Il bollettino dello scrittoreVenezia

Bollettino n. 6

Andrea Vernier,  sceneggiatore, socio e membro del Board della Writers Guild Italia, osserva e vive, dal nostro particolare punto di vista di scrittori, gli eventi della 80. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia (30 agosto – 9 settembre 2023)

III

Da vent’anni a costruire un piccolo evento a latere della grande macchina. Da vent’anni passeggero e anche marinaio della grande barca-Mostra.

Mi sorride pacioso. E’ una di quelle figure maschili da centro Italia a cui, fin da lontano, non puoi non voler bene. E’ proprio l’idea dell’italiano brava gente – ma quella vera. Un sorriso che accoglie dietro una barbetta ispida da orsacchiotto. E due occhiali grandi. Quanto due schermi.

“Beh?” inarca i cespuglioni delle sopracciglia. Comincia così, lui. Chiede; non dice ma chiede. Eppure sa che volevo strappargli parole, idee, pareri. Gli ho spiegato che qua, in questi bollettini sullo stato delle cose, si può parlare a ruota libera, dicendo quel che non si osa dire altrove. Sullo stato dell’arte.

“Beh?”. Mi guarda. Aspetta e sorride. E’ che lui è fatto così; accogliere è in effetti il suo mestiere. Lavora nel mondo scolastico. Dunque il suo è uno sguardo prezioso – il più vicino allo spettatore appassionato. Non da addetto ai lavori che si pone problemi di forma, di contenuti, di conti che non tornano…

Organizza un gruppo di ragazzi, di giovani davvero giovani. Da vent’anni questi ragazzi, spesso digiuni di cinema, scoprono a Venezia cosa sia il Cinema, quello maiuscolo. Formano due giurie e poi danno il loro premio in un evento collaterale.

Lui è il tutor. Il G.G: Grande Genitore (in prestito). Parla piano, con calma, ragionando. Mai una punta fuori luogo. Il cinema per lui deve essere una passione interna, una gioia che urla silenziosa dentro di lui.

“Io adoro il cinema di genere. È da quella porta che sono entrato. Poi, una volta che sono arrivato per la prima volta alla Mostra, oltre vent’anni fa, ho scoperto che esisteva un mondo. Un altro mondo. E mi sono innamorato di tutto questo”

Siamo nella terrazza del casinò – che durante la Mostra diventa la casa di molti. La Colonia. Siamo in ombra – in una giornata in cui il sole spinge, indifferente al calendario. Il mare lo vediamo attraverso delle finestre di una delle costruzioni temporanee festivaliere. Filtri su filtri. Ma noi li, all’aria aperta, a respirare cosa c’è in giro. E’ di quest’aria che si è innamorato lui.

“Questa” – mi dice indicando l’aria – “è una gigantesca e meravigliosa finestra sul mondo.” Forse mi legge nel pensiero. Maledetti professori – sanno sempre cosa pensa il discolo di turno. L’orsacchiotto mi guarda per puntualizzare. No, non è un prof, non ha nulla della figura. È proprio un orsacchiotto. Un amicone. Nel guardarmi non sta per fare nessuna spiega: cerca uh dialogo socratico. “Questa è la finestra sia sul mondo fisico – perché solo qui vedo racconti che arrivano da ogni sperduta parte del mondo – sia sui mondi diversi che compongono il cinema…” si rigira soddisfatto. Era proprio quello che voleva dirmi. E ha ragione. “Eh sì, lo dico sempre ai miei ragazzi: qui esistono i tanti modi di essere del cinema…” scandisce. Sempre il bravo parroco della propria parrocchia. Glielo dico. Sorride semplice, contento. Lo sa. Glielo dicono con il sorriso anche altri. E lui accetta volentieri. D’altronde, dopo un po’ di altri ragionamenti, mi parla della sua vocazione: “Arrivano venti ragazzi singoli, ognuno per conto suo; e dopo dieci giorni insieme alla Mostra se ne vanno venti appartenenti ad un gruppo. Abbiamo scoperto insieme un sacco di cose; abbiamo creato un rapporto… è bello”. Ecco. E’ proprio quello che cercavo in questi giorni: il Cinema è un fatto sociale – e la Mostra è un evento fisico, popolato da persone diverse, da passanti, spettatori, curiosi, lavoratori a vario titolo… insomma un crocevia di destini. Lui, l’orso buono, con il suo sorriso pacato e accogliente è lui stesso un crocevia di destini – quelli dei suoi ragazzi.

“Te lo dico. Si, è vero: non ho trovato il film che mi ha fatto impazzire. Mi è mancata la nota assoluta, quest’anno. Lo confesso”. Mi volto stupito. Mi ha spiazzato: qualcosa che non gli è piaciuto. Una mancanza, una nota a togliere. Lui mi guarda soddisfatto. Sa di averla detta grossa. E’ che è più forte di lui: ama il cinema, e dunque anche tutto quello che ci gira attorno. Come fai a non essere riconoscente e a non voler bene a ciò che ti fa stare bene? Lui non parla mai male di nulla.

Dopo la confessione, si sa, il reo si rilassa. Così scherziamo e parliamo. E’ bella la sua compagnia. Nessuna gara in nessun pensiero. Non deve dimostrare nulla. Nessuna teoria. Nessuna verità capita. Lui osserva. Guarda. E pensa ai suoi ragazzi – costantemente in cima ai suoi pensieri. Mi sorride ancora, prima di andare: “si è vero, sono un educatore. Ecco cosa sono davvero. E’ che mi piace essere responsabile per loro.” Sorride. Sincero. Completamente presente nell’abbraccio. Una bella persona.

Lo vedo andare via e penso che non lo sa neppure lui, ma ogni anno l’orso buono fa cinema. Anzi, è cinema. Perché trasforma un pulviscolo di individui refrattari in un gruppo affiatato.

Ed è subito quella sporca dozzina.

IV

“Sono solo uno spettatore che ha avuto l’intuizione di capire cos’è davvero il cinema…”

La butta là. Con nonchalance. Civettuolo.

Ha uno sguardo enigmatico. Mefistofelico. Assaggia persone e volti e idee e film – come ciliegie nel dopopranzo estivo; una tira l’altra.

Trovare il modo di parlargli è stato complicatissimo. È che lui divora film ed eventi – e in più ci si mettono anche le inevitabili giornate di stanca da festival, quando chiunque si ferma un giro, causa esaurimento delle forze.

E’ partito a bomba. Serve seguirlo. Il suo ragionamento è denso.

E’ stato ed è regista, filmmaker, uomo di spettacolo… molte cose. Ma innanzitutto, mi sembra di capire, è un modo di vedere.

“E’ lo spostamento d’aria. Ecco. Questo è il cinema. Lo spostamento d’aria che percepisco nella mia poltrona…”

Ora… Quando scrivi, cerchi le parole più adatte. Trasferisci un concetto, o cerchi di far passare una sensazione. Quel che vedi. Ma come fai a descrivere un tono? Un modo. Quel modo. Perché è il suo modo che fa il suo personaggio. Non che lui lo voglia essere, ovviamente, un personaggio. Ma lo è. Esattamente come alcuni pianeti, solo in virtù della propria massa gravitazionale, attraggono materia che vaga per l’universo. Ecco, lui ha una massa estremamente densa – e attrae i ragionamenti, le persone. Si distilla in personaggio pur senza volerlo essere. E’ senza dubbio un grande tessitore di ragnatele sofisticate. Intarsia l’aria di parole.

Mi colpisce una cosa: è partito esattamente andando al cuore della faccenda. Vuole darmi subito il centro. Raro trovare una precisione così immediata, così presente a sé stessa.

Mi sorride benevolo. Spera che io capisca. Deve essere abituato a seminare a vuoto. E ogni tanto a raccogliere.

“Lo spostamento d’aria… sì. Io sono seduto là, in poltrona, con lo sguardo in alto… e qualcosa succede là sopra, in quello schermo – e mi arriva quello spostamento d’aria…”

Semplice e chiaro. Gli racconto dell’intervista al mago, della sua idea di finire nello schermo come se si andasse in moto, avvolti da quello che si vede attorno a noi…. Abbozza. Capisce, ma no, non è così.

Parla piano, voce pastosa di chi non disdegna le ore piccole o i buoni drink, un po’ Truman Capote all’Harry’s Bar, un po’ Visconti al Des Bains. Quando nel guardarti inarca le sopracciglia, paiono due archi a tutto sesto tanto sono perfetti e bilanciati.

Ci vuole allenamento per essere così controllato.

Si parla della differenza con la Fiction e con molto cinema… con un cenno della mano libera, dal bicchiere scaccia via tutto questo come fossero moscerini impertinenti che si inzaccherano nel suo pensiero.  Mette a fuoco meglio i concetti.

“E’ una questione di tempo; di differenti sensi del tempo. La fiction e il cinema, ovviamente, sono differenti. Ma…” cerca di rendere più acuto il suo pensiero. Affila la lama. “…Ma non è ancora del tutto questo…”. Muove le mani piano, come un direttore d’orchestra che si accinge a dirigere un adagio. Accavallato nel divano rigido pondera la consistenza dell’orizzonte davanti a lui. Chissà se il mare è abbastanza, per lui.

“È che è una questione di sguardo. Ecco. Lo spostamento d’aria arriva quando cogli uno sguardo. E’ in quel preciso momento che arriva lo spostamento d’aria”. Il punctum di Barthes, accenno. Annuisce e prende con sé, inglobando nella sua visione. Perché ormai è partito. Ha bucato la pellicola del senso con il suo ago – e ora viaggia inarrestabile come un fiume verso il mare. Si, il punctum cinematografico in cui cascare dentro, in cui si riversa su di lui spettatore tutta un’onda emotiva che trascina, che unisce schermo e spettatore. Un momentum. L’essenza dello sguardo. Del Cinema.

Si scalda. La voce sale di tono, la cadenza si fa veloce, appassionata.

“E quel momentum lo devi saper costruire. Non arriva così, a caso. Perché il cinema è come. Non è cosa.”

E via, giù nelle rapide del suo pensiero, a inseguire Vertigo, e quel momento in cui lei si cambia e… diventa l’altra…

Pausa. Ci guardiamo, entrambi colpiti dallo stesso effetto. Pelle d’oca lui e pelle d’oca io. Sorride soddisfatto. Come un gufo che ha appena acchiappato la sua bella preda.

“Ecco, vedi? Lo spostamento d’aria. Questo è il Cinema”.

Si, capisco. Lo sguardo. Gli sguardi.

Mi parla appassionato de “l’intendente Sansho”, di un carrello in allontanamento da un personaggio rimasto sul bordo del lago, mentre il personaggio guarda in macchina… la perfezione di un lago giapponese…. La sua voce si perde nelle scale a salire. Stava danzando con qualcosa dentro di lui ed ora rimane fermo, sospeso nel disegno della mano – come se a cercare certi concetti proprio non si potesse arrivasse a dar corpo tramite una parola. Per un attimo rimane così, con le sopracciglia alzate, impigliate nell’aria.

 “E’ il baratro filmico” mi dice mentre i suoi occhi vedono cose meravigliose nel cielo davanti a noi, nella terrazza del Casinò che si prepara alle premiazioni. “Può essere un fatto politico, può essere poetico, può essere molte cose. Ma insomma, quello che è il cinema, è lo sguardo…”

E poi lo sguardo, il suo, gli cade su una figura materializzatasi davanti a noi; una figura esile, quasi d’altri tempi, Viscontiana – ma con il cellulare. Il nuovo arrivato sorride timido, non vuole disturbare. E’ orgoglioso di farsi vedere tutto tirato, camicia bianca stirata perfetta; pronto per il gala.

Il gala! È il segnale: in effetti ci sono le premiazioni. Lui si alza di scatto e vola in sala giornalisti, a guardarsi la cerimonia.

Rimango da solo nella terrazza svolazzante. E sorrido.

Sorrido a quell’apparizione eterea che così come si era materializzata dal nulla, altrettanto nel nulla si dilegua, svanendo allo sguardo confuso nel bianco del selciato; alla mefistofelica persona che mi ha appena regalato un assaggio dei suoi mondi e pensieri; al destino che costruisce incastri e personaggi. Perché mi fa sorridere pensare a lui, così colto e tracimante di senso, che si butta lì, in mezzo al gruppo scaciato dei giornalisti, a fare una cosa semplice semplice: il tifo dello spettatore appassionato.

In fondo anche questo è cinema: essere molte cose insieme.

L’unico, vero collante di tutto questo mondo è uno solo: la passione.

Uno sguardo appassionato. In effetti ecco cos’è stata questa Mostra del Cinema.

Come sempre.

Andrea Vernier
Inviato WGI a Venezia

Il bollettino dello scrittore – I report dell’inviato di Writers Guild Italia (WGI) dalla 80. Mostra internazionale d’Arte Cinematografica (30 agosto – 9 settembre 2023).