Tempo instabile con probabili schiarite
Caro Roberto, il tuo film esce nelle sale il 2 aprile. Cominciamo con un pitch: vendicelo in poche parole. Che storia è, perché dovremmo andare a vederlo?
Se avete un vecchio amico completamente diverso da voi, se pensate che trovare il petrolio nel cortile della cooperativa dove lavorate non stravolga la vostra vita, se credete ancora che ci sia qualcuno di veramente onesto… andate a vedere Tempo instabile con probabili schiarite. Non rimarrete delusi!
Prendiamo in esame alcuni degli elementi del film e cominciamo con il primo, il petrolio: sembra di tornare al Gigante, a un sogno di ricchezza antico, a una questione del secolo scorso. Anche perché in Italia il petrolio ha offerto e offre tutt’al più dei sogni piccoli piccoli, non è mai stata una vera speranza: la prospettiva di diventare una potenza è stata subito archiviata. Per il vostro film è stato ricordato ancora una volta Mattei… Insomma, perché avete voluto parlare di petrolio?
Il petrolio è un mito che ritorna ma è anche molto attuale se pensiamo alle lotte fatte in Basilicata contro i pozzi o a quelle contro le trivellazione in Adriatico. Per i nostri protagonisti invece è un piccolo sogno. Non pensano che cambierà l’Italia ma sperano di rimettere in sesto la loro cooperativa che sta andando a rotoli. Ci piaceva l’idea di rinverdire un’ immagine che appartiene a tanto cinema del passato e che ha comunque ancora oggi un suo senso… la battuta che dice uno dei personaggi del film, riferendosi ad Ermanno: “ ma insomma è rivoluzionario o petroliere?” mi sembra che riassuma bene il senso della storia
Le Marche: l’Italia ricca, l’Italia civile, l’Italia delle piccole industrie manifatturiere, il paesaggio che scompare a favore delle fabbriche. Hanno meno difetti italici i marchigiani, li sentite più cittadini del mondo?
Prima doveva essere la Romagna, poi siamo passati alle Marche, ma poteva anche essere il Veneto… il senso non cambia. Una zona produttiva dell’Italia che sta ancora attraversando una crisi pesante, la disoccupazione, il crollo di una serie di certezze. Questo volevamo raccontare con Marco Pontecorvo e lo abbiamo fatto cercando un tono da commedia un po’ fantastica e surreale.
La commedia: un paese che si spacca, due amici che litigano, il petrolio che si scopre per caso… Qui, in Italia, una storia che non trovi il modo di farsi perdonare di essere proprio una storia, non si riesce a raccontare, vero?
A me piacciono le storie che dichiarano la loro costruzione non realistica, il cinema che mostra di essere cinema. In Parada, il precedente film di Pontecorvo, avevamo lavorato su un fatto vero, ma lì c’era la distanza sia temporale che spaziale. Per parlare di noi, di oggi, per allontanarci dalla cronaca, abbiamo sentito la necessità di compiere una specie di volo, di straniamento, in questa scelta ha avuto molto peso sia il petrolio, come dicevamo, che l’uso dei manga che pur essendo perfettamente coerenti alla struttura narrativa, funzionano appunto da sguardo straniante sugli eventi. C’è un doppio livello di racconto, quello realistico e quello fantastico che abbiamo motivato con la passione di Tito (uno dei personaggi ndr) per i manga. I due piani, con minor peso, vanno pari passo e uno fa da commento all’altro, fino alla fine quando il piano fantastico entra in modo del tutto inaspettato in quello reale, mi riferisco alla testa manga che rotola ai piedi di padre e figlio. Una dichiarazione di finzione assoluta.
Il cinema italiano: stiamo ripartendo? Abbiamo qualcosa da dire come paese, o stiamo ancora continuando a far girare il motorino di avviamento?
Non so, è difficile fare un bilancio ed io non sono la persona più adatta per farlo essendo coinvolto in prima persona. Quello che abbiamo toccato con mano è l’enorme difficoltà di montare produttivamente un film, di distribuirlo…
Abbiamo però molte realtà nuove, giovani registi interessanti, forse ci vorrebbe una maggiore volontà di rischiare anche su generi diversi e aprirsi a storie che abbiamo un mercato internazionale. Non è semplice, però dobbiamo provarci.
La scrittura: come avete proceduto con Pontecorvo? La scrittura materiale è tua, le idee comuni, un po’ per uno… Come?
Con Marco abbiamo sempre scritto insieme, soggetto, scalette, battute. Prima discutiamo molto ovviamente, poi ci dividiamo il lavoro e alla fine ce lo scambiamo e ognuno lavora su quello dell’altro. Abbiamo anche sperimentato una scrittura proprio comune, davanti al pc. E’ più lunga, più faticosa, si litiga, ci si arrabbia magari, alla fine però spesso ne escono le cose migliori.
Sei uno scrittore capace di viaggiare su diverse piattaforme, dal cinema alla televisione, alla letteratura. Dal lavoro collettivo a quello solitario. Sono faticose tutte queste esperienze, o aiuta sperimentarsi in modelli diversi?
E’ scrittura in tutti i casi. I romanzieri, gli sceneggiatori, i drammaturghi sono scrittori che usano strutture diverse per raccontare. Molto dipende dalla volontà del singolo di volersi cimentare su strade nuove. Per me è molto stimolante. Dopo aver passato mesi con altri colleghi a lavorare su una serie o su un film, non vedo l’ora di isolarmi per lavorare al mio romanzo. Ma quando ho finito il romanzo non vedo l’ora di ritrovarmi in gruppo a discutere e cazzeggiare. Da un punto di vista tecnico artigianale mi accorgo che anche senza volerlo uso le mie “ abilità” di sceneggiatore nei miei romanzi e viceversa cerco di mettere un po’ di letteratura nei miei film. D’altronde tutti gli autori delle serie americane di successo non fanno che citare Dickens o Balzac. Non c’è confine.
Uno che scrive libri in Italia, è considerato più colto, più intellettuale. Uno che scrive cinema più ricco. Che ne pensi di questi luoghi comuni?
Credo di aver risposto prima… i romanzieri più colti? Gli sceneggiatori più ricchi? Ma in quale paese?
Associazionismo: cosa manca in Italia perché gli sceneggiatori possano essere riconosciuti serenamente una categoria e conquistarsi il diritto a un contratto tipo sottoscritto dai produttori?
E’ una questione culturale. Siamo invisibili ed è tremendamente difficile conquistarsi un corpo. Lo vediamo ogni giorno negli articoli dei giornali, nei rapporti con la Tv, qualche volta anche tra gli addetti ai lavori che pure sanno benissimo quanto conta il nostro lavoro. Su questo sono un po’ pessimista, non vedo, nonostante le lotte sacrosante, grandi cambiamenti. I contratti sono fondamentali, ma è il valore che la società riconosce agli scrittori in generale che deve cambiare, senza nessuna distinzione di genere.
Grazie e in bocca al lupo!