Scrittori a festivalWriters

Animeland

La WGI è nata con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione SCRITTO DA, sotto l’egida di WRITTEN BY, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati  dagli organi di informazione.
Francesco Chiatante ha scritto e diretto Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay. Il documentario è stato presentato un anno fa al Roma Fiction Fest e di recente riproposto al LCG2016.
La nostra socia Laura Nuti, era presente a Lucca, su questo non parliamo abbastanza di animazione e dunque ci fa molto piacere presentare questa sua chiacchierata con l’autore.

Francesco,  che cos’è Animeland?

Più che un film è una grande follia. È un documentario low budget su manga, anime e cosplay e la ricezione che hanno avuto nel nostro Paese dagli anni Settanta a oggi.

Attraverso le testimonianze di attori, registi, cantanti, artisti e critici, Animeland racconta l’impatto che questi prodotti culturali giapponesi hanno avuto su diverse generazioni di italiani.

Mi piace pensare anche che Animeland sia la prima opera audiovisiva dalla parte di questo tipo di immaginario. Sono stati scritti alcuni saggi sull’argomento ma nessuno ha analizzato questo fenomeno al cinema.

Eppure, manga e anime hanno lasciato segni profondi soprattutto su chi oggi ha tra i 30 e i 50 anni. Un esempio che faccio sempre è quello della musica di Caparezza: è talmente piena di rimandi ai cartoni animati giapponesi e alle loro sigle che questa caratteristica ha finito per diventare una cifra stilistica dell’artista.

Quali sono state le principali difficoltà nella realizzazione di questo progetto?

Nella realizzazione di Animeland ho avuto due principali difficoltà: l’individuazione dei personaggi da intervistare e il montaggio.

Capire chi intervistare e come rintracciarlo non è stata un’impresa semplice. I problemi spuntavano fuori soprattutto quando c’erano di mezzo degli intermediari che non prendevano troppo seriamente un progetto su fumetti e cartoni animati. Queste due, oggi, forme d’arte hanno sempre avuto forti pregiudizi da parte della cultura classica. Per fortuna, una volta che avevo la persona da intervistare davanti tutto diventava più facile perché sono argomenti che generano curiosità e interesse. Tutti sono stati bambini.

La seconda difficoltà riguarda la fase di montaggio. Avevo così tanto girato che ci sarebbe stato materiale per un altro film. Del resto, anche se avevo creato una griglia di domande, non potevo prevedere le risposte degli intervistati. Non è come scrivere un libro, dove c’è più controllo. Molti degli intervistati spaziavano molto nelle loro risposte o parlavano a braccio e raccordare il tutto non è stato affatto semplice.

Ho montato da solo Animeland e quando ho sentito il bisogno di un esperto che controllasse quanto era stato detto ho potuto contare su Luca Raffaelli, un giornalista di Repubblica, esperto e critico di fumetti che compare anche nel mio documentario.

Il primo premontato durava circa tre ore ma alla fine ho ridotto il documentario a circa 90 minuti.

Com’è il tuo rapporto con i produttori?

Tra creativi ci si capisce sempre, anche quando non ci si trova. Parliamo la stessa lingua. A volte, invece, con certi produttori ho la sensazione di parlare una lingua diversa. Qualche casa di produzione aveva espresso interesse per Animeland ma sebbene il progetto suscitasse curiosità non si finì mai per concretizzarlo. La scelta di un tema così “pop” e il fatto che fosse un “documentario positivo” dove non si parla di inchieste, tragedie e soprusi generava sospetto. I produttori non sono abituati a questo tipo di documentari. Alla fine, abbiamo deciso di produrre Animeland da soli.

Secondo me, chi si occupa di comunicazione dovrebbe avere le antenne dritte ed essere aperto alle novità. Invece, molto spesso ci si scontra con la paura di percorrere strade poco battute. Per questo sono davvero molto felice per il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Il progetto girava da un po’, nessuno sembrava puntarci troppo e poi è diventato il caso dell’anno. I suoi autori hanno avuto il coraggio di raccontare una storia diversa e sono stati ripagati.

C’è un manga che hai amato in modo particolare?

Death note di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata. Ho visto anche gli adattamenti live-action e i primi due – quelli di Shusuke Kaneko – mi sono piaciuti molto.

Mi sembra che sia in produzione anche una versione americana. Devo dire, però, che a parte The ring che è un bel lavoro, gli adattamenti cinematografici occidentali di opere giapponesi non sono quasi mai all’altezza delle mie aspettative.

Nel panorama del fumetto italiano, c’è un eroe che ti piacerebbe vedere al cinema?

Ce ne sono diversi. Il primo che mi viene in mente è Diabolik. Anche se c’è un film di Mario Bava del 1968, credo che sia un eroe che si presti al grande schermo. Poi c’è Dylan Dog. Il film americano del 2010 era più vicino alle atmosfere della serie Buffy l’ammazzavampiri che non al personaggio di Sclavi. Molto meglio Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, uno dei pochi registi italiani viventi a poter vantare Quentin Tarantino tra i suoi fan ma pressoché sconosciuto al grande pubblico in patria. Non mi dispiacerebbe vedere un altro film su Dylan Dog. Altri eroi che mi piacerebbe vedere al cinema sono Martin Mystére e Alan Ford.

Hai mai pensato di scrivere la sceneggiatura di un anime?

Io ho una teoria. A meno che non si faccia una co-produzione con il Giappone, non ha senso fare manga o anime in Italia perché sono espressioni di una cultura diversa. A Lucca Comics (come alla Festa del Cinema di Roma n.d.r.) quest’anno hanno presentato La tartaruga rossa, che è una coproduzione nippo-francese e può essere interessante perché, quando ognuno si porta dietro la propria cultura, si forma qualcosa di nuovo e di diverso. Altrimenti puoi prendere spunto dai manga o dagli anime ma poi devi raccontare la tua storia con il tuo stile, come ha fatto Mainetti con Jeeg Robot.

L’intervista è a cura di Laura Nuti

Scrittori a Lucca – Writers Guild Italia (WGI) incontra gli sceneggiatori presenti con le loro opere al Lucca comics & games 2016 (28 ottobre -1 novembre 2016).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post