Cose da uomini
La webserie, cinque episodi, finanziata dalla UE, promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità, e lanciata in occasione della Giornata internazionale delle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne, il 25 novembre 2014, è stata presentata allo scorso Roma Web Fest.
Fabrizia, raccontaci di che cosa parla Cose da uomini, la webserie che hai creato e scritto e che sarà on-line in questi giorni.
Cinque uomini, diversi in tutto ma amici sul campo di calcetto e nella vita, si trovano ad affrontare un momento difficile nel rapporto con le donne che amano. Ciascuno di loro vivrà un attimo-bivio, in cui sarà tentato di reagire a questa difficoltà in modo aggressivo; scoprirà, invece, che la strada più gratificante è un’altra, e passa per il riconoscimento della propria fragilità.
Come è nato il progetto? Chi ha prodotto la serie?
La serie è una campagna di sensibilizzazione contro la violenza maschile sulle donne. È stata finanziata dall’Unione Europea tramite il Dipartimento delle Pari Opportunità e prodotta da due società indipendenti (Fish Eye e Arim Video). Io sono stata chiamata da una persona che lavora spesso con clienti istituzionali su campagne di comunicazione sociale. Sono stata coinvolta dall’inizio, quando il Dipartimento doveva concorrere a un bando europeo per ottenere il finanziamento al progetto.
Ho fatto diverse riunioni col Dipartimento e coi suoi partner (le associazioni Dire e Maschile Plurale) per mettere a fuoco quale messaggio dovesse veicolare la serie e soprattutto quale NON dovesse veicolare, a chi dovesse rivolgersi, in che modo dovesse parlare eccetera. Alla fine ho elaborato due proposte di concept. Il Dipartimento e i partner ne hanno scelto uno. Eravamo a giugno 2013. A ottobre 2013 mi hanno chiamato e mi hanno detto che, con quel concept, avevamo vinto il finanziamento europeo (con il quale sono stata pagata anche io). Dal concept, arricchito e modificato, ho derivato i soggetti di puntata e poi le sceneggiature.
Io stessa, poi, ho suggerito Fish Eye e Arim Video come produttori, perché sapevo che avevano le competenze e l’affidabilità per affrontare il lavoro.
Il tema sociale è sempre un’arma a doppio taglio, le “pubblicità progresso” e alcuni prodotti di fiction spesso non colpiscono nel segno. Come hai affrontato questa sfida dal punto di vista della scrittura?
È vero, il social è complicato, e la sua efficacia dubbia. Nel caso di #cosedauomini, poi, non c’era neanche un servizio da pubblicizzare (come, per esempio, il telefono rosa 1522), si trattava di pura sensibilizzazione culturale. È stato difficile anche ritrovarsi a metà tra due linguaggi, quello della fiction e quello della pubblicità sociale: il primo chiede l’orizzontalità, e lavora sulla narrazione; il secondo chiede la chiusura delle singole storie, col pay off valido per tutte, e deve veicolare informazione. Terzo, dovevo parlare di violenza… senza parlarne: il Dipartimento non voleva mostrare la violenza come atto estremo e straordinario per poi stigmatizzarla; voleva, invece, mostrare gli stereotipi che agiscono quotidianamente nelle dinamiche di genere – perché è lì, che germoglia la violenza – per contraddirli e veicolare modelli alternativi. L’intento era evitare che nel pubblico maschile – target di riferimento della campagna – si innescasse la reazione parlano di casi limite, non mi riguarda. Da qui è nata la scelta del calcetto: un contenitore volutamente tradizionale, che suggerisce la normalità e l’ordinarietà delle storie. Quello che, forse, è innovativo, è accostare questo contenitore, il pallone, al tema della violenza (pensa se una campagna con questo tema venisse fatta negli stadi). Ecco, sì, mi sono mossa così, cercando di trasformare i paletti (erano tanti) in soluzioni creative, esattamente come si fa quando si lavora per la tv. Poi, chiaramente, del risultato finale se ne può discutere. Il tono e l’impostazione sono inevitabilmente “educational”, il committente istituzionale e il tema delicatissimo non mi hanno permesso di usare, per esempio, il registro dell’ironia o quello della provocazione, che in rete funzionano molto. …scusa il papiello, ma la tua domanda batteva sul tasto più complesso e delicato della faccenda.
È la prima volta che ti misuri con il web? Qual è la differenza sostanziale con la scrittura per la televisione o per il grande schermo?
È la prima volta che quello che scrivo per il web viene prodotto. La differenza principale con la tv, dico un’ovvietà, è la durata delle puntate: sul web hai meno tempo per raccontare una storia, e devi regolarti di conseguenza. Per il resto, come ti dicevo, anche qui avevo committente e paletti, come in tv.
Il tuo ruolo si è esaurito con la consegna delle sceneggiature o hai seguito il progetto anche sul set?
Per motivi personali non ho potuto seguire il progetto nella sua realizzazione (è nato mio figlio, quando cominciava la preparazione!) ma sono sempre stata tenuta al corrente di tutto dalla produzione e dallo stesso Dipartimento, che ha continuato a considerarmi uno dei referenti principali per qualsiasi esigenza. Mauro (Uzzeo), il regista, è stato molto rispettoso del mio lavoro e ci siamo sentiti telefonicamente. Certo, leggere le sceneggiature insieme, per condividerle al meglio, e partecipare al casting avrebbe reso il mio lavoro più completo.
Hai seguito qualche webserie? Ce n’è una che hai apprezzato per la scrittura?
House of cards vale, come webserie? (sorride) Se restiamo in Italia, Gli effetti di Gomorra sulla gente dei The Jackal, ma non credo si possa considerare una serie. O sì? Qualcosa di The Pills. Stuck la trovai una bella idea (quella del blocco esistenziale), ma alla fine ne ho visto solo due puntate, forse era troppo sopra le righe, lui troppo antipatico… o forse è proprio che le webserie le spizzico e basta, non sono diventata addicted di nessuna. Mi è piaciuta moltissimo la campagna #coglioneno ma, appunto, è una campagna.
Secondo te quale sarà il futuro prossimo degli audiovisivi sul web, nascerà un modello produttivo e di distribuzione sostenibile per prodotti a metà strada fra The Jackal e Netflix?
Onestamente non ne ho idea. Sono troppo poco competente, in materia, per immaginare, con senso, uno scenario. Però sono curiosa, di vedere lo sviluppo di questi nuovi modelli, spero che aprano nuove possibilità al nostro lavoro.
Writers Guild Italia vuole creare una carta d’identità per gli audiovisivi del “selvaggio” web al fine di tutelare i diritti degli autori. Tu cosa ne pensi?
Non conosco nel dettaglio la proposta, non so come funzionerebbe concretamente, ma il principio mi sembra giustissimo, e penso che WGI faccia bene a occuparsi della faccenda. Penso anche che una grande sfida del presente sia smontare, agli occhi del pubblico, il dualismo diritto d’autore vs. interesse del consumatore. Bisogna che autori e consumatori stiano dalla stessa parte, i cattivi sono quelli che guadagnano sulle spalle di entrambi.
Grazie, Fabrizia.
Grazie della vostra attenzione!