I migliori giorni
Le festività italiane in due film ad episodi secondo la migliore tradizione della commedia all’italiana.
Andrea Bassi e Gianni Corsi, autori del quarto episodio del primo film, ci raccontano la struttura creativa di tutta l’operazione.
Il film italiano ad episodi “I migliori giorni”, diretto da Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, esce nelle sale a Capodanno. È un film ad episodi con registi e sceneggiatori diversi. Ce ne raccontano l’esperienza di scrittura collettiva i nostri soci, Andrea Bassi e Gianni Corsi, che hanno sceneggiato il quarto episodio, diretto da Massimiliano Bruno.
Carissimi Andrea e Gianni, “I migliori giorni” arriverà nelle sale il 01 gennaio 2023 con Vision Distribution. Come vi siete trovati a sceneggiare una commedia corale con un cast così grande?
Ci siamo dovuti organizzare bene. L’idea che ci hanno proposto i registi, Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, è stata quella di lavorare a due film contemporaneamente, composti ognuno da quattro episodi da mezz’ora. Ogni regista avrebbe scritto e girato quattro episodi ciascuno, per distribuirli poi su due film che sarebbero usciti a sei mesi l’uno dall’altro. Abbiamo quindi formato tre gruppi di sceneggiatura diversi: Edoardo Leo ha scritto tutto insieme a Marco Bonini, mentre Massimiliano Bruno ha scritto due episodi con noi e due con Beatrice Campagna, Salvatore Fazio e Herbert Simone Paragnani. Ovviamente, prima di separarci abbiamo fatto diverse riunioni tutti insieme, in cui abbiamo messo a fuoco bene il progetto: raccontare l’Italia di oggi attraverso le festività e le ipocrisie, le forzature, i vuoti rituali cui sono costrette le persone, le famiglie, quando vengono obbligate a ritrovarsi per le cosiddette “feste comandate”. Poi ci siamo dati delle regole, come ad esempio quella di intitolare ogni episodio semplicemente con la data della festività, o quella di ambientare le storie al massimo nelle 24 ore della festività stessa, senza mai usare flashback. Le prime riunioni le abbiamo fatte su Skype, durante il Covid, e le prime proposte uscite dai vari brainstorming si sono rivelate molto diverse da quelle che poi abbiamo finito per sviluppare. Il desiderio comune era quello di provare a riportare la commedia italiana alla funzione che aveva negli anni ’50 e ’60, di vera satira sociale, provando a individuare per i nostri personaggi certe caratteristiche da “italiano medio” che i grandi maestri hanno saputo stigmatizzare con tanta irridente ferocia. Ovviamente, ci siamo interrogati molto su come trasporre quel tipo di commedia al giorno d’oggi, su quali siano i punti fragili della nostra società e come regolano le nostre relazioni. Abbiamo avuto anche momenti di intenso dibattito tra di noi, quando necessariamente emergevano letture diverse della realtà, cui seguivano furiosi scambi di messaggi e articoli di giornale su WhatsApp. Cosa che alla fine è stata estremamente divertente ed arricchente per tutti. In ogni caso, il fatto di poter pensare a un parco di interpreti così vasto e così amato dal pubblico ci ha sicuramente facilitato nell’immaginare storie che riguardassero tutti e in cui tutti si potessero identificare.
L’animo umano è al centro di queste quattro assurde disavventure. Perché avete scelto queste festività come periodo di ambientazione?
Perché ci sono sembrate terreno fertile per smascherare tutte le ipocrisie e le contraddizioni di questa modernità, a partire da una istituzione particolarmente venerata in Italia: la famiglia. Certamente le festività sono dei momenti dove si ha l’occasione di condividere felicità e amore. Allo stesso tempo, però, obbligando tra le stesse mura quel groviglio di ansie e di nevrosi che è il nucleo familiare, la coppia, le famiglie allargate, spesso le feste diventano occasione di una feroce resa dei conti delle proprie relazioni. I valori stessi al centro della festività creano un paradosso: in nome dei buoni valori si diventa intolleranti, giudicanti e ipocriti, e per difendere le proprie scelte e i propri comportamenti – spesso in conflitto proprio coi valori espressi dalle festività – si finisce per mostrare il peggio di sé.
Come è stata gestita la fase produttiva con IIF Lucisano Media Group?
I registi hanno gestito i contatti con la produzione, da cui per altro hanno ricevuto piena fiducia, per cui la scrittura è stato un processo che abbiamo sostanzialmente autogestito. Ogni gruppo ha letto quello che gli altri stavano scrivendo e ci siamo scambiati impressioni e suggerimenti per migliorare il nostro lavoro.
Avete lavorato in stretta sinergia con Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo, entrambi impegnati alla regia?
Sì, inizialmente con tutti e due, nella fase di proposta e disamina delle diverse idee, che per un po’ hanno girato sul tavolo come tessere di un Domino. Poi, una volta deciso chi scriveva cosa, abbiamo sviluppato le singole idee insieme a Massimiliano Bruno, che ha gestito i due gruppi di scrittura. Con lui, per questo film abbiamo sviscerato il tema legato alla festività dell’8 marzo, quello dei diritti delle donne e della parità di genere, scegliendo l’ipocrisia dell’ambiente e del linguaggio televisivo come campo di battaglia, in modo da porre l’attenzione sull’ambiguità e il modo manipolatorio con cui i media trattano questi temi così sensibili per il nostro Paese.
La scrittura è fondamentale, soprattutto in film come questo che raccontano più episodi contemporaneamente. WGI ha promosso da tempo una campagna “No Script No Film”. Nel cinema, soprattutto quello italiano di oggi, quanto può essere centrale la sceneggiatura?
La sceneggiatura è assolutamente centrale. La campagna “No script No film” è tanto più necessaria in questo momento, dove invece vale spesso il contrario: la fase di sviluppo viene considerata quasi superflua, una pratica da sbrigare presto e alla meglio e non il momento in cui l’universo immaginario a cui si sta per dare vita viene creato per la prima volta. Purtroppo, spesso non è la qualità della sceneggiatura a determinare se un film si fa o no. Bisogna assolutamente tornare a considerare la sceneggiatura come la pietra angolare del progetto e partire da quella per poi sviluppare un’industria capace di lanciare nuovi talenti. L’attore, ad esempio, diventa famoso se interpreta un personaggio indimenticabile, e il personaggio indimenticabile si genera solo a partire da un grande lavoro di sceneggiatura.