Vincere. E poi?
Vincere il Premio Mattador ha influito sulla tua qualità di scrittura?
Luca Mastrogiovanni – Ha reso la mia scrittura più consapevole. Il concorso, specialmente per la sezione dedicata ai soggetti, non si limita a premiare il talento bensì mira a coltivarlo. Sono stato ospite dell’Associazione Mattador per due workshop tenuti da tutor altamente qualificati: ho visto la mia storia prendere forma, mutare, migliorare. In particolare il progetto Eastweek del Trieste Film Festival è stata un’importante occasione di confronto con i migliori allievi delle accademie di cinema del panorama est europeo. Il Premio concilia l’entusiasmo e la freschezza tipica del target giovane a cui si rivolge con la competenza e la professionalità di un grande festival cinematografico. L’efficienza della macchina organizzativa del premio, attiva tutto l’anno, è sorprendente. Ringrazio ancora i miei tutor, Andrea Magnani e Nicos Panayotopoulos, che hanno dimostrato una disponibilità fuori dal comune. Il Premio Mattador dimostra che il talento non manca; è l’industria cinematografica, piuttosto, a dimostrarsi restia nell’andare alla ricerca di nuove leve preferendo rifugiarsi in scelte conservative e obsolete.
Marcello Pedretti – Enormemente. Ho avuto la possibilità di seguire tutto il percorso di trasformazione della mia sceneggiatura in cortometraggio: ho riscritto la sceneggiatura, partecipato alla scelta degli attori, dei costumi, della scenografia, delle musiche, del trucco, ho diretto il corto e ho seguito montaggio e post-produzione. Occuparsi di ciò che non è scrittura ha fatto bene soprattutto alla mia scrittura, che adesso è influenzata dalla conoscenza di ciò che inizia quando lei finisce. O sembra finire. L’esperienza professionale che regala il Premio Mattador non la fornisce nessuno in Italia. Ho lavorato con professionisti straordinari completamente a mia disposizione e ho avuto la fortuna che fossero anche esseri umani davvero piacevoli.
Giulio Rizzo – I laboratori del premio Mattador mi hanno aperto un mondo sul cinema esteuropeo e balcanico: ho conosciuto altri esordienti da tutta Europa e gli editor con cui io e la mia collega Serena Perla abbiamo lavorato, Andrea Magnani e Giovanni Robbiano, ci hanno aiutati a staccarci dalla nostra visione originale del soggetto. Eravamo concentrati più su un contesto che su un personaggio principale o un tema forte, e loro ci hanno portato a focalizzare e trovare un nuovo centro. Un workshop è un periodo di lavoro e riflessione continua in cui si discute in modo animato, tutti convinti delle proprie posizioni. Credo che l’importante sia mantenere un distacco critico tale da giudicare le proposte in modo lucido, senza pensare a chi le ha fatte o a quanto alterano il progetto originale. Quello che conta è il prodotto finale.
Luca Arseni –. Rappresenta un premio importante nel campo cinematografico, oggi più di prima Ti dà forza e energia per credere in te stesso e nelle tue idee. Oggi si dice spesso che non ci siano storie nuove nel cinema italiano. Dove nuovi talenti non nascono, le idee non fioriscono. Spesso un clima del genere porta a non credere nel proprio mestiere. Vincere il premio internazionale per la sceneggiatura Mattador ti fa credere che ancora qualcosa di buono c’è, che qualcuno ancora in questo ci crede.
Marco Ori – Ricevere la menzione speciale al Mattador ha confermato che la mia disciplina da scrittore sta producendo buoni frutti e che devo continuare su questa strada. Il Premio è un’ottima opportunità per giovani aspiranti scrittori/cineasti in cerca di visibilità. È un concorso professionale, serio e completamente gratuito.
Giuseppe Brigante – Il giorno della premiazione, Ivan Cotroneo, il presidente della giuria, ha augurato a vincitori e finalisti di poter prendere dal premio un po’ di coraggio per proseguire nei primi difficili anni di lavoro. Ha colto nel segno. Il numero di storie che si scrivono, almeno per gli esordienti, è maledettamente superiore al numero di storie che si realizzano, è facile abbattersi e trovare un po’ di coraggio grazie al premio fa più che bene. Il rapporto con la scrittura in sé è sempre faticoso e conflittuale ma non mi spaventa. Fa parte del gioco. I giorni più calorosi sono stati quelli del laboratorio a Trieste. Sarebbe bello ci fosse un laboratorio perenne per poter disporre di un luogo nel quale potersi confrontare con colleghi e amici, senza gelosie e con una grinta eccezionale
Chi consideri i tuoi maestri?
Luca Mastrogiovanni – Martin Scorsese e Stanley Kubrick. Amo la poliedricità di Robert Altman, Paul Thomas Anderson e Paul Haggis, i dialoghi di Quentin Tarantino, dei fratelli Coen e di Wes Anderson. Amo i potenti silenzi di Alejandro Inarritu, Nicolas Refn, David Lynch, l’originalità di David Fincher, Christopher Nolan, Michel Gondry, Charlie Kaufman e le commedie di James L. Brooks e David O. Russel. Steve Knight, Vince Gilligan, David Chase, Alan Ball e Matthew Weiner rappresentano i miei riferimenti di scrittura per la televisione. Ma anche Luigi Pirandello influenza il mio lavoro.
Marcello Pedretti – Devo qualcosa a ogni insegnante di italiano che ho incontrato da quando ero bambino (a partire da mia mamma) ma la scrittura per me è soprattutto ciò che ho imparato nella scuola di “Bottega Finzioni”, una realtà fondata a Bologna da Carlo Lucarelli. Amo Stephen King, Gianluca Morozzi, Mark Millar, Quentin Tarantino.
Giulio Rizzo – Quentin Tarantino, Oliver Stone, i fratelli Coen, Richard Linklater, Todd Solondz. Fra gli italiani Ugo Pirro, Elio Petri, Marco Ferreri, Lina Wertmuller. Per la serialità, i miei campioni sono David Chase e Vince Gilligan e Peter Gould .
Luca Arseni – Cinema francese. Le loro commedie. E poi i fratelli Coen. Poi Paolo Sorrentino che per me rimane prima di tutto un grandissimo sceneggiatore.
Marco Ori – John Fante, Elmore Leonard, Joe Lansdale, Charles Bukowski e Hunter Thompson. John Carpenter, Quentin Tarantino e Alfred Hitchcock.
Giuseppe Brigante – I fratelli Coen. Se mi chiedi dei maestri, dovrei citare i miei docenti sia durante il corso al Centro Sperimentale sia in occasioni non istituzionali ma l’idea di poter passare per un leccaculo mi toglierebbe il sonno e poi dovrei angustiarmi a pensare a che tipo di allievo sono stato. Cercando uno slancio che non mi appartiene verso la saggezza, credo che, facendo il mestiere dello sceneggiatore, bisogna avere un po‘ la predisposizione d’animo per ergere a “maestro” chiunque. Ognuno, dai detestabili vicini di casa ai compagni di scrittura, ha qualcosa da insegnarti.