“Noi non gli facevamo mai male”
Ecco perché è necessario uno sceneggiatore.
Parola di Falsetti, Turbanti e Renzoni, autori di “Margini”
Ha fatto parlare di sé, Margini, il film scritto da Niccolò Falsetti, Francesco Turbanti e Tommaso Renzoni, presentato alla 37. Settimana Internazionale della Critica durante la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia. Il film diretto da Falsetti e interpretato da Turbanti ha infatti ottenuto il premio del pubblico e non è difficile capire il perché, ma andiamo con ordine …per quanto sia possibile, visto l’affiatamento e l’entusiasmo dei tre autori!
Buongionro a tutti e tre. In “Margini” siete riusciti ad unire due argomenti che sembravano assolutamente disgiunti: Grosseto e lo street punk. Da dove nasce questa idea?
Niccolò: “Abbiamo fatto ciò che, secondo noi era fisiologicamente naturale e necessario; abbiamo unito i puntini che collegano i nostri due grandi amori: il punk e il cinema. Francesco ed io siamo amici da sempre, cresciuti con questi due chiodi fissi e così abbiamo scritto la nostra storia. Fino ad un certo punto… poi abbiamo avuto bisogno di uno bravo davvero ed è arrivato Tommaso”.
Tommaso: “Quando sono entrato nel progetto, ho volutamente mantenuto una distanza. Loro raccontavano una sintesi delle proprie esperienze di vita. Per far sì che tutto quadrasse realmente, era necessario però che almeno io rimanessi un passo indietro. Lucido. La sceneggiatura l’avevano già abbozzata con le loro idee e i loro personaggi. Il mio compito è stato quello di dare una mano perché da esterno avevo uno sguardo imparziale e poi ho sistemato la struttura in modo da far emergere i personaggi, scegliendo alcune soluzioni che li andassero anche a rafforzare”.
Francesco: “Il compito di Tommaso è stato fondamentale perché lui era quello che manteneva la distanza da ciò che era stato il vissuto, il personale. E anzi è riuscito a far staccare anche noi da un mondo che padroneggiavamo ma che rischiava di fagocitarci. In questo modo abbiamo potuto vedere ciò che serviva davvero alla storia. Capire meglio i personaggi e farci fare scelte più giuste per loro. Perché noi non gli facevamo mai male, mentre Tommy ci ha aperto gli occhi, spiegandoci che dovevamo ferirli un po’.
Non deve essere stato un percorso facile per un esterno che arriva con la tecnica e con l’accétta…
Tommaso: “No, ma sapevo che ce l’avremmo fatta. All’inizio li ho studiati, osservavo come si muovevano nella storia e davo consigli morbidi. Non volevo spegnere la loro fiamma della passione e sentivo di dover mantenere un approccio delicato. Poi un giorno sono stati proprio loro a chiedermi di dire se c’erano cose che non mi tornavano. E così ho aperto la discussione sulla seconda metà del secondo atto, sulla risoluzione. Perché il film poteva dare molto di più”.
Avete firmato il film come un duo, ma la regia è solo di Falsetti. Perché questa scelta?
Niccolò: “Abbiamo firmato in due perché volelvamo comunicare che siamo due autori e che entrambi abbiamo seguito tutte le fasi del film, dall’ideazione del suo embrione fino alla post produzione. Durante questo percorso, abbiamo preso decisioni creative, condividendole e confrontandoci su tutto. Quando poi siamo arrivati al momento in cui erano necessarie le competenze specifiche, sul set, ognuno aveva le proprie peculiarità e le he seguite.
Francesco: “Nella scrittura ad esempio, io ho portato la mia esperienza attoriale, con il mio punto di vista sulle battute. Le masticavo già mentre Tommaso le affrontava con la sua visione registica. Lui, quando scrivevamo, osservava le scene meccanicamente, seguendo le dinamiche e pensando già alla loro messa in scena.
E tu, Tommaso, dopo l’esperienza con gli YouNuts! Ti sei trovato nuovamente a collaborare con un duo…
“Ogni volta si tratta di un percorso diverso. Con Niccolò e Francesco abbiamo fatto diverse stesure insieme, mentre con gli YouNuts! arrivavo che la stesura era più avanzata. QUello che però ho imparato, in entrambe le esperienze, è che bisogna prima di tutto ascoltare. Ascoltare molto. Non arrivare con il manuale di sceneggiatura, pronti a tagliare e cambiare, perché quello è il modo migliore per far chiudere chi è di fronte a noi e da tanto lavora al progetto. Sono profondamente convinto che un’importante parte del nostro lavoro risieda nella capacità di ascoltare, metabolizzare il tutto facendolo proprio e poi trovare il modo per farlo rinascere. Un po’ come spiegava Socrate con la maieutica! Perché quando si lavora, e con una coppia a maggior ragione, bisogna annullare il proprio ego per capire a fondo il dna della storia. In questo caso ad esempio, non conosco Grosseto né i punk. Ma ho studiato e mi sono affezionato ad entrambi, vivendoli attraverso loro due e il loro vissuto. E il giorno in cui ho proposto di apportare un cambio radicale al tutto, lo sconforto in loro è durato – realmente – 10 minuti.
Niccolò: “Beh sì è stato un momento topico. Ci sono stati colpi di tosse e bocconi di traverso mentre pranzavamo. Ancora ricordo la scena, eravamo nella mia cucina e lui ha sparato la bomba. Poi ne abbiamo parlato a lungo, perché era una scelta forte ma giusta e necessaria. Da quel momento in realtà, siamo andati avanti molto più velocemente perché è finita la fase di studio e ascolto da parte di Tommy. Lì abbiamo dato la svolta, trasformandoci in un mostro a tre teste e la scrittura è proceduta in maniera fluida”.
Come avete scelto Tommaso?
Niccolò: “Abbiamo fatto dei provini. Eh già. Dovevo improvvisamente intrecciare due equilibri e avevo paura che l’incrocio non funzionasse. Tutti dovrebbero fare provini sul lavoro. Un provino dal vivo, di persona, per sentire a pelle se sei sulla stessa lunghezza d’onda. Sapevamo che il nostro copione aveva dei problemi, ma non sapevamo né dove, né come risolverli. Così parlavamo del progetto ai vari candidati e sentivamo cosa pensavano e cosa avrebbero fatto. Tommaso è stato l’unico che ha visto le grinze esattamente dove le vedevamo noi e ha trovato delle criticità giuste, proponendo soluzioni interessanti e in linea.”
Francesco: “Ricordo le chiacchiere iniziali nelle quali dicevamo Fortuna che non siamo amici perché il fatto che Niccolò sia il mio migliore amico, si rifletteva sulla difficoltà di una comunicazione onesta e, visto il delicato lavoro che dovevamo fare, serviva guardarsi negli occhi e prendersi a pizze metaforiche e prendere le decisioni. Poi siamo diventati amici. Il momento in cui Tommaso ha fatto le proposte, è cambiato qualcosa. Ha raddrizzato elementi fondamentali per la struttura, perché Tommaso è un esperto di struttura, ma mi sono davvero illuminato nel momento in cui ha fatto due proposte precise e lì ho pensato: Che figata! Ecco, è proprio quello che ci serviva! Da lì siamo diventati tre”.
Dalla produzione avete avuto indicazioni o diktat?
Niccolò: “Il privilegio di avere avuto due produttori che sono due scappati di casa come noi, ha fatto sì che ci permettessero di inventarci un metodo di lavoro. Il lavoro è stato molto bello perché abbiamo avuto divergenze e scontri ma ne abbiamo sempre tirato fuori cose fruttuose. Non sono mai stati fatti discorsi gerarchici, cosa che ci ha permesso di lavorare su piani paritari. Sono stati sempre trasparenti su tutto”.
Francesco: “Diciamo che i Manetti si sono collocati come fratelli maggiori. Sono per noi dei punti di riferimento grazie all’esperienza enorme che hanno fatto. Ma non l’hanno mai fatta pesare, stando al nostro fianco e anzi supportandoci”.
Tommaso: “Nella mia esperienza, è stato forse l’unico film in cui la produzione ha messo la sceneggiatura al punto giusto. E a Venezia, dove avevo altre opere, ho visto la differenza. Essere voluto in sala così come alla conferenza stampa, non è scontato. E infatti non c’è alcun precedente simile nella mia carriera… Il fatto è che noi sceneggiatori facciamo un lavoro che è boarder line perché devi essere trasparente nei movimenti per privilegiare l’idea di fondo e non l’ego. Ti metti al servizio della storia. Dall’altra parte è terribile la situazione perché ci impegniamo con tutte le nostre forze per supportare e sopportare personaggi spesso difficili. È un lavoro che in certi momenti ti frustra perché magari salvi delle opere e non c’è niente da fare, non compari neanche nell’ultima riga. In questo caso invece, Niccolò e Francesco sono stati straordinari e le rare volte in cui non sono stato citato, si sono dispiaciuti. Il problema è che i giornalisti non hanno la cultura della citazione dello sceneggiatore. Per loro è un film del regista. Basti pensare che prima di Venezia, avevo tre opere al Festival (il documentario “Marcia su Roma”, il corto “Nostos” e il film “Margini”), sono andato da un ufficio stampa per diventare suo cliente e mi ha risposto che non avrebbe potuto fare nulla per me, che avrebbe preso soldi inutilmente…”.
L’intervista è a cura di Francesca Romana Massaro