Napadid Shodan (Disappearance)
Alì Asgari ha scritto con Farnoosh Samadi e diretto il suo ultimo film Napadid Shodan (Disappereance), presentato in concorso nella sezione Orizzonti della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Come d’abitudine in questa rubrica chiediamo agli sceneggiatori di presentare il proprio film con un breve pitch. Di cosa parla Disappereance?
La storia parla di una giovane coppia di amanti che va in ospedale per curare la ragazza, ma negli ospedali li rifiutano perchè non sono sposati. Quindi comincia un viaggio nella città in cerca di aiuto.
Nelle tue storie, sembra che ricorra sempre la mancanza di comunicazione tra le persone, e tra gli stessi personaggi, è un tema che riflette la tua personalità o riflette la tua società?
In tutto il mondo e soprattutto in iran, la comunicazione ha delle problematiche. La comunicazione non è soltanto come parliamo, ma anche come ci capiamo, anche in iran la gente si parla ma non si capisce. l’iran è un paese molto attaccato alle tradizioni, la gente allo stesso tempo rimane attaccata alle tradizioni e vuole essere moderna, questo acende un cortocircuito e un contrasto sempre evidente.
Nelle tue storie si sente che i personaggi devono fare sempre delle scelte importanti penso ad esempio a the Baby, c’è una donna che deve decidere cosa fare della sua vita. in fase di scrittura, per te e la tua sceneggiatrice, quanto è importante il tema della scelta?
Penso che la vita è una questione di scelte, anche come viviamo è una questione di scelta, io ho scelto di fare il regista, tu hai scelto di fare il critico. devi sempre scegliere cosa fare anche nelle cose molto semplici e di routine, quando arrivi ad una situazione difficoltosa, una scelta diventa ancora più importante e ti spinge a rivolgere domande a te stesso che non avresti fatto prima, a volte le scelte sono imposte da una forza esterna e sono scelte obbligate. Per me e la mia scneggiatrice, le scelte che la vita offre a tutte le persone, sono un tema molto importante.
Com’è il rapporto tra te e la tua sceneggiatrice?
E’ un rapporto molto conflittuale, partendo dal fatto che io sono un uomo e lei una donna, quindi indubbiamente i punti di vista cambiano. A volte lei propone cose che io però non afferro e viceversa, ma in realtà noi parliamo molto in fase di scrittura e riusciamo sempre ad arrivare a delle idee e a delle immagini, succede che parliamo anche quattro mesi per una piccola idea o per un’immagine, poi quando abbiamo maturato questi piccoli frammenti passiamo alla costruzione della storia e infine passiamo alla fase di scrittura.
L’ambientazione delle storie è un fattore molto importante, te hai girato sia in Italia che a Theran. Quali sono le difficoltà nel girare in paesi differenti?
Penso che la diversità non sia più una difficoltà, ogni paese a le sue di difficoltà, per esempio in Iran quando decidi di fare un film devi stare attento a cosa scrivi, hai dei limiti, però non è difficile trovare soldi per realizzarlo. Mentre in Italia non ci sono problemi di censura come in Iran, ma la difficoltà diventa trovare soldi. Dal punto di vista più pratico, nella regia e in fase di scrittura, cambiando paese non cambio metodo di approccio, la mia mente non cambia, mentre stai facendo un film in Italia comunque il punto di vista rimane quello di una persona iraniana.
Qual è una scena che ti è piaciuta particolarmente scrivere?
Di Disappearance, l’ultima scena, dove la ragazza scompare e lascia il ragazzo da solo che non sa dove andare. La trovo bellissima.
Ogni anno sei a Cannes, Venezia, ma comunque in tanti festival… Hai un percorso veramente importante, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Quando io ho deciso di fare film, il mio vero desiderio era quello di comunicare con la gente. A volte succede di essere cosi fortunato di presentare il proprio film ad un festival importante, altre volte magari no e quando non ci va non può essere visto da un pubblico molto ampio, però quello che ho imparato dai maestri di cinema che ho incontrato, è che la cosa più importante è attaccarsi alla voglia di fare film, alla voglia di comunicare con le persone, questa è la mia direzione.
Il direttore del festival Barbera, nel suo discorso innaugurale ha parlato del futuro del cinema, di come i festival siano importanti per promuovere le sperimentazioni, nei gener, negli stili e quindi di dare una nuova direzione al mondo del cinema. Hai un’idea su quella che possa essere la direzione del cinema?
Secondo me con la rivoluzione digitale, fare un film è molto più semplice e apre le porte a molte persone che per mancanza di mezzzi non potevano fare film e vediamo quindi l’aumentare della produzione di film. A mio parere a volte questo accumolo di opere fa si che sia più difficile per i film che davvero meritano di essere visti venire fuori. Penso che i festival come Venezia, debbano scegliere i film che hanno più coraggio, sia formale che narrativo. Oggi il pubblico vuole superstar, però i festival devono, come Venezia sta facendo, trovare il giusto equilibrio tra la presenza di grandi nomi, e nuovi artisti coraggiosi.
Questa intervista WGI è apparsa anche sul sito di Anonima Cinefili.