Conservatore, con una minoranza spregiudicata.
12. Un’ultima domanda sul diritto d’autore: ti senti tutelato?
No. Penso che siamo sempre poco tutelati, ma non ti so dare una risposta tecnica come questa domanda meriterebbe. Non mi sento tutelato per niente sul lavoro, non c’è un mercato, non c’è un’idea di inquadramento sociale, di sicurezza. Sono sempre e soltanto singole esperienze. Più che a un lavoro, somiglia a un gioco d’azzardo.
Intervista a cura di Giovanna Koch e Fabrizia Midulla