FSE/FERA – Collective bargain workshop
Bruxelles 25 e 26 maggio 2018
Stamattina sveglia all’alba per raggiungere Bruxelles, dove una cinquantina di autori dell’audiovisivo provenienti da tutta Europa (e non solo) in rappresentanza delle rispettive Guild hanno dato vita al primo incontro di un workshop sulle strategie di contrattazione collettiva. Per la prima volta sceneggiatori e registi (FSE e FERA) sono riuniti intorno ad un tavolo (su due file, perché anche stringendoci non ci stavamo) per mettere a confronto le condizioni di lavoro, i contratti, lo stato della contrattazione con le controparti per gli autori dell’Audiovisivo europeo.
L’incontro è iniziato con una relazione dettagliata del sondaggio condotto qualche mese fa dall’Università di Ghent, a cui molti soci WGI hanno partecipato. In tutto hanno risposto 2300 tra sceneggiatori e registi, l’analisi dei dato raccolti non ha disegnato una quadro roseo: estrapolando qualche risultato è venuto fuori che mediamente uno sceneggiatore europeo guadagna 20.000 Euro l’anno; che oltre il 60% degli Autori dell’audiovisivo deve fare un altro lavoro per mantenersi (o avere un partner ricco, che non è uno scherzo: i single muoiono di fame più di quelli che tengono famiglia); e soprattutto che il 7% dei contratti non viene onorato dai produttori (cioé NON PAGANO anche nel resto del continente, non solo in Italia).
Superate queste notizie allegre è arrivato il momento di affrontare quelle veramente brutte, che tutte brutte in realtà non sono (sennò non andate avanti a leggere e uscite a cercarvi un compagno coi soldi, o anche solo con un lavoro normale).
E’ stato fatto un giro di tavolo (mezzo, perché poi è finito il tempo) durante il quale i rappresentanti di Guild di sceneggiatori e registi di molti paesi hanno risposto ad alcune domande:
1. avete un contratto collettivo?
2. Se non ce lo avete, qual è la ragione principale che lo ha impedito?
3. Quanto “forte” è contrattualmente la vostra organizzazione?
Considerando che si era in presenza di creativi in un posto che pareva adatto al brainstorming, alle domande ha risposto veramente solo il primo che ha parlato: Magga, sceneggiatrice islandese.
Dopo di lei sono intervenuti norvegesi, italiani (io), inglesi (la WGGB ha 7000 – SETTEMILA! – iscritti), olandesi e rumeni.
Come è facile immaginare ognuno ha presentato situazioni molto differenti, anche se in qualche caso sorprendenti. Per esempio, i registi norvegesi hanno un contratto collettivo, discusso e controfirmato sia dalla TV pubblica che dalla associazione dei produttori. Però per gli altri il problema è lo stesso che abbiamo noi: i produttori non si siedono al tavolo. WGGB, per dire, gli accordi li fa direttamente con i broadcaster (BBC, Channel4…), ma non sono vincolanti per i produttori, sono delle linee guida che non obbligano nessuno. Certo, vista la potenza di settemila – 7000! – iscritti un minimo di moral suasion questi accordi la fanno.
Per non piangerci solo addosso, i colleghi interpellati una gestione dei diritti di sfruttamento come la nostra, quella dell’equo compenso, se la sognano proprio. Dall’altro lato, stanno tutti combattendo per assicurarsi i diritti secondari (anche se la formula “per tutto il mondo, l’Universo e su qualsiasi mezzo non sia stato ancora inventato” che ci troviamo noi nei contratti ce l’hanno per dire pure gli olandesi).
Altra stranezza tutta italiana è la “competition law” che frena tutti o quasi gli altri dalla definizione dei minimi. In tutti i paesi europei ci sono leggi antitrust che impediscono a qualsiasi categoria (o quasi) di imporre i minimi per prestazione. Da noi è esattamente il contrario (o quasi), nel senso che le categorie con un Albo (architetti, avvocati, ma anche i giornalisti) i minimi invece ce li hanno eccome e se qualcuno non li rispetta di becca una multa dall’Ordine e pure dallo Stato. Questa condizione corporativa di origine medievale fa sì che noi non si possa stabilire delle tariffe NON perché è contro il mercato, ma perché non possiamo creare un Albo (cosa che per me sarebbe inaccettabile, e che non abbiamo nessuna intenzione di proporre, ma parlo dello stato delle cose).
A chiudere – chi è arrivato fin qua vince un aperitivo pagato da me se dice la parola d’ordine – è emerso un generale interesse a stabilire delle tariffe per i lavori creativi nell’ambito audiovisivo che siano proporzionati al budget dell’opera che si va a produrre e – udite udite – la legge di finanziamento cinema della Romania lo prevede già: 4% del budget agli sceneggiatori e 5% ai registi. Budget del film, non del finanziamento pubblico.
Nel secondo incontro sulla contrattazione collettiva sono state ribadite più o meno le stesse cose della giornata precedente da parte dei rappresentanti di sceneggiatori e registi di altri paesi Europei (Grecia, Bulgaria, Francia, Lussemburgo, Austria…): i produttori evitano come la peste tavoli di contrattazione, la legge sulla concorrenza impedisce di stabilire dei minimi (i colleghi spagnoli, per chi non lo sapesse, sono stati condannati da un Tribunale a pagare una multa per averci provato), i mestieri artistici sono poco considerati. Tutti hanno segnalato però che i fondi pubblici per l’audiovisivo – regionali e nazionali – prevedono delle percentuali minime di compenso per registi e sceneggiatori, che nel caso degli scrittori vanno dal 3 al 5% del budget.
Poi sono arrivati i tedeschi, che hanno sfoderato l’accordo appena fatto con una emittente in Germania. Posso dare pochi particolari perché il documento è ancora secretato in quanto mancano le firme, ma l’accordo c’è. In sintesi, VDD (la guild tedesca) e un broadcaster privato hanno stabilito, insieme, come regolare il lavoro degli sceneggiatori. Sono stati stabiliti dei minimi dettagliatissimi (per qualsiasi tipo di prodotto TV), il numero di consegne (tassativo, non superabile), ma soprattutto la premialità di un’opera in funzione del suo successo. In pratica, il contratto contiene delle quote previste di pubblico per ogni prodotto (film tv, miniserie, serie lunga) in funzione dell’orario di messa in onda (daily, primetime…) e dei premi i denaro secchi per gli autori qualora queste opere ottengano un’audience maggiore del 40% rispetto a quanto previsto. In pratica, per fare un esempio, se il pubblico previsto è 3.500.000 di persone e l’opera ne totalizza 4.900.000 (=3.5milioni+40%) gli autori (ogni autore) prendono un premio di 5000 Euro (a puntata, se si tratta di una serie). Se per caso si ottiene il 40%+40% (cioè se la serie fa il botto) il premio cresce in proporzione. Non male.
Inoltre, stabilendo i minimi si chiarisce che sono relativi al lavoro di UNO sceneggiatore. Cioè, se uno script viene scritto in due non è che si divide a metà quel minimo, ma il valore della sceneggiatura aumenta in modo da pagare bene entrambi (credo che venga moltiplicato per 1,5 o 1,7 a occhio).
Quanto hanno impiegato i colleghi tedeschi o ottenere (da una rete privata, ripeto) questo accordo? Circa 15 anni, durante i quali hanno invece ingoiato un accordo pessimo (parole loro) con ZDF, che è pubblica. Insomma, ci vogliono tempo, costanza e testardaggine, ma piano piano si scalfiscono i muri.
Dopo questa rosicata, a far travasare definitivamente la bile ci si sono messi i due delegati delle Guild nordamericane: Bill per i registi canadesi e Marge per WGA East. L’intervento canadese ha ribadito più volte che lo sciopero, a cui loro non sono mai ricorsi, è in realtà un’arma relativamente potente in paesi – come il loro – che fondano l’industria dell’audiovisivo sulla coproduzione (money seek stability, diceva). Però il patto di ferro tra TUTTE le componenti della filiera produttiva (registi, direttori fotografia, montatori, ispettori di produzione etc.) fa sì che le controparti evitino comunque conflitti esasperati.
La giornata si è conclusa con un riepilogo di quanto emerso, confrontando le esperienze nei vari paesi, le vittorie e le sconfitte e con un accordo di massima sui prossimi passi da fare, uniti: condivisione dei dati (contratti, accordi…), pressione sui politici locali, regionali e nazionali (che sembra essere la strada più breve per mettere all’angolo, o almeno seduti al tavolo, i produttori), diffusione delle informazioni sui diritti (molti colleghi, e anche registi, non sanno minimamente che cosa possano o non possano chiederci i produttori secondo la Legge nazionale).
Vinicio Canton