PIUMA
Carlotta Massimi ha scritto con il regista Roan Johnson, Davide Lantieri e Ottavia Madeddu la sceneggiatura di Piuma, il secondo – ad essere proiettato – dei tre film italiani in concorso nella sezione principale della Mostra, Venezia 73.
Carlotta, com’è nostra abitudine, ti chiediamo subito un pitch di Piuma, cioè una presentazione del contenuto del film in cinque righe.
Per i due diciottenni Ferro e Kate la vera prova non è la maturità ma una gravidanza inaspettata. Nonostante genitori, amici e parenti cerchino continuamente di scoraggiarli, loro decidono di andare avanti e nei nove mesi più burrascosi della loro vita, mentre intorno il mondo sembra andare contro mano, dovranno far ricorso a tutta la loro purezza e sconclusionata ingenuità per restare a galla.
Voi, sceneggiatori di Piuma, siete due coppie con figli ancora piccoli… quanto avete raccontato di voi e di loro nel film?
Ovviamente molto. L’idea nasce proprio dalla voglia di raccontare le paure, i dubbi, le aspettative, ma anche il desiderio, che noi per primi abbiamo sperimentato, di diventare genitori. Tutto quello che ti spinge a farlo, ma anche tutto quello che ti frena. E dato che noi, come molti della nostra generazione, ci siamo arrivati abbastanza tardi, abbiamo scelto invece che i nostri protagonisti vivessero quest’esperienza molto presto: per segnare una certa distanza tra noi e i personaggi e poi perché tutto sarebbe stato più estremo e quindi il conflitto più forte e interessante. La sana leggerezza e incoscienza che hanno Ferro e Kate e che li fa andare avanti nonostante le difficoltà, è quella che in fondo vorremmo avere noi. Attraverso di loro abbiamo rivissuto ed esorcizzato le nostre paure, e soprattutto ci abbiamo riso su. Ci sono intere sequenze che prendono spunto da cose successe a noi e che poi abbiamo ovviamente riadattato alle necessità della storia, ma senza alterarne il senso più profondo. Mi vengono in mente le scene in ospedale, che riguardano me e Davide in particolare, ma ce ne sono molte altre.
Vengono subito alla mente dei film come il vostro che pongono al centro del racconto una gravidanza adolescenziale, Juno, per esempio, ma anche 17 ragazze… Ne avete tenuto conto, li avete considerati come modelli o al contrario avete cercato di prenderne le distanze?
Ne abbiamo tenuto conto, soprattutto di Juno, ma in realtà per distanziarcene. Quello è un film che pone al centro, secondo me, cosa significhi essere genitori, o meglio quali siano le qualità che servono a un adulto per essere un buon genitore. A noi interessava di più raccontare il momento immediatamente prima, quando senti la spinta ma ne hai anche molta paura. In quella paura lì ci sembrava che ci fosse molto di noi, della nostra generazione.
Per Juno è stato sollevato subito un vespaio politico, è stato accusato di essere un film anti-aborto. Tu pensi che Piuma possa sollevare le stesse polemiche? I vostri protagonisti esaminano la questione? Voi autori vi siete posti il problema?
Non penso affatto che Juno sia un film anti-aborto. E’ una questione che nel film viene affrontata dalla protagonista all’inizio per essere poi subito accantonata proprio perché il punto non è quello. Per quanto riguarda Piuma ci abbiamo riflettuto a lungo: certo non pensiamo che fare figli a 18 anni sia necessariamente l’età giusta e non vogliamo che il film sia un invito in questo senso, ma in realtà il punto è che forse un’età giusta non c’è.
Siamo partiti dalla constatazione che coppie che fanno figli molto presto, per scelta o per caso, esistono ancora ma ormai vengono stigmatizzate come incoscienti che si rovinano la vita per sempre, quando in realtà fare figli dovrebbe essere un istinto sano e naturale,
Siamo partiti da questa riflessione e quindi nel film la questione dell’aborto non è centrale, è un opzione che viene messa in campo all’inizio della storia dai genitori di Ferro soprattutto, come opzione ragionevole, e che forse qualunque genitore al loro posto, e probabilmente anche noi, proporrebbero ai loro figli diciottenni. Ma poi appunto, la storia prende un’altra direzione.
Il vostro trailer è leggero e sorridente, i vostri adolescenti appaiono candidi e speranzosi. Eppure, dai media – a parte la propaganda per il Fertility day – ci arrivano quotidianamente notizie del contrario… C’è chi ha già detto anni fa che dobbiamo prepararci a pensare e a combattere l’intera adolescenza come un gruppo criminale, l’intera giovinezza come un’associazione a delinquere. Tu che ne pensi? Il film rischia di apparire retrodato, illusorio?
Credo che il problema non sia negli adolescenti, ma nei media e nella spettacolarizzazione che continuamente viene fatta dei problemi dell’adolescenza. Sicuramente ci sono adolescenti problematici, ma credo che ci siano sempre stati, anche se forse adesso si ha la percezione più netta che la società e le famiglie siano meno in grado di affrontarli e contenerli.
Ma non sono certo esperta di questo, è più una sensazione che ho guardandomi intorno.
Attraverso la storia di Ferro e Kate a noi interessava raccontare la purezza, l’ingenuità, l’incoscienza, il coraggio, doti tipiche di quell’età che sarebbe bello non perdere con l’avanzare degli anni. Doti che, speriamo, avranno anche i nostri figli
Nel corso della conferenza stampa sulla Mostra, il direttore Alberto Barbera, ha sottolineato che Venezia resta la vetrina dei film d’autore, che i prodotti di genere ne restano fuori… Cosa fa uscire Piuma dai confini della commedia e ne fa un prodotto autoriale?
Io ho sempre fatto fatica con il termine ‘d’autore’. Se con questo s’intende ‘di qualità’ credo che quella sia a prescindere dal genere. Ci sono commedie dì qualità, thriller di qualità, noir di qualità…
Per quanto riguarda Piuma, quando abbiamo iniziato a scrivere ci siamo resi conto che dovevamo trovare un tono originale, altrimenti il rischio era di appiattirsi sul realismo di trasmissioni come “sedici anni incinta”. E così, alla ricerca di un tono che fosse leggero ma anche poetico, ci siamo lasciati guidare dai personaggi stessi e abbastanza naturalmente siamo arrivati a concepire delle sequenze surreali, che tra noi chiamavamo immaginifiche, che danno respiro alla storia, ne potenziano la sua natura di favola e rendono il film una commedia originale.
Quali sono a tuo avviso i punti di forza di Piuma? Perché uno spettatore dovrebbe andare a vederlo? Avete pensato a pubblico preciso, la produzione vi ha invitato a farlo?
Credo la sua generosità. Da quando è stato concepito, quasi quattro anni fa, fino alla sua realizzazione, non abbiamo mai fatto calcoli a tavolino, né su un pubblico di riferimento, né su quali attori ritagliare i personaggi. Avevamo urgenza di scrivere questa storia e l’abbiamo fatto. Siamo un gruppo di amici nella vita, come lo è anche la troupe, che è la stessa del BarLume, e questo entusiasmo credo sia passato nel film.
Veniamo alla parte tecnica: quanto della sceneggiatura è passato nel film e quanto è stato modificato durante le riprese? Le eventuali modifiche se le è caricate Roan o siete stati tutti coinvolti nella discussione?
Tendenzialmente, dato che Roan nasce come sceneggiatore, si lavora tutti alla pari per costruire una sceneggiatura solida, e che resti abbastanza invariata. E da quel che so, non sono state fatte sostanziali modifiche durante le riprese
Certo, per il modo in cui Roan lavora con gli attori, facendo molte prove e lasciandoli liberi di improvvisare, in fase di riprese alcuni dialoghi si sono arricchiti, ma credo che sia un processo naturale e soprattutto essenziale per la buona riuscita di un film.
Naturalmente poi ci sono state alcune modifiche dettate da esigenze di produzione e di cast. Ma nel nostro caso sono state tutte affrontate e risolto nell’ultima stesura, a ridosso delle riprese ma comunque prima.
Voi quattro vi siete già misurati insieme con la Palomar e con Sky nella scrittura dei Delitti del BarLume. Insomma siete una squadra collaudata… Qual è il vostro metodo, come vi coordinate tra voi e con la produzione?
Piuma è un discorso a sé, precedente al BarLume, nato quattro anni fa appunto. E’ stato il primo film che abbiamo scritto insieme e sicuramente ha contato l’essere prima di tutto amici nella vita, il fatto di avere una visione comune sulle cose, sul cinema che ci piace. Poi il film è stato accantonato ed è iniziata l’avventura del BarLume. Grazie al metodo di lavoro già collaudato con Piuma, abbiamo trovato subito una buona sintonia di gruppo, pur partendo da storie non nostre e confrontandoci tutti per la prima volta con il giallo, per di più un giallo sui generis. Soprattutto il fatto di essere in quattro – e tutti scriviamo – ci permette di essere molto rapidi nella stesura delle scene.
Lavorerete ancora insieme? O ci sono anche progetti che coltivi da sola o con altri?
Nel nostro lavoro non c’è niente di certo, si naviga a vista. In ogni caso, l’anno prossimo lavoreremo ancora al BarLume e spero che partano altri progetti che per ora sono in cantiere.
Stiamo facendo a tutti i nostri interlocutori due domande in generale sul sistema dell’audiovisivo in Italia. Una riguarda la nuova legge sul cinema, secondo la quale la parte più rilevante dei finanziamenti di sostegno alla produzione – circa l’80% – andrebbe ridistribuita tra coloro che hanno incassato di più nel corso dell’anno precedente. Cosa ne pensi?
Purtroppo non ho avuto molto tempo per seguire il dibattito in corso. Da quel poco che ho letto, alcuni aspetti della riforma sono interessanti anche se forse un po’ generici; su questa cosa in particolare penso che trovare un meccanismo automatico, come credo ci sia in Francia, per cui i film di maggior incasso sostengano in parte gli altri, favorirebbe sicuramente un clima più solidaristico e collaborativo tra addetti ai lavori.
L’altra riguarda la SIAE. Lo Stato italiano, pur accogliendo la normativa europea che permette agli autori di scegliere una collecting di loro gradimento, ha deciso di non modificare per adesso la condizione di monopolio della Siae. Potrebbe però esserci una riforma interna della Siae stessa. In vista di questa, tu che tipo di gestione vorresti per i tuoi diritti d’autore? In altre parole, c’è qualcosa che cambieresti della gestione attuale?
Anche su questo non sono molto ferrata, ho notato però negli ultimi tempi un cambio di rotta all’interno della Siae, che ha portato ad alcuni risultati importanti, come la battaglia sull’equo compenso. Sicuramente c’è ancora molto da fare, ma l’immobilismo di qualche anno fa mi sembra finalmente lasciato alle spalle.
La WGI si sta impegnando in difesa degli sceneggiatori, anche attraverso queste interviste che tentano di colmare il disinteresse generale dei media per la scrittura dell’audiovisivo… Tu cosa ne pensi? Quale ti sembra il lato più fragile della nostra categoria, sul quale si dovrebbe intervenire?
Sono molti i fronti aperti, penso al contratto unico di lavoro, alla questione dei diritti d’autore delle nuove serialità e alla frammentazione eccessiva di associazioni e sigle sindacali. Penso che alla base ci sia anche però, una nostra difficoltà, forse culturale, a percepirci come categoria, e come categoria importante.
Grazie, Carlotta, in bocca al lupo a te e a Piuma.