Una femmina
La ribellione di una donna ad un sistema criminale
I mostri che fanno paura sono quelli veri: in un thriller che sembra un horror viene rappresentata la determinata reazione ad un mondo carico di furia e violenza.
1) Carissimo Adriano, “Una femmina“, diretto da Francesco Costabile, è stato presentato alla Berlinale 2022 nella sezione “Panorama”, quella che tratta tematiche controverse con stili estetici non convenzionali. Che aspettative hai avuto a riguardo?
Per noi era già un traguardo importante essere stati selezionati nella sezione “Panorama” della Berlinale. Quando si tratta di partecipare a contesti così importanti, non coltivo nessuna aspettativa particolare, penso solo a godermi lo spettacolo, finché dura. Poi i riflettori si spengono e tutto torna come prima. Sicuramente è stato il punto più alto di tanti anni di lavoro. E di questo sono grato a Francesco Costabile, il regista, che ha lavorato duramente, con talento, fermezza e creatività, per raggiungere questo e – si spera – altri obiettivi.
2) Il testo “Fimmine ribelli, Come le donne salveranno il Paese dalla ‘ndrangheta” di Lirio Abbate, è alla base del soggetto che l’autore ha scritto con Edoardo De Angelis. In fase di sceneggiatura, com’è stata la collaborazione tra te, Serena Brugnolo e gli stessi Costabile e Abbate?
Il libro “Fimmine ribelli” è una pietra miliare della lotta alla ‘ndrangheta. Partire da un testo così importante ti pone davanti a un’infinità di sfide. La più complessa è consistita nel sintetizzare in un solo personaggio le storie reali di più donne, ex “coscritte” della ‘ndrangheta. Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola, Rosa Ferraro, Simona Napoli, alcune delle donne raccontate nel libro, sono tutte spinte da quello spontaneo afflato di libertà che le ha portate a ribellarsi al contesto ‘ndranghetista, senza curarsi molto del prezzo da pagare, che spesso è la morte. Il desiderio di libertà fa il paio con il desiderio di rivalsa, ed è questo il tratto principale che caratterizza Rosa, la protagonista di Una femmina. Quanto al gruppo di scrittura, regista compreso, è accaduto qualcosa di raro quanto miracoloso. Tutto è filato liscio, stesura dopo stesura, pur non conoscendoci ed essendoci incontrati per la prima volta proprio per questo progetto, per volontà di Edoardo de Angelis, Pierpaolo Piri Verga e Attilio de Razza, produttori del film. Solo con Serena Brugnolo avevo già lavorato come redattore per “Amore Criminale” e con Francesco abbiamo pensato di coinvolgerla, per via del suo indubbio talento ma soprattutto per avere uno sguardo femminile sulla storia, molto più rigoroso di quello che può avere un uomo. Con lei la storia ha acquisito maggior profondità. Abbiamo scritto in serenità, con affiatamento, convinti sin dal primo momento di avere per le mani un film potenzialmente esplosivo. E così è stato.
3) Questo paese imprecisato dell’Aspromonte, contornato da un paesaggio cupo e minaccioso, racchiude a livello narrativo l’opulenza maschilista nei confronti delle figure femminili?
La ‘ndrangheta raccontata da noi è più arcaica. Parliamo di contadini, allevatori, una sorta di sottoproletariato della ‘ndrangheta, dove gli schemi del patriarcato vengono esercitati con maggiore violenza e dove l’opulenza diventa al contempo un miraggio e un obiettivo da raggiungere. Questo substrato ‘ndranghetista, infatti, utilizza le donne come merce di scambio per matrimoni combinati con boss importanti o comunque personalità di spicco. Attraverso questo e altri tipi di accordi le famiglie che occupano i livelli più bassi delle gerarchie ‘ndranghetiste cercano di risalire la china e acquisire status, prestigio e coinvolgimento diretto negli affari più importanti.
4) Rosa, la protagonista (interpretata dalla bravissima esordiente Lina Siciliano) sembra andare incontro ad un destino già segnato, ma quali sono le conseguenze che innesca la sua ribellione quando l’avversario è la temibile e codificata ‘ndrangheta calabrese?
I codici possono essere scompaginati solo creando caos. Rosa lavora di fino nel “ventre dello squalo”, destabilizzando la famiglia dall’interno, senza che nessuno (o quasi) sospetti di lei. Lo sguardo duro di Rosa ci ricorda -scena dopo scena- che solo attraverso uno scontro diretto si può aggredire e sconvolgere un sistema vecchio anche di decenni. È quel destino già segnato, il primo fantasma che Rosa deve scacciare; lo stesso destino che è costata la vita a sua madre. Per fare ciò, Rosa deve fare appello a risorse interiori che forse nemmeno lei sapeva di avere, perché nessuno le ha mai mostrato un’alternativa alla vita che faceva. Rosa aveva visto solo quei campi, quelle bestie, quei familiari rozzi e sporchi che regolavano la sua vita in ogni aspetto. Quando in Rosa riaffiorano i ricordi della madre, comincia a trasformarsi in una sorta di Medea. Con tutto ciò che ne consegue. Ma come dicevo prima: quando imbocchi la strada per la libertà ti curi poco delle conseguenze.
5) Ad essere oscuri sono i sentimenti, e niente rappresenta al meglio il clima della pellicola come la seguente frase: ” Mi piace quando stai tremando, mi sembri finalmente una femmina”. Avete preso come riferimento “Anime Nere” di Francesco Munzi?
No, non ci siamo posti il problema di riferirci a modelli o ad altro. Il libro proponeva una storia nuova e da quella siamo partiti. “Una femmina” è un racconto completamente differente da “Anime nere”, che resta comunque un gran film.
6) Cosa pensi della censura al film con il bollino del vietato ai minori di 14 anni? Questo non va a pregiudicare a livello culturale la lotta contro le mafie e la violenza sulle donne?
Grazie per questa domanda. Nonostante il provvedimento sia stato ritirato dopo appena un giorno, resta inspiegabile l’esistenza di una “commissione per la revisione cinematografica”, un modo più edulcorato per definire la vecchia commissione censura, vecchio retaggio fascista prima, democristiano poi. Parliamo di sette sezioni composte da una decina di persone ciascuna, sedicenti esperti di cinema e non, che si prendono la briga di valutare, secondo criteri del tutto soggettivi e arbitrari, cosa sia moralmente riprovevole e cosa no. Se consideriamo che la maggior parte di queste sezioni è composta da membri delle associazioni di genitori, che risultati possiamo aspettarci? Cosa possiamo aspettarci da persone che si indignano per la pubblicità dei preservativi in prima serata o che definiscono una “grave leggerezza” mostrare i simboli della cannabis a San Remo? Semplice: un provvedimento che vieta ai minori di 14 anni di vedere un film rivolto principalmente a loro, agli adolescenti, i più sensibili e i più bisognosi di un’adeguata cultura antimafia e antipatriarcale. È sicuramente un organo istituzionale fuori dal tempo e dalla contemporaneità, del quale possiamo benissimo fare a meno.
7) Gli sceneggiatori italiani sono impegnati nel riconoscimento del loro lavoro con la campagna “No Script, No Film”, promossa da Writers Guild Italia, e un certo modo di fare cinema nel nostro Paese viene sempre più apprezzato nei festival internazionali. Qualcosa si muove secondo te?
Sarò sincero: si muove ben poco. La valorizzazione del nostro lavoro e del nostro fondamentale ruolo nella filiera audiovisiva al momento non procede di pari passo ai risultati che molti di noi stanno conseguendo sul piano degli ascolti, dei riconoscimenti e dell’internazionalizzazione. Serve maggiore incisività e serve maggior rispetto nei nostri confronti. Uno sceneggiatore tenuto adeguatamente in considerazione lavora meglio ed è più felice. Negli ultimi anni ho lavorato molto nel Regno Unito. Qui gli sceneggiatori hanno un peso specifico del tutto differente dal nostro. In Italia siamo indietro di decenni. Chissà, un giorno ce la faremo. O quantomeno sta a noi seminare per le successive generazioni di autori.