S
Game Therapy
Giacomo Berdini ha scritto con Adam Lawson e Marco Cohen la sceneggiatura di Game Therapy. Il film è stato presentato ieri tra gli Eventi speciali della sezione Alice nella città e verrà proiettato oggi alle 14.30 nella Sala Mazda.
Ciao, Giacomo, innanzitutto la sfida: un pitch in quattro righe per presentare Game therapy. Cosa dovremmo andare a vedere?
Game Therapy parla di due ragazzi problematici, con difficoltà a inserirsi, chiusi in un mondo che possono gestire attraverso un controller. Quando scoprono un macchinario in grado di farli vivere davvero dentro un videogioco, si trovano a dover scegliere quale strada prendere: la vita reale o quella virtuale.
Un pitch anche per te: la tua storia professionale? Come hai cominciato?
Io sono laureato in storia, poi ho frequentato un corso di sceneggiatura durante il quale ho avuto il primo ingaggio televisivo per una sitcom. Ho lavorato alcuni anni facendo format TV per ragazzi e spot. Poi, quasi per caso, è arrivato il primo film: Solo per il Weekend, di cui ho scritto soggetto e sceneggiatura. Da lì è iniziata l’avventura nel cinema. Ho anche pubblicato un libro quest’anno, con lo pseudonimo di Jack Roland: è il primo capitolo di una saga intitolata La Ballata del Levriero Rosso. Il secondo uscirà a dicembre.
Togliamoci subito il dente: il film viene reclamizzato come l’ingresso degli youtubers nello star-system del cinema. Il film è stato scritto per le star o le star sono arrivate dopo?
Dal principio si è cercato un coinvolgimento degli youtubers; mentirei se dicessi che non è uno dei pilastri portanti del progetto. Tuttavia, si è cercato di lavorare a una storia che avesse un motivo d’esistere al di là dei protagonisti. Fare un film diverso da come ce lo si potrebbe aspettare.
Entriamo nei dettagli. Sul sito della produzione Indiana e su quello di Filmitalia risultano i nomi degli sceneggiatori (Adam Lawson, Marco Cohen, Giacomo Berdini) ma non quelli dei soggettisti. Come stanno le cose? Chi ha avuto la prima idea? Come sono subentrati gli altri?
Io sono entrato a progetto avviato, quando già era stato steso un trattamento. Chiaramente la sceneggiatura si è evoluta fino alla fine delle riprese quindi, di fatto, tutti abbiamo messo del nostro nella storia. Credo che l’idea originaria sia nata da Marco in collaborazione la produzione. Adam, però, è lo sceneggiatore che ha sviluppato il progetto dall’inizio.
Vi conoscevate già o è la prima volta che lavoravate insieme? Come avete collaborato? Chi ha fatto, scritto cosa?
Io avevo già collaborato con Indiana Production per il film Solo per il Weekend. Conoscevo Marco ma, in quel caso, nelle vesti di produttore. Ci siamo incontrati con Adam e Ryan Travis attorno a un tavolo a Milano e abbiamo cominciato a discutere del trattamento, dettagli, modifiche, nuove idee. Adam ha completato in breve tempo la prima stesura della sceneggiatura. Io ho tradotto dall’inglese lo script, adattando situazioni e dialoghi. Marco aveva il compito di supervisionare il lavoro di scrittura e dare dei suggerimenti, modifiche, tagli, anche dal punto di vista produttivo. Da quel punto in poi, nelle successive stesure, i ruoli sono stati più interscambiabili. Adam era tornato in America quindi dovevamo interfacciarci via mail o skype. Lavoravamo praticamente in contemporanea sullo script, perciò la parte più difficile è stata non perdere dei pezzi per strada e mantenere sempre aggiornate le due versioni, quella inglese e quella italiana, di modo da non creare un mostro a due teste. Nella parte finale della lavorazione ho gestito più in autonomia tutte le messe a punto, lavorando a stretto contatto con i protagonisti per far sì che le battute e i personaggi gli calzassero meglio, evitando forzature e mantenendo intatta il più possibile la personalità degli youtubers che, comunque, dovevano rimanere riconoscibili per il pubblico che li segue sul web.
Dalla sceneggiatura al set: ci sono stati molti cambiamenti?
Ero l’unico sceneggiatore presente durante sul set. Naturalmente si è cercato di cambiare il meno possibile lo script, ma diversi dialoghi sono stati rivisti durante le riprese, cercando di aggiungere anche nuovi spunti ironici. Non essendo i protagonisti attori di professione, fino alla fine delle riprese abbiamo portato avanti un lavoro di adattamento per facilitare il più possibile le loro interpretazioni. La situazione non si prestava ad avere uno script “blindato”, ma è stato piacevole lavorare assieme su un testo in continua evoluzione.
Com’è stato il rapporto col regista? Sia da interprete che da sceneggiatore…
Ryan non era in una posizione facile. Si trovava a dover gestire un set senza conoscere la lingua, dirigere dei giovani alla prima esperienza senza poter capire tutte le sfumature che colorivano i dialoghi in italiano. Ho cercato di aiutarlo il più possibile nel trasmettere le sue istruzioni alle web star. Per forza di cose, si è creato un certo rapporto di fiducia. All’inizio ovviamente c’era un po’ di diffidenza perché è normale che, lavorando a stretto contatto con gli attori, io ci abbia messo del mio. Col tempo, però, non c’era nemmeno più bisogno che ci parlassimo per capire quali istruzioni dare ai ragazzi, ci capivamo al volo.
Veniamo al cuore tematico della storia. Il video gioco, una fuga malata dalla realtà secondo gli adulti e gli psicoanalisti, una risorsa vitale per i ragazzi. Il film da che parte sta?
Come me, diversi professionisti che hanno lavorato a questo film sono videogiocatori. Adam proprio lavora nel settore videoludico americano. Ne deriva che non esista un giudizio negativo da parte nostra sul videogioco di per sé. Un videogioco non può fare del bene o del male. Come in tutte le fughe dalla realtà, quando ci si abbandona con troppa leggerezza, si rischia di venirne risucchiati. Questo è forse il nodo metaforico del film, senza giudizi. Penso sia meglio lasciarli allo spettatore.
Il tema potrebbe sembrare un po’ obsoleto: diciamo che dal Mondo di Oz in poi, da Peter Pan in giù tutti sappiamo che si fa fatica a crescere e che gli adolescenti alimentano un mondo immaginario per alimentare la loro speranza. Non importa se si stia costruendo dighe su un ruscello, la casa sugli alberi, ci si immerga nel libro o nel fumetto… L’immaginazione rende liberi dalle imposizioni dei grandi. Cosa racconta di più Game Therapy?
Che il videogioco non è un luogo d’immaginazione, tranne per chi lo crea. È un luogo reale. Mi spiego meglio: il videogioco dà vita a una dimensione altra, in cui il giocatore si muove rispettando delle regole che altri hanno codificato, proprio come nel mondo vero. È come visitare un altro paese e godere di tutto ciò che può offrire, rispettandone le leggi. Non serve immaginarlo. È davanti ai nostri occhi e ci lancia forti stimoli. Se un videogioco fosse così reale da confondersi con la vita vera, la via di fuga potrebbe diventare prigione. Il sogno incubo. Il giocatore è attivo ma in qualche modo segue passivamente un percorso che altri hanno studiato per lui, con dei confini netti. Può diventare un labirinto per criceti… Game Therapy parla proprio di questo.
Nella sinossi si dice che i protagonisti sono giovani (ovviamente) intelligenti (ovviamente) disturbati (ovviamente) ma soprattutto… ironici. Spunta dietro al web la commedia all’italiana e la maledizione di dover essere simpatici per poter raccontare una storia al nostro pubblico?
Non credo sia una maledizione in questo caso. L’ironia è nata per lo più dalla volontà di mantenere intatta la personalità degli yotubers. Il successo dei loro video è determinato principalmente dall’umorismo, soprattutto per quanto riguarda Clapis, Favi J e De Carli. Rappresentare nel film dei personaggi troppo distanti da loro, snaturandone il carattere scanzonato, avrebbe rischiato di allontanare il pubblico e, soprattutto, di mettere in difficoltà i ragazzi con la recitazione.
Video giochi e giochi di ruolo. Quali sono i contatti?
Molti. Esiste tutta una gamma di videogames che appartiene all’universo GDR. Ci si costruisce il proprio personaggio e si vaga liberamente per il mondo virtuale. A mio avviso i videogiochi migliori sono quelli capaci di farti vivere una storia appassionante, catapultando il giocatore dentro un film. Tuttavia, più articolata è la storia e definiti i personaggi, più diventano stringenti le leggi, lasciando meno spazio al gioco di ruolo puro.
Video giochi e mitologia classica, religioni primitive. Le variabili delle religioni occidentali ci vanno strette?
Le religioni per propria definizione sono strette, definite da un dogma. Nel momento in cui ci si proietta in un universo immaginario, l’ispirazione può arrivare da qualsiasi cultura o leggenda. Personalmente credo che le religioni antiche, i miti pagani, i culti arcaici offrano molti più spunti per creare storie, senza incorrere mai nel rischio di offendere credenti o comunità religiose.
Video giochi e incomunicabilità. Ci credi che un ragazzino che passi la vita sui tasti non cerchi gli altri e impoverisca la propria sensibilità umana?
Un ragazzo non evita gli altri perché passa la vita sui tasti; credo che passi il tempo sui videogiochi perché fatica a trovarsi bene con gli altri. I videogiochi possono essere un rifugio, una via di fuga dalla realtà. Non è il videogioco in sé che può creare problemi ma, come in tutte le cose, gli eccessi, che hanno sempre delle conseguenze negative sul rapporto con il prossimo.
Video giochi e sistemi di potere. Ci sono dei cattivi come in Mr Robot? Chi sono?
Non credo che i videogiochi e il mondo degli “hacktivisti” abbiano molto in comune. È esistita per molto tempo una forte pirateria sui videogames, ma credo sia tutto. Da fuori sembra un settore molto creativo e in continua espansione. Nel film, tuttavia, c’è un vero e proprio “villain” di questo tipo, ma ritengo sia una figura abbastanza distante dalla realtà.
Non facciamo spoiler e non sveliamo chi vince, però a una domanda puoi rispondere: secondo te è giusto che vinca la tesi che fate vincere? Corrisponde alla realtà?
Più che di tesi credo che il film parli di scelte. Dipende da che punto di vista lo si guarda; in quale dei protagonisti ci si identifica di più.
La Writers Guild Italia si sta interrogando sul web: ci sembra che i webnativi, attratti dal vil denaro, siano in fuga e stiano abbandonando un territorio nelle mani di una cultura vecchia, generalista. Il punto è che così ci sembra che muoiano anche dei linguaggi appena nati. Tu come la vedi? C’è una speranza produttiva sul web che resti sul web?
Sì, credo di sì. Ci sono molti gruppi di autori e film maker, come il Terzo Segreto di Satira o i The Jackal, che sono nati sul web e continuano a produrre da anni contenuti finalizzati a questo mezzo di comunicazione con grande successo. Credo che il denaro sia vile solo per chi ce l’ha già. Il web, nonostante la pubblicità, resta ancora il regno del gratis e, se non offre possibilità di guadagno, ritengo sia giusto portare le proprie capacità su altre piattaforme. Al netto di ciò, forse il problema è del tutto opposto: per molti anni la cultura “vecchia” e generalista ha ignorato il web. Ora che si è accorta del potenziale lo sta invadendo, cercando di controllarlo sempre di più.
E visto che ci stiamo parliamo anche di diritti: i webnativi tendono a buttare sul web le loro opere senza averle adeguatamente protette, e non si preoccupano di fare massa per migliorare le loro retribuzioni. Questo mondo di Peter Pan è molto funzionale agli incassi di network e piattaforme distributive. Non pensi sia ora, almeno qui, di far massa e crescere?
Non sono un esperto, ma credo che la protezione dei contenuti sul web sia un terreno molto traballante… si potrebbe rischiare di veder protetti dai diritti di autore un qualsiasi video selfie o anche un post su facebook. Mi spiego meglio: di fatto chiunque sul web produce contenuti, questo è il problema di fondo. Come si distingue un autore da un user? Dalle visualizzazioni? Chi deve essere protetto e chi no? Non ho risposte per questo problema.
Progetti futuri?
Molti. Sto per iniziare un film di cui purtroppo ancora non posso parlare. Il target è sempre giovanile ma sarà prodotto da una grossa Major. Ho in cantiere diverse storie che si spera di trasformare in pellicola un giorno. Con il regista di Solo per il Weekend, Kobayashi, si è creata una sorta di sodalizio e speriamo di poter continuare a fare film assieme. Intanto vediamo come vanno questi nelle sale e incrociamo le dita.
Grazie e in bocca al lupo!
Grazie a voi e W il lupo!