Progetto Zero
Fosca Gallesio ha seguito l’evento per la WGI.
Nell’ambito del Roma Fiction Fest sono stati proiettati gli undici episodi pilota realizzati con Il Progetto Zero lanciato l’anno scorso dalla Regione Lazio.
Il bando proponeva un sostegno allo sviluppo di prodotti innovativi di giovani under 35, finanziando la realizzazione di un numero zero fino a un massimo di 40mila euro, realizzato da piccole società di produzione.
Il progetto dedicato ai giovani creativi digitali, rappresenta una delle iniziative della Regione per il sostegno dell’industria audiovisiva, realizzato con fondi europei. La formula del concorso è interessante ed efficace perché stabilisce una connessione tra idea creativa e realizzazione produttiva, abbattendo un muro che spesso impedisce a idee buone di trovare uno sbocco.
Ma la formula del pilota è anomala nello scenario mediatico italiano, dove non esiste un mercato competitivo delle idee e non è diffusa la pratica di realizzare piloti come test per piazzare i prodotti sul mercato. Quindi la domanda un po’ retorica è: a chi sono indirizzati questi piloti? Chi sono i potenziali acquirenti di questi prodotti?
E nella mancanza di una risposta precisa, si rivela il buco dell’industria audiovisiva del nostro paese, dove invece che cercare la migliore fra le idee proposte dai creativi, si dice ai creativi (e spesso ai soliti noti) che cosa fare.
Trovo quindi ammirevole che un soggetto istituzionale come la Regione scelga proprio di concentrarsi sulle idee, o se preferite concept, dando ai creativi anche la possibilità di confrontarsi con la realizzazione materiale del loro prodotto. Un progetto questo che, nelle parole del presidente Zingaretti, è volto proprio a valorizzare i criteri di merito nella scelta dei vincitori, criteri che nella pratica dell’industria sono invece spesso lasciati da parte. Purtroppo non si è parlato di una seconda edizione del progetto e l’impressione è che l’esperimento sia stato per il momento arrestato.
Nel concorso potevano partecipare idee di qualsiasi genere e formato, per progetti seriali: dalla fiction al reality show. Ho seguito la presentazione dei 5 piloti di fiction, con una durata tra i 16 e i 21 minuti. Ma per quanto interessante e avanzato si sia dimostrato il progetto regionale, lo stesso non si può dire dei lavori realizzati.
Super Italian Family di Gabriele Galli è una tipica sit-com familiare, che vede protagonista una famiglia della periferia romana e ruota attorno allo smarrimento di un biglietto vincente della lotteria. Un classico ritratto italiano, che vive troppo di luoghi comuni, arenandosi in personaggi scontati e in una narrazione debole e fragile già nel pilota.
L’imprevisto di Beatrice Miano è il racconto tragi-comico di una gravidanza inaspettata per una giovane coppia di trentenni. Questo pilota è ben realizzato, ma più di tutti tradisce la mancanza di un’idea seriale, qui affidata solo alla scansione dell’attesa, ogni puntata dovrebbe coprire un mese di gravidanza, mentre personaggi e situazioni sono quelle tipiche di un cortometraggio o al massimo di un ennesimo film sui trentenni.
Erminio Binto di Silvestro Maccariello è un curioso esperimento, purtroppo non riuscito, di commistione linguistica tra documentario culturale e fiction.
Fuori Servizio di Annalisa Consolo è interamente ambientato nei bagni di un liceo e racconta la quotidianità di ragazzi e insegnanti. È il pilota che più di tutti si definisce per un concept preciso, inserendosi nel format sit-com e cercando un target preciso di giovani spettatori.
Infine Timeline di Cristiano Gneo è un thriller complottistico, che però non riesce ad accattivare a causa di una storia confusa e personaggi artefatti.
Quello che balza all’occhio è soprattutto l’incapacità di definire con chiarezza un concept seriale per quel che riguarda la narrazione e i personaggi. L’impressione è che questi piloti si distanzino di poco dal cortometraggio, non riuscendo a trovare e definire elementi capaci di mantenere la promessa di una lunga narrazione a episodi.
Inoltre è da notare, con rammarico, una tendenza all’appiattimento del linguaggio e dei contenuti sul macro-genere della commedia e la drammatica incapacità di racconto quando ci si trova a confronto con altri generi.
Non so se siano state le scelte della commissione o la mancanza di proposte originali, ma dal punto di vista della creatività giovanile e dell’innovazione, lo spaccato mostrato da questi piloti è scoraggiante. Non c’è voglia di rischiare, né di sperimentare, ma c’è la tendenza ad assestarsi nei territori comodi e già visti del mainstream nazionale. L’originalità è poca, e quando si percorrono strade meno battute lo si fa con un’incertezza e una banalità che non mi fanno ben sperare per il futuro dell’industria.