Biennale College riflette sul futuro del Cinema
Contenuti sociali e micro budget
Il primo panel di Biennale College Cinema, svolto il 5 settembre 2021 in collaborazione con la Summer School of Cinema, Human Rights and Advocacy del Globas Campus of Human Rights, ha visto registi e produttori provenienti da Stati Uniti, Argentina, Ecuador, Italia, incontrare studenti di tutto il mondo e discutere insieme dei loro progetti audiovisivi.
Il Global Campus è un network di 100 università internazionali che coinvolge studenti specializzandi in materie legate ai diritti umani e alla democrazia e che, ormai da 16 anni, organizza una Summer School per coloro che considerano il linguaggio audiovisivo un mezzo per veicolare contenuti e influenzare la società e le sue dinamiche.
I partecipanti hanno progetti che spaziano dal cortometraggio di finzione da proiettare – in stile guerrilla – durante le cerimonie funebri in Libano fino alla docu-serie multistrand per il grande pubblico. Il tema è sempre sociale, anche se tutte le storie si concentrano su questioni diverse e hanno diversi target di pubblico.
Ciò che appare straordinario è l’entusiasmo di questi ragazzi. Che siano già filmmakers o che si stiano affacciando ora al mondo dell’audiovisivo, sono davvero convinti che lo storytelling, e in particolare quello per immagini che fa il cinema, sia il medium più potente per comunicare contenuti universali, aprire nuovi mondi, modificare la mentalità e l’immaginario di un popolo, intervenire profondamente nel tessuto sociale.
In un contesto come quello della Mostra di Venezia, dove tra fashion e competizione ciò che emerge di più non è certo l’importanza di ciò che facciamo, vedere i loro occhi brillare sposta il punto di vista e ricorda quanto il cinema sia non soltanto un’industria remunerativa, spesso intrisa di politica (almeno nel nostro Paese) o di finanza, ma anche la più potente forma d’arte, la più popolare, quella in grado di intercettare una enorme varietà di persone, influenzarne lo sguardo e il pensiero. Una forza trasformativa, in grado di cambiare il mondo.
Il secondo panel, coordinato da Peter Cowie, storico del cinema che scrive per testate come The New York Times, Variety e Le Monde, ha visto i vincitori di Biennale College Cinema confrontarsi con critici cinematografici internazionali a proposito della produzione di film a micro-budget durante una pandemia globale.
Una sorta di doppio miracolo, se si considera che il grant che il College assicura ai vincitori è di 150.000 euro e già realizzare un lungometraggio con questo budget sembra incredibile.
Ciò che più interessa ai critici presenti è la qualità dei 6 film in anteprima alla Mostra quest’anno, in termini di eventuale innovazione e sperimentazione del linguaggio (sia per ciò che riguarda la scrittura che la regia).
Nonostante la pandemia, che tra i vari effetti sulla produzione ha anche quello di causare un considerevole extra costo per la gestione dei protocolli covid (tamponi rapidi e molecolari, mascherine, gel igienizzante ecc), e nonostante il micro budget, i 6 film, tutti profondamente diversi tra loro, mantengono come comune denominatore la qualità delle storie raccontate. D’altra parte il programma di Biennale College Cinema permette ormai da quasi dieci anni ai team selezionati di confrontarsi costantemente con tutor – autori, script doctor, editor, registi – di livello altissimo, e il processo di sviluppo è particolarmente intenso.
Proprio l’importanza data allo sviluppo ha fatto sì che circa la metà dei progetti che non hanno vinto, nel corso degli anni siano comunque stati realizzati (spesso con budget maggiori) e abbiano avuto fortuna distributiva e di festival.
A dimostrazione che anche, e forse soprattutto, quando un film è piccolo in termini economici, le fondamenta date dalla scrittura sono la cosa più importante.
E che anche per i progetti a micro-budget vale la solita regola su cui lottiamo da tempo: #NoScriptNoFilm.