Casa d’altri
Ci puo spiegare la scelta del titolo per il suo cortometraggio?
Il titolo è un omaggio a uno dei racconti piu belli del novecento italiano, che è Casa d’altri di Silvio D’Arzo. Anche se non c’entra nulla con la storia, mi è sembrato giusto ricordarlo con il titolo del mio piccolo film che entra in una realtà dove bisogna avere molta cautela.
Ho inventato questo piccolo filo narrativo, un uomo che cammina mostrando una piccola fotografia che noi non vediamo, vediamo soltanto il retro in bianco. La mostra alle persone che forse non sono neanche del luogo, infatti la mostra a dei militari, la mostra a qualcuno distratto che parla al telefono.
L’uomo cerca qualcuno che ha perduto e che sa che non esiste più, solo che la mente ormai è andata chissà dove e non lo lascia fuori da quel ricordo, ma alla fine del mio racconto si concretizza l’idea che non basta il ricordo per risolvere il problema.
Se bastasse la memoria, allora non succederebbe mai più un altro terremoto, invece ne è successo un altro qualche settimana fa. Se probabilmente quello di Amatrice è da ritenere inevitabile, data la struttura delle case, quello di Ischia apre un altro discorso.
Lei ha avuto la possibilità di avvicinarsi non solo alle macerie, ma anche alle persone, ai loro sentimenti, alla loro umanità. Un anno dopo il terremoto che emozioni ha trovato, che situazione ha trovato non solo fisicamente?
Un mezzo come la telecamera può essere un’arma. Io ho cercato invece di utilizzarla con il massimo del pudore, perchè entrare in casa d’altri significa avere rispetto per gli altri e capire soprattutto i loro problemi.
Molte delle case crollate ad Ischia sono state costruite anche di recente, ma senza nessuna norma, senza nessun rispetto per la vita… Ecco che la rabbia aumenta e non si vuole piangere, perché con le lacrime la rabbia va via, quindi ho cercato di essere il più onesto possibile per non lasciarmi prendere dalla commozione. Sono entrato con il pudore in una casa che non è più agibile a livello di vita e di sentimenti entro con la voglia di morire, di non entrare più in un’altra casa come quella.
Il suo cortometraggio ha la durata di 15 minuti, c’è del materiale che non è stato incluso nella sua opera?
In realtà i 15 minuti sono il doppio dell’idea iniziale, io ero partito con l’idea di fare una cosa molto breve, che superasse di poco i 5 minuti, avere due o tre immagini e due o tre parole, ma poi la durata è venuta fuori da sé. All’inizio c’era solo la volontà di far parlare le persone e invece mi è sembrato più efficace il silenzio di quell’uomo che cerca con la fotografia in mano, poi ho unito le due cose.
Come si ripara l’irreparabile di una tragedia come quella che ha colpito Amatrice o Ischia?
Io so, grazie alla mia esperienza di vita che il tempo lenisce quasi tutto, forse non c’è dolore che il tempo non guarisca, ma non è questo il problema, non è guarire da un dolore, ma è fare in modo che quello stesso dolore non si ripeta. Ma non lo facciamo, tanto la cosa non ci riguarda, succede in casa d’altri, quindi privilegiamo altri interessi. Se qualcuno pensasse che invece possa succere alla propria di casa, non costruirebbe senza seguire le norme. Accade una cosa strana ogni volta che io vado in Giappone. Può succedere, infatti, di svegliarsi con una scossa di terremoto di tanto in tanto.
In quel caso corro giù nella hall agitato ed impaurito e tutti i giapponesi mi guardano strano. Io dico, “c’è il terremoto” e tutti quanti ridono. Si costruisce ormai da tutto il novecento in Giappone con norme antisismiche, può succedere un terremoto di qualunque dimensione e non crolla nulla.
I personaggi che sentiamo e vediamo nella sua opera, li ha incontrati negli stessi luoghi del disastro?
Io ci tengo a dire che Casa d’altri non è un documentario, è un cortometraggio di finzione. Volevo solamente mettere in risalto l’ipocrisia, l’incuria, la colpevolezza dell’uomo che sparge lacrime, invoca solidarietà o commemora, senza agire concretamente. Quello che dovrebbe insegnarci un terremoto è di arginarlo, non si deve piangere sulle macerie del destino, ma bisogna agire sulle colpe dell’uomo.