Bollettino n. 5
Poi il tramonto si fa crepuscolo, in mezzo a corpi cosparsi da doposole e però nuovamente puzzolenti.
L’afa non perdona.
Questo tropico del nord est ha un fascino da rotonda verso l’infinito e oltre, con quella palla di fuoco chiamata sole che se ne va dietro il profilo dell’isola davanti, oscura e inacessibile. Aleggia su tutto un senso di mistero e sospensione, come sempre. È un momento di passaggio. Viene da chiedersi se le pause, le attese, non siano il meglio della vita. O forse, chi lo sa, in quanto attesa di qualcosa questi momenti hanno il sapore del meglio solo per chi non ha trovato il sacro gral della felicità – vai poi a capire. Fatto sta che l’attesa del qualcosa che, prima o poi, accadrà, occupa lo spessore maggiore nella biblioteca dei momenti della vita.
E dunque.
La riproduzione della chimera svetta davanti all’acqua, nella sua piccola torre che pare invalicabile, ma invece è compensato. Imperiale e precaria. Ibrida, come una chimera.
Poi, certo, non è che le penne delle ali della chimera si siano mosse, spettinate per una folata di vento. Ma qualcosa, ecco, c’è stato. Ed è lei, ovvio. Se ne arriva trionfante e tranquilla allo stesso tempo, con la bici appresso, come una Aida che gira per il Lido – che dove vai se una bici non ce l’hai.
E insomma eccola. Quando l’ho vista era, ovviamente, al telefono. Camminava, parlava, guardava, controllava. Tutto. Sempre tutto insieme. Perché lei tesse costantemente la tela che noi fruitori ci troviamo apparecchiata giorno dopo giorno. E insomma, dopo molte ore e molti messaggi e molte telefonate, finalmente si materializza, davanti a questa rotonda sui tropici.
E’ strano incontrarla ora, prima che tutto inizi. Ma questo non è un bilancio su quel che è stato visto, vussuto, digerito
Siamo qui seduti proprio mentre la luce crepuscolare se ne sta andando del tutto. E dunque: a che punto è la notte?
Ride. Con tutti quei riccioli, tutti quegli occhi spalancati dietro lenti che evidentemente devono deformare ciò che si vede attraverso, rendendolo più vivo e bello – ecco qual’è la sua droga, il motivo della sua perenne vitalità contagiosa. Devo aver capito finalmente il segreto. Ma faccio finta di nulla. (D’altronde la cornice è chiara; l’avevo invitata qui con i più biechi intenti da film di spionaggio anni 30: “ora la faccio bere e lei vuoterà il sacco”. Ovviamente è finita come in un film di mister Bean, dove io ho bevuto e lei è sempre stata in controllo perfetto. Come sempre). E insomma, ride guardandondosi in giro. Traduco il gesto: “ma che devo fare con voi?” In effetti è un sorriso che capisce, compatisce e però allo stesso tempo vorrebbe anche dare un piccolo scapaccione. Come una zia ad un nipote perennemente discolo, a cui però non puoi non voler bene. je possino…
“Il settore del casino. Ecco cosa siete nel cinema.” E ride di gusto, semplice e sincera. Si, ok; ci vuole bene. But.
“Tutti vogliono esserci. Ma proprio tutti. il cinema è la grande vetrina. È quello che smuove mari e monti… tutti, ma ti assicuro proprio tutti: vogliono proprio esserci. Ma… (ecco; lo sapevo) …ma fanno casino! Sempre in crisi…”
Ecco. Coglie. In effetti “crisi” è la parola più ricorrente da sempre, nel nostro settore. Provo a capire meglio.
“Secondo te è un ‘casino’ endemico?” “Forse si. Perché c’è una quantità enorme di gente che ci gira attorno a questa cosa… al cinema! Ecco…” si risolleva dallo strapuntino; come avesse colto una sorpresa nel suo stesso pensiero. Si illumina “ma ti ricordi? ‘ormai è finito!’ ma te lo ricordi?” è perentoria, senza possibilità di scampo. Annuisco intimorito, ma convinto. Si, mi ricordo bene. “ma quante volte hanno detto ‘è finito’? e invece no: il cinema non è proprio per niente finito. Anzi…” Si sposta. Ho capito che ad ogni movimento del corpo corrisponde una piega diversa del fiume che è in lei. Dev’essere per via della frequentazione con la danza. Riparte “ma lo sai che noi curiamo una bellissima rassegna invernale di film restaurati? Sono datati, capisci? Beh, la sala è sempre piena. Piena! Di ragazzi, di giovani. Di tutto… capisci?” nuovo sguardo interpellante, asserente, convincente. Annuisco. Si, capico. “Il cinema resterà vivo. perché è assurdo, nella sua forma antipratica… assurda oggi: la sala. Questo fatto sociale… c’è chi parla dietro di te e disturba, chi russa… la sala! E tutti ci vanno!”
Dell’aria si muove. E’ un autobus. Sono elettrici, silenziosi. Ma pur sempre enormi. Spostano aria. E quell’aria è calda, calda, calda… Tropico de noialtri. Ma la notte pare benevola. Saranno le sue parole, o gli occhi. Pieni di luce.
“Ma insomma” rilancia lei, con ancora più entusiasmo “ma li rifacciamo tanti cinema all’aperto?! Eh? Che dici? Convinciamo tutti a farli? Sono stupendi!!” e poi con occhi sognanti mi racconta del suo cinema all’aperto preferito, al Bryant Park di NY, dove va con la sua coperta sul prato e si gode questo gigantesco fuori scala: un film proiettato sulla facciata di un grattacielo… “ed è sempre strapieno! Tutti vogliono sognare così. Assieme…”
Ecco. Il fatto pubblico. E’ un fuori scala, ovvio. Dunque chiama in causa un altro fattore: la gestione pubblica. La dimensione del cinema contiene per forza una parte di intervento del sistema pubblico… discorso complesso. Sono giorni complessi per il nostro settore, con la gestione del post tax credits che mostra criticità e domande. Situazione complessa, come sempre.
Parliamo della gestione pubblica. Dell’essere un’istituzione. Le chiedo: vedi pericoli? Vedi fragilità nel vostro futuro immediato o lontano?
Mi risponde pronta, schietta: “No. anzi. Ti dirò che sarebbe il momento di riconoscere quel che in più di qualcuno ha fatto per anni. perché adesso ti posso dire che la macchina che in questo momento sforna film per tutti, ma che durante l’anno prepara il meglio che ci sia anche in tutti gli altri settori (n.b. arte, danza, teatro, musica, architettura), ha rinforzato tutte le sue fondazioni, i suoi pali sotto la casa. Sono stati lavori lunghi. Ma ci sono stati. Sono durati anni e anni. Ed ora si vede quel lavoro. Le fondazioni di un edificio sono importanti, fondamentali, capisci? Per capirsi: ‘ringraziamo il nostro maggior sponsor, senza il quale nulla si potrebbe fare: il nostro pubblico!’ te lo ricordi? (n.b. lo diceva Baratta). Capisci? Il pubblico…!! che intuizione geniale e fondamentale… creare, cercare e ottenere la partecipazione del pubblico ti mette nella possibilità di essere autonomi. Essere popolari, e dunque essere liberi…”
Successo e ricerca. Arte e popolarità. Ecco la strada stretta che percorre la Biennale. Una strada che a noi dice molto.
La notte chiede conto del tempo consumato. Dobbiamo volare via – lasciando in sospeso molti argomenti. Ci promettiamo altri incontri. Ma ora si va. Domani ci sono mille cose da fare. Domani, d’altronde, è un altro giorno. E una cosa già la sappiamo: sarà caldissimo.