Di necessità, virtù
Il racconto di repertorio sotto i riflettori del Professional Lab del PKF
Lunedì 3 novembre ho partecipato, come esponente di WGI, all’incontro organizzato da PKF sull’utilizzo dei materiali d’archivio nel cinema, insieme a Claudio Della Seta, giornalista, che grazie alla collaborazione di Mario Musumeci, responsabile ufficio Studi sul Restauro – Cineteca Nazionale del Centro sperimentale di Cinematografia, e di Maria Cristina Misiti, direttrice dell’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, ci ha potuto far vedere, perfettamente restaurati, degli interessanti filmati familiari risalenti agli anni 30 che, nel momento in cui furono girati, nulla lasciavano presagire delle leggi razziali promulgate dal fascismo (la famiglia De Seta è ebrea) e che di lì a poco avrebbero avuto le loro tragiche conseguenze. Di cui molti dei familiari di Claudio Della seta, ripresi in quelle immagini, furono vittime.
Ognuno di loro ha raccontato compiutamente l’esperienza riguardante il restauro di questi filmati, all’epoca girati in 35 mm, e della proficua collaborazione che lo ha permesso.
Al momento del mio intervento, ho risposto alla domanda se l’uso del repertorio in questi anni di crisi sia stata più una necessità che un’opportunità, e su questo ho espresso la convinzione, anche in base a numerosi lavori di nostri autori, che hanno realizzato film di notevole interesse utilizzando questi mezzi, che quasi sempre la necessità stimola l’ingegno, come ampiamente dimostrato dal nostro grande cinema (vedi neorealismo) che della povertà di mezzi ha tratto la sua rivoluzionaria forza stilistica, cambiando, da quel momento in poi, i canoni del cinema mondiale.
Come riprova di questa mia convinzione ho preso ad esempio proprio il bel film Life as a Rumor, esclusivamente realizzato con materiale di repertorio (ma in realtà concepito, originalmente, per episodi separati per una serie bio-documentaria) che riguardava la vita di Assi Dayan, figlio di Moshe Si tratta di un lavoro artisticamente e drammaturgicamente notevole, che non si può certo considerare di meno di qualsiasi altro bellissimo film, per il solo fatto di non essere stato girato ex novo!
Ed è stato molto interessante la parte dell’incontro dedicata a questo lavoro con i due giovani autori Adi Arbel e Moish Goldberg, perché ho avuto la possibilità di porre loro, da sceneggiatore, che non può evitare di notare la costruzione drammaturgica precisa e emotivamente coinvolgente del film, una domanda precisa su come lo avevano “sceneggiato”. Ho chiesto loro se la sceneggiatura si fosse scritta in base al repertorio selezionato, magari step by step, e per questo avessero utilizzato solo un canovaccio per poter realizzare il film. La risposta è stata quella che mi aspettavo a causa della grande qualità del film stesso: la sceneggiatura (ben 100 pagine) è stata scritta prima e costruita drammaturgicamente secondo un “disegno” preciso cui hanno piegato il repertorio e talvolta anche la veridicità della storia! Tanto che Assi Dayan, ci hanno detto, è arrivato al punto di raccontare certi episodi non nel modo in cui effettivamente accaduti nella sua vita, ma come sono stati ricostruiti nel film! Adi e Moish hanno rispettato la sceneggiatura colmando i buchi del materiale con delle invenzioni, perché era necessario che la storia funzionasse per come l’avevano scritta… Per questo motivo il film va ben al di là dello stringente biografismo. Per questo motivo coinvolge emotivamente, talvolta diverte, spessos fa riflettere e genera identificazione col personaggio anche quando non si possono condividere le sue azioni.
E’ in base a questa riflessione che ho toccato un altro argomento, nell’incontro organizzato da PKF: in un mondo in cui le immagini di “repertorio” ormai sono infinite, grazie a internet, ai social etc… lo sguardo, la capacità di raccontare con un pensiero preciso, la realtà, l’iperrealtà e persino l’irrealtà che dir si voglia, fa sempre la differenza.
Questo è ciò che penso. E voglio credere.
Massimo Torre