Dalla Sicilia a Sauris
Dal sole del Mediterraneo alle fredde montagne del Friuli, il cambiamento di un uomo ordinario che compie una scelta straordinaria. Dopo la regia di “Easy – un viaggio facile facile”, il nostro socio Andrea Magnani racconta a Writers Guild Italia il film da lui sceneggiato, “Paradise – Una nuova vita”, diretto da Davide Del Degan e vincitore del Globo d’Oro come migliore opera prima.
“Paradise – Una nuova vita” è uscito nelle sale un anno fa ed è disponibile in streaming su diverse piattaforme.
Carissimo Andrea, “Paradise”, il film di cui ti sei occupato della sceneggiatura, ha vinto il Globo d’Oro come migliore opera prima. Da dov’è nata l’idea?
L’idea è nata tanti anni fa, insieme anche a Davide Del Degan – il regista del film. La voglia era quella di raccontare una storia che avesse per protagonisti chi, per ragioni opposte, si trovasse di colpo costretto a cambiare la propria vita pur senza volerlo. Ci piaceva l’idea di raccontare dei personaggi che guardando in faccia questa seconda opportunità, riuscivano ad affrontarla in modo completamente opposto: uno che si ritrova tra le mani una seconda vita non voluta e di cui non sa che farsene; l’altro invece, il killer, affrancato proprio da quel passato così pesante che cerca nel futuro la seconda vita che aveva sempre sognato. Ecco, credo ci sia stata in fondo la volontà di regalare ai nostri protagonisti una possibilità di rinascita per capire come avrebbero gestito questa opportunità.
Dopo “Easy un viaggio facile facile”, anche questo lungometraggio racconta di un percorso che a seconda dei punti di vista, è un viaggio con molte incognite. Ci sono delle similitudini fra le due pellicole?
Se c’è una similitudine con “Easy un viaggio facile facile” credo sia proprio nel concetto di rinascita, di seconda possibilità che la vita ti può dare. Anche in Paradise volevo raccontare una voglia di riscatto, questa volta raccontandola con due personaggi che partono da ambizioni e passati completamente diversi. Ma senza cercare di cambiare i protagonisti, credo infatti che i personaggi non cambino mai, semmai non sanno di avere aspetti e forze dentro di sé. Questi aspetti si palesano a volte, e succede anche per noi, nelle esperienze di vita che fanno. Come appunto questa: entrare di colpo nel programma protezione testimoni e cambiare la propria vita. Sono esperienze, credo, che possono far affiorare parti nascoste della personalità di un protagonista.
Lo stile tragicomico fa emergere i contrasti tra i due protagonisti, Calogero e il suo “killer” (Vincenzo Nemolato e Giovanni Calcagno). Ti è piaciuto accentuare quest’aspetto grottesco?
Non so se definirlo grottesco però sicuramente è un linguaggio un po’ surreale, un po’ più sopra le righe, non proprio lineare ed è quello che in qualche modo mi piace raccontare. Ed è un linguaggio che piace molto anche a Davide. E’ certo una commedia ma che ha dei momenti anche più riflessivi, se vogliamo anche poetici. Una storia con eventi drammatici e tragici che volevamo raccontare con un po’ più di leggerezza se possibile. Questa era anche un po’ la scommessa su cui abbiamo azzardato io e Davide.
La regia è di Davide Del Degan, quanto è stata importante la collaborazione con lui nei diversi passaggi della scrittura?
La collaborazione con Davide è stata molto importante sin dall’inizio, infatti firmiamo insieme il soggetto. Dopo lui si è occupato della regia e io della sceneggiatura ma è stato un rapporto abbastanza in simbiosi sin dalla genesi della storia. Anche perché è nata proprio tra qualche chiacchiera e qualche spritz al bar, quasi fosse un gioco. Poi, quando ha preso forma e corpo l’idea, è venuto naturale ripartire il lavoro di regia e scrittura. Anche un po’ rispettando la natura di entrambi: io nasco dalla sceneggiatura e solo successivamente sono approdato alla regia mentre Davide si è formato come regista sin dall’inizio del suo percorso.
Dal sole della Sicilia al freddo nevoso di Sauris in Friuli, il cambiamento di scenario (e di vita) ha avuto la sua centralità nell’evoluzione dei due caratteri principali?
Il passaggio dalla Sicilia alle fredde valli delle Alpi del Friuli è necessario per il protagonista proprio per creare quello spaesamento a cui non riesce a reagire. Uno spaesamento dettato da una realtà lontana da quella che era stata la sua in Sicilia, lontana dalla sua famiglia, da quelle che sono le sue radici. Questo era necessario per dare al protagonista la possibilità di reinventarsi. Un aspetto evidente di questa dicotomia che vive il protagonista è il carretto di granite che si ostina a vendere seppur in cima ad un impianto di risalita sciistico, in mezzo alla neve.
Writers Guild Italia è in prima linea nella difesa del ruolo dello sceneggiatore con la campagna “No Script, No Film”. Per te che sei stato l’unico autore del copione di “Paradise”, il prodotto filmico non potrebbe avere alcun futuro senza quel primissimo ma fondamentale grado, rappresentato nell’ordine dal soggetto e poi dalla sceneggiatura?
Sono sicuramente d’accordo e sposo appieno il concetto. Anche se sono un autore un po’ anomalo perché sono anche produttore delle cose che scrivo e quindi vivo questa schizofrenia all’interno di me stesso. In alcuni casi poi faccio anche il regista e quindi questa schizofrenia risulta ancora più evidente. Ma cerco di conviverci partendo dall’assunto che non c’è cosa più importante all’interno di tutto il processo produttivo della storia che si va a raccontare. Al primo posto metto sempre il rispetto per la storia, per i personaggi che la vivono. Sembra una cosa banale da dire ma in realtà questa cosa è poco rispettata al giorno d’oggi. Penso che ogni film debba rispettare prima di tutto la storia e prima di tutto la deve rispettare lo sceneggiatore, la deve mettere davanti alle proprie ambizioni o al proprio ego. Che è forse la cosa più difficile, anche per me. Però se vogliamo davvero mettere lo script davanti a tutto, anche io come sceneggiatore devo mettermi in gioco. Credo sia l’unica strada per poter raccontare delle storie degne di questo nome e poter far sì che queste storie su carta diventino poi dei grandi film attraverso una regia consapevole e soprattutto un produttore altrettanto consapevole.