In tv comanda lo sceneggiatore
Da Steve Van Zandt bisogna aspettarsi tutto e il contrario di tutto. Ogni volta è, sorprendentemente, qualcos’altro: da sempre è “Leattle Steven”, il famoso chitarrista della E-Street Band, travolgente al fianco del Boss, Bruce Springsteen; poi, a sorpresa, diventa anche attore, impersonando per anni “Silvio”, il consigliere braccio destro di Tony Soprano nell’indimenticabile serie di David Chase; subito dopo si conferma attore più che mai, anzi protagonista assoluto, in Lilyhammer, di cui è anche ideatore, produttore, a tratti sceneggiatore, nonché regista dell’ultimo episodio della terza stagione; e per finire, eccolo al RFF, presidente (in bandana) della giuria! Il risultato di una personalità così eclettica è una masterclass inconsueta, poco accademica e molto accattivante. Steve si racconta con un sorrisetto divertito e sornione sulle labbra, come fosse al tavolo di un pub, circondato da amici. O da complici.
Ero in Norvegia per produrre il cd di una band locale, e conosco una coppia di sceneggiatori (Anne Bjørnstad e Eilif Skodvin). Scherzo con loro sulla mia interpretazione di Silvio ne “I Soprano”, commentando che in Norvegia, paese che ha uno dei più bassi tassi di criminalità e povertà al mondo, un gangster sarebbe stato proprio un pesce fuor d’acqua!
Pochi mesi dopo ci ritroviamo a lavorare sul personaggio di Frank Tagliano, un boss italo-americano che ha deciso di pentirsi ed entrare nel programma “protezione testimoni”, trasferendosi dagli USA con una nuova identità, ma senza perdere le vecchie e losche abitudini, nella Norvegia Centrale, a Lilyhammer.
Il progetto era inizialmente impostato come una farsa, poi abbiamo deciso di avere momenti drammatici e momenti più leggeri e ironici. Il mio personaggio è diventato uno che capiva il norvegese, ma non lo parlava.
Lavorare in Norvegia è stato bello, ma non sempre facile. In America lo sanno tutti: nel cinema è il regista che guida la baracca, ma nelle serie tv è lo sceneggiatore che comanda. Lì invece non conoscevano lo show-runner, non sapevano come funziona in tv. La cultura di come si fa la tv era molto diversa. Una volta avevamo una scena in cui dovevamo far precipitare uno giù dal salto olimpico, e sotto non c’era nessuno, nemmeno un’ambulanza! Io ovviamente non volevo girare, ma loro mi dicevano “non ti preoccupare, se succede qualcosa allo stuntman, l’ambulanza la chiamiamo e arriva in dieci minuti”!!
Il moderatore Marco Spagnoli ride, come il pubblico in sala, e lascia continuare Steve a ruota libera.
Abbiamo girato con tanta neve, d’inverno. Lì la neve non la spalano, tanto non saprebbero dove metterla. Per cui ogni giorno che passa il terreno si alza, sempre di più. In Lilyhammer siamo stati dei pionieri. Prima della nostra, la Norvegia non aveva mai venduto all’estero una serie fuori dalla Scandinavia, voglio dire una serie di contenuto internazionale, vista così com’è, in America, senza farci prima un remake. Non era mai capitato.
In Norvegia è venuta con me anche la mia ex moglie, Maureen Van Zandt, mia moglie anche ne “ I Soprano”. È lei la vera attrice della famiglia, io sono solo un cialtrone!
A proposito de “I Soprano… che cosa hanno rappresentato per te?
“I Soprano”non è solo uno show televisivo, ma uno di quelli che hanno cambiato la tv. E’ stata la più grande esperienza che potesse capitarmi. All’inizio non lo sai, ma col tempo capisci che stai facendo davvero qualcosa di nuovo. Merito di HBO, che con quella serie, all’improvviso, ha dato un senso diverso alla sua programmazione per un pubblico adulto.
Ormai il 75-85 % della produzione normale è rivolto ai giovani, di solito si fa qualcosa per un pubblico più adulto solo per puntare all’oscar! Altro grandissimo merito è di David Chase, creatore de “i Soprano, che è arrivato e ha infranto le regole, inventandosi finalmente un protagonista diverso dall’eroe a cui siamo abituati. Un protagonista che non è né totalmente buono, né totalmente cattivo, ma, piuttosto, grigio. Altro merito del successo dei I Soprano va ovviamente a James Gandolfini. Un bravissimo attore, un personaggio avvincente ed emblematico. Sono stati questi tre fattori giusti al momento giusto che hanno trasformato la televisione. Per quanto riguarda me invece è stata solo una coincidenza. Stavo alla Netflix in quel momento e così ho potuto partecipare come attore.
È lì che hai intuito che le cose stavano cambiando, che il pubblico poteva essere “globale”?
Diciamo che ho capito che bisognava ragionarci sopra per far funzionare le cose in maniera globale. Per esempio, tornando a Lilyhammer, il fatto di avere il protagonista, Frank, che parla americano ha aperto il mercato in America. Lì siamo pigri, stupidi, non amiamo per niente i sottotitoli. Un’espediente di questo tipo si potrebbe immaginare anche per una serie italiana. A volte bisogna correggere il tiro. Per esempio, quando abbiamo iniziato, in Norvegia, abbiamo girato poco ed erano passate già diverse settimane! Allora ho fermato tutto, ho fatto venire qualcuno da Los Angeles, e ci siamo messi a girare un trailer della serie. Poi con quel trailer sono andato da Netflix e in una riunione di un’ora abbiamo venduto la serie per due stagioni! La riunione più importante della mia vita!
Un’altra cosa importante è imparare a fare le cose a un prezzo più basso. Il nostro show ora costa la metà di quando abbiamo iniziato, ma la qualità è la stessa.
Ma quand’è che ti sei scoperto bravo a fare tutte queste cose così diverse tra loro?
Non so… io sono stato prima arrangiatore, musicista, produttore… La verità è che io lavoro con gli altri… non, per gli altri. Non sono mai stato bravo a farlo. Alla fine sceneggiatori, registi, etc… si diventa: è un modo per proteggere il proprio lavoro.
Mi piace il termine “proteggere”… ma tu che spettatore sei, cosa ti piace vedere?
Cinema, serie tv… ormai non c’è più tanta differenza. In tv ci sono più primi piani, mentre ne “Il Padrino”ce ne sono 3- 4. Certo, non avrei mai pensato di abituarmi al digitale. La chiarezza dell’immagine non è una cosa che mi fa impazzire, però alla fine si realizzano cose molto belle. Diciamo che in ciò che vedi deve esserci qualcosa che ti cattura, che ti affascina, per desiderare di rivederlo ancora.
Ma tu cosa ne pensi del “binge watching”?
Guarda… nel momento in cui è nata questa rivoluzione posso solo dire che io c’ero. Le nostre serie sono state le prime ad avere gli episodi visti così, tutte d’un fiato. E pensare che avevo detto a Ted Sarandos (CEO di Netflix) che secondo me non era una buona idea! Lui mi ha risposto che in fondo era come ascoltare un album…Maledetto figlio di puttana, aveva ragione! Nel mio ufficio, comunque, tutti fanno binge watching.
Tu hai composto anche molte colonne sonore. Quanto sono importanti per il mondo della tv?
Molto importanti. La musica può cambiare totalmente la scena. I brani vanno a completare la sceneggiatura. Integrano, aggiungono emozioni che non si riescono a scrivere. Ora che l’industria discografica è crollata, i prezzi per avere un brano in una serie sono saliti molto. Per fortuna, io ho molti amici che compongono. A me i brani li danno a poco, per amicizia. Bruce (Springsteen), Tom Petty… mi hanno dato brani che costavano 140.000 dollari per 10.000 dollari. Avevo solo 100.000 dollari di budget per la colonna sonora, senza gli amici non me la sarei cavata!
Quali sono le colonne sonore che ti sono piaciute di più?
Quella del film “IL VENTO E IL LEONE” è una delle cose più belle che ricordi. Poi naturalmente la musica di Ennio Morricone… tutto quello che fa lui è speciale.
Nella colonna sonora di Lilyhammer c’è anche qualcosa di norvegese?
Questo è parte del divertimento del lavorare su una colonna.: trovare la musica locale, sfruttarla per avere questo colore ricco. In Lilyhammer abbiamo anche Otis Redding, gli Stones, etc., ma per questa serie era giusto spaziare. Così abbiamo usato molta musica norvegese. Un 20-25% in ogni episodio, prevalentemente folk-rock. Era giusto farlo: per quanto riguarda le serie tv, stavamo introducendo la Norvegia al mondo. Per qualcuno più confuso la Norvegia poteva anche essere una regione della Svezia! Parliamoci chiaro: quanti sono quelli che conoscono il nome di almeno un personaggio storico della Norvegia?
Tornando a “I Soprano”, cosa rappresentano per la cultura americana?
Beh, hanno cambiato le abitudini del pubblico televisivo! Il mattino dopo, tutti in metropolitana, in ufficio, etc parlavano della puntata. Se non l’avevi vista, eri fottuto, non avevi niente da dire. Quelle storie rispecchiavano la realtà, puntavano sulla verità. Ricordo ancora che alla terza – quarta stagione dei Soprano, quando cambiavi canale, tutti gli altri show ti sembravano cazzate. Merito di David Chase: lui ha infranto ogni regola. Anche quelle che ti sembravano assolute. Io stesso, per esempio, gli ho contestato la figura della madre di Tony Soprano, dicendogli che ero italiano e ne sapevo qualcosa:” nessuno crederà mai che una madre italiana sia fatta così!” David mi rispose semplicemente: “quella è mia madre.”
Mentre io già pensavo “sono fottuto”, lui ha aggiunto che non gliene importava niente: la madre di Tony era quella e basta.
Sì però ora, tu che ci hai lavorato, ci devi spiegare il finale ambiguo della serie: alla fine a Tony gli sparano o no? Muore o no?
Naturalmente Steve si fa più sornione che mai e dosa il tempo della risposta, sapendo di tenere tutti sulla corda: Allora… 5 anni dopo la fine della serie, Vanity Fair riunì gli attori proprio per farsi dare questa risposta. Ho una notizia per voi, io risponderò oggi esattamente quello che ho risposto allora: il finale è quello perché… la giornata di lavoro del regista era finita e doveva tornare a casa!
Come mai Chase non ha più fatto nulla da allora se non un film, Not Fade Away, per altro non molto riuscito?
Con David siamo amici di famiglia, lo vedo sempre, ma non saprei cosa rispondere. Certo,peccato per quel film, che comunque aveva delle cose molto interessanti.
L’ultima mia domanda non può non riguardare la puntata di Lilyhammer che abbiamo appena visto qui, l’ultima della terza stagione, in cui c’è anche un cameo del tuo amico Bruce Springsteen. Come sei riuscito a coinvolgerlo?
Come produttore per me la cosa più importante era proteggere l’artista Bruce. Per questo ho scritto e diretto l’episodio, come sceneggiatore e regista hai un controllo maggiore, montaggio incluso. Sono stato molto attento a non oberare troppo Bruce: lui è presente solo in 3-4 scene, ma la sua entrata in scena è preparata bene da quello che gli altri personaggi dicono di lui. Poi la caratterizzazione fisica ha aiutato molto a costruire il personaggio in modo che possa dire tanto con poco sforzo.
Rimane un po’ di tempo per le domande del pubblico: Ci sarà una quarta stagione di Lilyhammer?
Non credo, anche se, abbiamo ottimi rapporti con i norvegesi. Loro hanno così poca criminalità che ci vuole il microscopio per trovarla. Praticamente sono stato io, con il mio personaggio, a portare un’ondata di aumento della criminalità! Loro rispettano le regole, pensano tutti alla stessa maniera, sono democratici… ma purtroppo non danno incentivi per girare. Ho parlato con il primo ministro per questo, perché tutti vanno a girare in Svezia e Islanda, ed è assurdo. Poi il network norvegese è praticamente a conduzione familiare, mentre per Netflix sesso e violenza non bastano mai!
Ecco perché sono sicuro che non ci sarà una quarta stagione.
C’è qualcosa che hai amato particolarmente interpretare in Lilyhammer?
Non so… devo pensarci. La verità è che avevo poco tempo per soffermarmi su questo pensiero: giravo per un minuto, poi tornavo a fare il produttore, poi a scrivere, etc…
Anche in Italia c’è ancora una certa diffidenza verso l’importanza dello show-runner, oltretutto qualcuno comincia ad affidare questo ruolo più ai registi che agli sceneggiatori. cosa ne pensa Steve, in proposito?
Non conosco la situazione in Italia, so soltanto che la Tv è più basata sulle parole e sulle storie che sulle immagini, per questo è meglio che comandi lo sceneggiatore e non il regista.
David Chase ha introdotto con “I Soprano” la complessità delle storie e dei personaggi. Questa è la differenza. E il pubblico ora non sa più rinunciare a questa verità.
Qualche anticipazione su quello che sta preparando per il futuro?
Steve non si sbilancia troppo: qualcosa che ha a che fare con il mondo ispanico.
Fine delle domande e della masterclass. Antonio Visca, direttore di Sky Atlantic, sale sul palco e premia Steve Van Zandt con il premio Excellence Award.
L’ultima raccomandazione di Steve è per il pubblico in sala e i giornalisti: mi raccomando non raccontate il finale della terza stagione!!!