Tutte lo vogliono
Ragazze, so che con voi posso permettermelo (conosco di persona due su tre) e parto con una provocazione: perché dovremmo andare a vedere l’ennesima commedia italiana che ha la locandina bianca e rossa. Ossia: di cosa parla il film, e qual è il suo tratto distintivo?
La nostra di locandina ha anche il blu: speriamo non porti sfiga! Comunque, parlando di contenuto, in questo film ci siamo prese la libertà di fare commedia su uno degli aspetti più intimi e segreti dell’universo femminile: l’orgasmo. Tutte lo vogliono! Eppure pare che a letto una donna su due lo simuli e il 20% delle donne non l’abbia mai provato. Se ci atteniamo ai numeri dovrebbero esserci un bel po’ di uomini e donne interessati all’argomento…
Leggo nei credits che Federici, il regista, firma anche la sceneggiatura. La storia è nata da una sua idea, e voi siete state chiamate successivamente? Raccontatemi la genesi.
La storia è nostra, la primissima idea è venuta ad Alessandra, che ha coinvolto Maria Teresa e che ha poi chiamato Valentina. Alessio Maria Federici è subentrato nel progetto dopo che Federica Lucisano ci aveva già opzionato la sceneggiatura. Durante il periodo di opzione abbiamo collaborato con il regista scrivendo altre tre stesure.
Valentina mi accennava che l’esperienza di scrittura è stata poi travagliata: perché? Cosa è successo?
Sai quegli ormoni che fanno dimenticare il dolore del parto alle donne, per poterlo ripetere in futuro? Devono esserci degli ormoni simili anche quando si scrive un film perché una volta vista la “creatura” ci si sente subito meglio. La verità è che abbiamo dovuto dimostrare un’estrema elasticità: avevamo scritto la storia dal punto di vista della protagonista donna, poi attraverso varie versioni è stato dato protagonismo anche al personaggio maschile (interpretato da Brignano). Nella fase finale, l’ultima revisione è stata fatta dal regista insieme a un altro sceneggiatore, che ha inevitabilmente impresso un’impronta maschile ad un film che fino a quel momento era molto femminile. Ovviamente è stato difficile accettare dei cambiamenti non sempre condivisi. Ma a parte i rospi ingoiati, ci siamo anche molto divertite. Lavorare insieme, poi, ci piace molto. Insomma, è stato un percorso travagliato, ma il “bambino” è in salute e ancora ci somiglia, quindi ne è valsa la pena.
Un team di sceneggiatura tutto al femminile (il regista fa conto a sé) è una cosa rara nella commedia, almeno in Italia, perché i maschi la fanno e l’hanno sempre fatta da padrona. Le donne innovano il genere con qualcosa di diverso o si tratta di un dato senza importanza?
Gli uomini la fanno da padrone in molti campi. Non solo nelle commedie, ma nel cinema italiano in generale. Le donne sono meno brave a far ridere? Mah, all’estero non la pensano così, si pensi a Nora Ephron, Tina Fey, Lena Dunham, ecc. Dovremmo anche chiederci come mai in Italia è quasi vietato scrivere film per una donna. Pare ci sia una sorta di pregiudizio, ovvero che i film con protagoniste donne non facciano cassetta (a parte rare eccezioni, come la Cortellesi). Oggi film come Io la conoscevo bene o Speriamo che sia femmina forse non troverebbero un produttore…
Passiamo alle fasi post-scrittura. Siete state coinvolte nelle scelte di preparazione, come ad esempio la scelta degli attori? E sul set, eravate presenti?
Non siamo state coinvolte in nessuna scelta di questo tipo. Quanto al set, ci siamo andate solo un paio di volte in visita. È sempre divertente affacciarsi, abbiamo conosciuto gli attori e alcuni membri della troupe.
Voi tre venite tutte dalla soap, un genere/formato verso il quale il “nostro ambiente” (colleghi scrittori, registi, produttori) è abbastanza schifiltoso. Voi eravate quelle che faccio la soap per campare ma in realtà mi fa schifo? Aver scritto Centovetrine vi ha nuociuto o aiutato nel lavorare e nello scrivere per il cinema?
Noi siamo quelle che abbiamo fatto la soap per campare, ma ci è piaciuto farla.
Abbiamo imparato a scrivere a ritmi molto serrati ma mantenendo sempre alta la qualità, a lavorare in gruppo per anni guardardoci le spalle gli uni con gli altri, a fare nostre le richieste della committenza senza perdere completamente l’autorialità, a inventare storie aggirando mille paletti. Quindi sì, ci ha senz’altro aiutato nell’esperienza cinematografica. “Soap pride”!
Maria Teresa e Alessandra, voi avete anche un’esperienza sul web, avete infatti realizzato L’ultimo week-end, un thriller prodotto nel 2013 da Nautilus Film in collaborazione con Rai Cinema: è stata un’esperienza una tantum o ha avuto un seguito?
Il film faceva parte di un progetto di 10 film a basso budget finanziati da Rai Cinema per il web. Stava per essere girato, ma il regista non era convinto della sceneggiatura e ci ha contattate per una robusta revisione in tempi brevissimi. E’ stata un’esperienza che si è conclusa con la messa in rete del film.
Più in generale, che ne pensate delle possibilità aperte dalla rete? Lo sbarco ormai imminente di Netflix in Italia è davvero una nuova chance per noi sceneggiatori?
Per noi sceneggiatrici non cambia molto se ciò che scriviamo andrà sul web o al cinema. Ciò che cambia sono le risorse a disposizione: sapere di non avere risorse condiziona inevitabilmente la scrittura. Il web potrebbe diventare (in parte lo è) un’isola felice in cui sperimentare. Pensiamo e speriamo che Netflix sarà un’opportunità per gli sceneggiatori, con il suo 20% di produzione in loco, ma soprattutto con la promessa di globalizzare il mercato. Ci auguriamo che gli sceneggiatori italiani possano finalmente respirare da quello spiraglio aperto. Anche se chissà quanto tempo ci vorrà perché la Internet Tv si affermi sui network tradizionali.
Tornando al cinema. In Italia alcuni colleghi ritengono che, oggi, la commedia sia il nostro flagello, una sorta di mostro onnivoro che ci impedisce di scrivere altro, la dittatura del pubblico che vuole sempre la stessa cosa e dei produttori che vogliono dargliela sugli autori che vorrebbero dare e dire altro. Voi cosa ne pensate?
Il discorso è ampio e molto interessante. Non pensiamo che la iper produzione di commedie sia responsabile dei mancati incassi di altri generi. Si possono fare film storici o d’autore che sono anche successi di botteghino, come il Giovane Favoloso o La grande bellezza. Spesso addirittura è vero il contrario: si riescono a produrre film che non hanno un ritorno commerciale proprio grazie agli introiti delle commedie che incassano. Certo, la preoccupazione delle produzioni per il botteghino è indubbia, e spesso condiziona la riuscita di un film in termini di qualità, ma la soluzione non è rinunciare a scrivere commedie per dedicarsi a film d’autore. Bisognerebbe fare una commedia elegante e intelligente, “d’autore”, come riescono a fare all’estero e come un tempo facevamo anche qui. L’obiettivo è quello, anche (e soprattutto) se significa lottare contro la dittatura del pubblico (e dei produttori). Magari non ci si riesce facilmente e al primo colpo, ma da qualche parte bisogna iniziare. Noi continueremo a provare a scrivere una commedia alla “Little miss sunshine”, e speriamo prima o poi di riuscirci.
Franceschini si è impegnato a fare una legge per il cinema entro Natale, da inserire nella finanziaria. Ha promesso di consultare le categorie. Voi che ne pensate? Ne sapete qualcosa? Cosa dovrebbe riferire la WGI da parte tua?
Speriamo che la collaborazione con le associazioni di categoria possa portare a un miglioramento della situazione attuale. E’ chiaro a tutti che se in Italia vogliamo fare anche industria, servono molte più risorse. E’ altrettanto chiaro che i fondi andrebbero spesi in modo limpido.
MT: Io personalmente ritengo che questa mancanza cronica di fondi possa far nascere produttori che cercano risorse direttamente dalle co-produzioni internazionali, da investitori che credono nel tax credit, dal product placement e dalle film commission, bypassando il MIBACT. Sogno un cinema italiano che si sostiene con le proprie forze, ma capisco l’importanza delle sovvenzioni alle opere prime e seconde.
V: Per quanto mi riguarda, invece, penso sia indispensabile tutelare il FUS, e spero verrà data più importanza allo sviluppo delle sceneggiature. La direzione che sta prendendo Franceschini mi sembra faccia ben sperare.
Infine, da voi che siete tutte socie, un feedback sulla WGI: cosa pensate, di quello che ha fatto finora il nostro sindacato? Ditemi una cosa che vi è piaciuta/vi piace molto, una che no, e qual è, secondo voi, la battaglia principale che dobbiamo combattere da adesso in avanti.
La cosa più importante è sentirsi parte di un tutto. Sentirsi “categoria” e non “cani sciolti”. La condivisione dei contratti è indispensabile. Parlare tra di noi, raccontarci le nostre esperienze (positive e negative) è un modo per metterci in guardia, ad esempio, dai produttori insolventi. Forse su questo punto dovrebbe esserci ancora più trasparenza. Sarebbe anche interessante organizzare degli incontri a scadenza fissa con i produttori per pitchare i nostri progetti. Creare dei ponti per collegarci ai produttori sarebbe utile. Ottimo lavoro quello delle interviste agli sceneggiatori a Venezia: la battaglia principale è culturale. Insistere nel rivendicare riconoscimento e visibilità. Battere su questo tasto è importantissimo.
Grazie mille a tutte!
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