La Writers Guild Italia è nata con il preciso intento di valorizzare e di far rispettare, sotto ogni aspetto, il lavoro professionale degli sceneggiatori e quindi anche la loro immagine pubblica. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, raccoglie e diffonde la voce degli sceneggiatori italiani, per tentare di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori vengono penalizzati dalle comunicazioni dei festival e degli organi di informazione. |
SCRITTORI A VENEZIA
FRANCESCO CENNI
Francesco Cenni ha scritto con Luca Giordano (che dirà la sua qui, domani) ed Enrico Maria Artale (regista) Il terzo tempo. Il film è in concorso nella sezione Orizzonti e verrà proiettato oggi, 31 agosto nella Sala Grande, e domani, 1 settembre, al PalaBiennale.
Francesco, il pitch in quattro righe. Vai.
Uscito dal carcere minorile in semi libertà, Samuel viene affidato al più improbabile degli assistenti sociali, Vincenzo Ciogli, alcolizzato e disilluso dopo la morte della moglie. Ma grazie alla squadra di rugby allenata da Vincenzo, troveranno entrambi la via del riscatto.
La storia dell’idea: da chi è nato il soggetto, come è stato condiviso con regista e produttore?
Il film nasce all’interno del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lo spunto è di un giovane produttore, Alessandro Guida, poi sviluppato dal sottoscritto con Luca Giordano ed Enrico Maria Artale, che del film è il regista. Per quanto io non lo firmi (per questioni contrattuali n.d.a.), mi sento in pieno autore del soggetto, visti i cambiamenti apportati in fase di scrittura rispetto all’idea iniziale.
Quali sono i punti di forza di questa storia?
Il terzo tempo è una storia di riscatto attraverso lo sport e in tal senso mi sembra un’idea universale. Ma il modo in cui si arriva al lieto fine non è lineare. I nostri protagonisti, un assistente sociale depresso e incapace di assistere chiunque e un giovane disadattato che deve imparare ad essere un perdente, ma che volente o nolente ha anche qualcosa da insegnare, devono affrontare le tentazioni del mondo dello sport.
A quale pubblico (se c’è un pubblico particolare) pensate di rivolgervi?
Un po’ per scherzo e un po’ per davvero, scrivendolo pensavamo a Rocky. Quindi spero che il film si rivolga al pubblico di Rocky.
La tua avventura professionale con questo film.
Il film è stato proposto al regista Enrico Maria Artale dalla CSC production. Io ero stato docente di sceneggiatura sia di Enrico che di Luca Giordano, l’altro sceneggiatore, presso la stessa scuola. Quando mi hanno chiesto di lavorare con loro, ho cercato di fare in modo che Enrico sentisse completamente suo uno spunto che gli era stato in parte commissionato. Sono contento di aver lavorato con un regista e uno sceneggiatore di dieci anni più giovani di me: è stato uno scambio alla pari che ci ha arricchiti tutti. Sono contento di Enrico. Abbiamo avuto un bel rapporto. Il che significa che abbiamo anche litigato. Ma discutere è un bene quando si scrive un film, io diffido delle squadre troppo educate. De Laurentiis è entrato nel progetto solo in un secondo momento, a sceneggiatura ultimata. Ha letto il copione e ha deciso di distribuirci.
Durante la scrittura di questo film hai dovuto e/o voluto lottare per qualcosa in particolare? C’era un obbiettivo che ti eri prefissato all’inizio e che alla fine hai raggiunto?
Il mio obbiettivo era fare in modo che il regista sentisse la storia nelle sue corde. Cucirgli addosso i personaggi, fargli da coach e allo stesso tempo mettermi al suo servizio come un cameriere. E sì, penso di averlo raggiunto. Il terzo tempo è l’opera prima di un ventinovenne. In Italia non succede spesso di esordire così giovani.
Mi sembri soddisfatto.
Sì, lo sono. E sono felice di aver scritto un film sportivo. Uno dei miei film preferiti è sempre stato Che botte se incontri gli orsi di Micheal Ritchie, con Walter Matthau.
Bel film. Scritto da Bill Lancaster, sceneggiatore di La cosa, uno dei migliori film di John Carpenter. Tornando a noi, a che punto della tua carriera arriva Il terzo tempo?
Faccio questo mestiere da dieci anni, ma in un contesto di crisi come quello attuale mi sembra che ci siano altre priorità rispetto alle nostre singole carriere. Se proprio dovessi fare un punto, direi che sono nella fase in cui desidero lavorare soltanto a progetti che sento intimamente. Ma non è facile. Tutto si basa sugli incassi e in giro c’è una censura un po’ strisciante che in nome della correttezza tende a smussare molti spigoli di una storia, a normalizzarla per non offendere gli spettatori, spesso trattati come poppanti senza cervello. Ma in questo film per fortuna non è successo. E comunque stare a Venezia nella sezione Orizzonti, mi sembra una piccola vittoria per un piccolo film che parla di piccole vittorie.
Vai a Venezia? Ti ha invitato il Festival? Ti ha invitato la produzione?
Non mi ha invitato nessuno, c’era giusto un accredito per i film valido tutto il Festival da parte della Filmauro, a cui ho rinunciato perché vista la mia situazione economica potrò rimanere solo il giorno della proiezione del film, ovviamente a mie spese. Ma questa per molti giovani sceneggiatori è la prassi. Qui in Italia non siamo una categoria molto rispettata. E comunque uno dei privilegi di noi scrittori di cinema è sempre stato il poterci dare alla macchia. Viaggiare in terza classe, evitare certe responsabilità mondane. Ma alcuni giustamente se ne lamentano.
Qual è la tua relazione prevalente nei confronti dei tuoi colleghi sceneggiatori?
Ne conosco di tutte le età e siamo certamente una categoria, sebbene forse ancora inconsapevole. Di alcuni ammiro il lavoro, di altri meno, ma a tutti fondamentalmente voglio bene perché parlano la mia lingua, hanno i miei stessi problemi. Mi dà un po’ noia vederne di troppo narcisi, a meno che non siano stronzi in un modo meraviglioso. L’autocritica nel nostro mestiere è fondamentale, e va fatta ogni giorno. E poi in momenti come questo non mi sembra sano ostentare una falsa sicurezza e far di tutto per nascondere il dolore e l’incazzatura che ci circondano. Un altro comportamento da correggere è che mentre prima si lottava per essere indipendenti, adesso vogliamo essere tutti assunti da qualcuno, ma in questo probabilmente c’entra la crisi di cui sopra, fatto sta che a volte dovremmo tutelare di più la nostra fantasia. Per quanto riguarda la competizione, agli sceneggiatori fa bene. È salutare, e ti spinge a dare il meglio. Infine non ho mai pensato che i principali fautori della crisi del nostro cinema siano gli sceneggiatori. Incolpare loro mi sembra una moda stupida che dura da troppo tempo e una scorciatoia del cervello.
L’intervista è a cura di Aaron Ariotti.
Today we speak with Francesco Cenni, who has written together with Luca Giordano and Enrico Maria Artale Il terzo tempo.
The film competes in the Orizzonti section at theVenice Film Festival.
Let‘s start with a four lines pitch!
Samuel, just out of a juvenile detention center, is placed in a rehabilitation program under the supervision of Vincenzo, the most outrageous social worker possible, unable to help anyone not even himself. Since the death of his wife he drinks a lot and feels that his life is pointless. But thanks to the rugby team he coaches after work, the will both find the road to redemption.
Where did you you get the idea for your story? And how was it shared with the producer and the director?
The film starts within the Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, the Italian Film School. Actually it was a young producer, Alessandro Guida, who had the first idea which I developed together with Luca Giordano and Enrico Maria Artale, who directed the film. They both were my students in filmwriting.
Which are the key points of the story and why do you think it works. And what kind of audience is your target?
The third half is a redemption story through sport. To me a universal concept. But the road to the happy end is a winding road. Our main characters, the depressed social worker and the young misfit who has to learn how to accept being a loser, although doing that he will have something to teach, have to face the temptations of the world of Sport. Joking a bit, while we were writing, we started thinking of Rocky!
How was your professional experience in this film?
I wanted that Enrico, being the director, felt that the story was striking the right cords for him. I worked on the characters so that he could feel them as his own. I was his coach but at the same time I placed myself at his disposal, like a servant. The third half is the first film of a twenty nine years old young man. In Italy a first film at his age is very rare. I am glad I have worked with two writers ten years younger than I am. We dealt on an equal footing and it was an enriching experience for all of us. I am also very happy because I wrote a film on sport. One of my favorite movies is The Bad News Bears with Walter Matthau directed by Michael Ritchie.
It’s a good movie, written by Bill Lancaster, the screenwriter of Carpenter’s The Thing… So, did you feel that your professional competence has been respected by the director and the production.
I had a very good relationship with the director, which means we argued a lot. But arguing is a good thing when you are writing a film. I am suspiscious of writing teams with too civilized manners. Aurelio De Laurentiis has come into play only later on when the script was finished. He read it and decided to distribute our film with his company. Filmauro. Usually boxoffice is in command. There is a kind of sneaky censorship which, in the name of morality, tries to round off the corners of a story so as to avoid to “offend” the audience sense of propriety, as if it were a bunch of brainless sucklings. But thank’s God this didn’t happen for our film. In fact to be in Venice, in the Orizzonti section, seems to me like a small victory for a small film who is about small victories.
Do you go to Venice? Did the Festival invite you? Or the producer?
Nobody invited me. Filmauro had an accreditation for the whole Festival which I did not take because my economic situation allows me only a one day stay for the screening. Obviously at my own expense. But this is a general rule not only for young scriptwriters. Here in Italy our category is not considered as it deserves.
What kind of relations do you have with other scriptwriters?
We certainly are a category, even though quite unaware of it. Some I do admire, some less but basically I love them all because they speak my language, they have the same problems as I do. Nowadays, because of crisis, I think it‘s better to avoid showing a false self-assurance or trying one’s best to hide pain and being pissed off. We should fight more for our creativity. The last but not the least I do not think, as some people say, that we scriptwriters are responsible of the crisis in our business. Lack of ideas! C‘mon! It is a stupid short cut for brainless people.
La sintesi dell’intervista e la sua versione in inglese sono a cura di Jean Ludwigg.