Orchidee
Un testo di Roberta Calandra ispirato a Proust
Carissima Roberta, il tuo testo “Orchidee” è stato pubblicato proprio in occasione del centenario della morte di Marcel Proust. C’è una connessione con la sua scrittura?
Sì, è stata una fortunata sincronicità, ma solo in parte, perché, date le numerose traversie attraversate, ho dovuto cercare d’incastrare tante cose e, fortunosamente ce l’ho fatta! La scrittura è stata lunga, piena diriletture, ripensamenti, aggiustamenti, tagli, ho attraversato cinque proposte editoriali proprio per salvaguardare questo stile così insistentemente personale e fuori dai canoni dell’editing corrente, per offrire un prodotto che potesse avvincere con una prosa raffinata e
insolita, o essere serenamente detestato, ma mantenendo una sua personalità decisa (come questa risposta con periodi di sette righe, eccomi!). Di Proust amo gli incisi, le digressioni, lo scavo interiore portato allo spasimo e poi ne ho mutuato i temi fondamentali, o almeno quelli che più mi hanno toccato il cuore nella Recherche –senza alcuna ambizione di fedeltà critica- e che assomigliano a ciò che più mi assomiglia e conosco meglio: la vita omosessuale nelle sue tante declinazioni, i salotti culturali, l’illusione d’amore, la reinvenzione che la memoria opera sulla nostra autopercezione, sul racconto di noi stessi e che oggi ha anche un grande valore terapeutico.
Perché i personaggi del tuo libro sembrano essere dei petali carnosi inclini al futile, ma non a mettere radici?
In realtà le orchidee hanno radici maestose, ma fluttuanti nell’aria. Nella Recherche “Cattleyas” è una metafora della sessualità in sé, io ho cercato di alludere a una comunità di esistenze pregiate, affascinanti, ma che non affondano come
querce in un tessuto sociale chiaramente identificato, in un modello preesistente: qualcuno di loro ha delle futilità, i protagonisti un’inquietudine esistenziale senza respiro, che li costringe a cercare un’autenticità senza tregua. Diana e Tommaso sono migliori amici, quasi fiamme gemelle, c’è questa tensione tra un uomo e una donna senza attrazione fisica, le loro carriere, le loro relazioni, i loro fantasmi d’amore, le famiglie d’origine, i clan che li accompagnano…c’è amore, sesso, spiritualità, interiorità, attualità. Desideravo fortemente che questa trilogia avesse il sapore dei nostri giorni irrequieti, che parlasse di quell che abbiamo sotto gli occhi ma non sappiamo dire, parlando della quotidianità in modo totalmente originale.
Cosa ti ha ispirata nella costruzione narrativa di questa trilogia lunga quasi 700 pagine?
E c’è da dire che sono a carattere 11! Come le sodomie in corpo di Aldo Busi… mi hanno “stampata alle spalle”, se
avessimo discusso avrei dovuto difendere qualcosa come 1000 pagine che sarebbe dovuto costare qualcosa come 30 euro… per fortuna dalle recensioni vedo che qualcuno riesce anche a finirlo in breve, agli altri consiglio: tienilo in bagno e con una pagina al giorno in due anni è fatta!
Un’amica per portarlo in giro in treno quest’estate l’ha segato…è una trilogia foriera di grandi aneddoti. Mi ha spinta un grande irrisolto: circa quindici anni fa pubblicai il mio primo romanzo dal titolo Non come amiche con le edizioni Aracne. Trovandomelo in mano mi sentii improvvisamente troppo esposta, vulnerabile e non feci nulla per promuoverlo, come dovesse restare una sorta di atto psicomagico, perché l’aspetto di esorcismo personale era fortissimo. Quando ho letto la
tetralogia di Elena Ferrante mi sono detta che avevo dato io per prima scarso valore a temi che mi bruciavano dentro, c’era tanta affinità di spunti, come sentimenti forti al femminile, l’asse Roma- Napoli, il mondo dell’editoria… e mi sono detta: “Voglio creare una versione gay de L’amica geniale!” al di là di qualunque eccesso di ambizione, modestia, circostanza a supporto o detrimento, ho mantenuto l’impegno preso con il mio stesso cuore e sono felice come mai prima quando le recensioni lo riconoscono valido e avvincente. Ringrazio sinceramente Porto Seguro edizioni per l’impegno e la fiducia, mai invasiva dedicatami.
C’è qualcosa di autobiografico nell’ambientazione della Roma contemporanea?
Talmente tanto che mi sono impegnata con estrema serietà a rendere irriconoscibili i personaggi reali ai quali m’ispiravo: ci sono dentro incontri, delusioni, proiezioni, risarcimenti di amori mai avverati tipo Woody Allen in Provaci ancora Sam e anche una grande attenzione alla cronaca di qualche anno fa. Per evitare che nessuno potesse sentirsi offeso ho mischiato almeno tre persone in ogni personaggio, tenendo salva l’emozione che mi aveva fatto provare, o suggerito, o sfiorato… L’aneddoto più divertente è la vicenda esistenziale di un caro amico, al quale avevo chiesto “il copyright” della sua complessa vita sentimentale, cercando di renderlo irriconoscibile con il dare al suo Avatar un grande interesse per circostanze che lui riteneva risibili come i seminari sul bambino interiore e, imprevedibilmente, ha cominciato con entusiasmo a frequentarli!
Stai girando l’Italia per promuovere “Orchidee”. Stai vedendo entusiasmo da parte del pubblico nei confronti del testo?
Sì. Sono totalmente felice delle recensioni ricevute, perché viene colto il complesso apparato di relazioni che ho cercato di intrecciare e perché qualcuno ama il modo in cui ho scritto questo affresco. Mi sono fatta tante domande, se dopo la pandemia avesse senso parlare di qualcosa scritto prima, che non citava mascherine e vaccini, ora che l’intimità aveva subito una ferita così grande, che le chat gay chiedevano prima le dosi che i cm e mi sono risposta di sì, che i sentimenti importanti come amore, desiderio, passione, disillusione, ambizione, originalità, costruzione e distruzione non cambiano e, in questo strano momento di ricostruzione chi ama questa storia mi dà ragione. Siamo sempre e comprensibilmente presi dal lavoro, dalle incombenze pratiche, dai soldi, mettiamo sotto il tappeto abbandoni, tradimenti, sogni infranti, lasciando sotto il tappeto polvere e cocci di esistenze parziali, spesso riadattate ad esigenze più di apparenza che di sostanza. Di questo volevo dire e ho detto. Tommaso inoltre è un immunologo impegnato sulla ricerca relativa all’Aids, c’è tanto parlare di immunità, di guarigioni impreviste etc. La cura del sentire, lo scavo del perché siamo diventati o meno questa o quello e come ancora possiamo migliorare è il cuore ardente del racconto.
Quale ferita ha spento i nostri desideri, su quali amputazioni abbiamo assestato la nostra ambizione, cosa ci rende ancora capaci o inabili all’amore, all’autorealizzazione, cosa non siamo disposti a vedere in questa indagine?
Hai qualche idea su un eventuale adattamento del romanzo? Teatro, cinema o televisione?
Dopo cinque anni di dedizione monastica sogno una serie tv. Sono molto emozionata quando il lettore comune come quello esperto mi dice che si è appassionato alle vicende sentimentali, professionali, esistenziali dei protagonisti, si è divertito sui comprimari, si è identificato e commosso.
Quest’estate sono rimasta stupita che tre paginette buttate senza intento abbiano passato la prima fase del Netpitch. Avevo tre possibilità e le due scartate erano strutturatissime e lungamente lavorate, che sia stata questa a incuriosire, seppure solo in prima battuta, mi spinge a creare a breve un progetto molto più accurato e a pregare molto per capire in quali mani provare a diffonderlo.
Sei favorevole alle campagne di WGI sulla tutela della figura dello sceneggiatore nella nascita di qualsiasi storia per l’audiovisivo?
Assolutamente sì, io ho frequentato con entusiasmo il Centro Sperimentale nei gloriosi anni di Age e Cerami, ho avuto diverse opzioni di serie, visto realizzare un film e un documentario, scritto qualche dialogo di soap opera Rai e poi a un certo punto mi sono trovata disfatta nel vedermi arrivare sempre e solo in semifinale e ho dato tutta l’energia,
il tempo, le risorse materiali e la creatività ai romanzi, alla drammaturgia, alle fiabe, a cose che potevo vedere vivere e non ammuffire in un cassetto come troppi ulteriori aborti. Questo libro mi restituisce la forza
insopprimibile dei sogni. Ogni forma di attenzione che restituisca all’autore un briciolo di potere o quantomeno di autorevolezza o, per non esagerare, di rispetto, per me è una pratica che migliora il mondo nel suo
insieme e per questo ringrazio con tutto il mio cuore Writers Guild Italia per avermi permesso di parlarne. Gli aborigeni australiani cantavano sognando la terra per farla esistere e io sono come loro.