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 OTTOBRE, il 24

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Jean André Yerlès (Nizza, 1968) parteciperà, il 24, alla Prima Assemblea dei Soci Fondatori della Writers Guild Italia. E’ membro di ben due associazioni di sceneggiatori francesi, SAGA & Co e LA GUILDE des scenaristes, di cui è stato Presidente. Qui la sua pagina IMDB.
Secondo lui, lo scrittore di tv potrà ben presto contare su un pubblico di casalinghe, diverso dal passato, più colto e più esigente: gli abbiamo chiesto come mai.

 

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Caro Jean André, in occasione del Festival de la Fiction TV à La Rochelle, la Guilde degli sceneggiatori francesi ha organizzato un dibattito sulla serialità televisiva. Secondo te, sarà la casalinga a chiedere la rivoluzione della tv generalista. In che senso?

In Francia, come in Europa, la famigerata “casalinga sotto i 50 anni” ha diritto di vita o di morte sulle nostre serie. E’ lei, l’audience. Ma i suoi gusti sono cambiati. Ha visto talmente tante serie americane di ottimo livello che non può più accontentarsi delle nostre fiction scritte male. Tocca a noi, sceneggiatori, insieme ai produttori e ai responsabili delle reti, creare nuove serie, che pur mantenendo la loro identità nazionale, possano tenere testa, per qualità e ascolti, alle serie USA.

La Tv di stato, in Italia, sente l’obbligo di una fiction addomesticata, dei buoni sentimenti, perché destinata ad un pubblico ultra sessantenne, considerato infantile, fragile e molto influenzabile. Non credi che la tua casalinga possa tornare a chiedere la stessa camomilla?

E’ lo stesso in Francia. La televisione di Stato dovrebbe produrre fiction popolari, ma ANCHE delle fiction complesse e innovative, e invece vuole piacere a tutti, con il risultato che, alla fine, non piace a nessuno… Vogliono ringiovanire il loro pubblico, ma non si fidano degli autori e affossano le nostre proposte. Abbiamo appena aperto un tavolo con loro, per tentare di invertire la tendenza.

In che direzione vedi il cambiamento? In un moltiplicarsi di generi? In una diversificazione di contenuti?

Una televisione di Stato, che sia degna del suo ruolo, dovrebbe attivare una seria politica di Ricerca e Sviluppo. In Francia, stiamo chiedendo di continuare con la fiction tradizionale, ma contemporaneamente di aprire delle finestre per progetti ambiziosi, capaci di rinnovare il pubblico. Non hanno ancora detto di sì...

In che misura pensi che gli sceneggiatori possano collegarsi al nuovo pubblico e mettere in atto un cambiamento?

Bisogna essere testardi… e più bravi. Perché alla fine solo il successo consente il cambiamento. L’unico consiglio da dare agli sceneggiatori, è quello di non arrendersi, di non smettere di presentare soggetti originali. Perché un giorno, ti ritrovi al posto giusto nel momento giusto e il tuo progetto s’infila, passa…Facciamo un mestiere difficile, c’è poco da scegliere, ma quelli che tengono duro riusciranno sempre ad affermarsi. Lavorare con la testa, vuol dire essere perennemente in guerra

Dopo tanti anni in cui vi è stato chiesto appiattimento mentale, pensate di essere pronti  a scrivere in modo diverso?

Non bisogna scrivere solo per la televisione, bisogna provare con il cinema, il teatro o la letteratura.  E’ l’unico modo per avere una scrittura originale. E’ il grande vantaggio della nostra professione, possiamo scrivere di tutto.

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Avete 300 iscritti. Per voi, è un numero importante?  Una forza sufficiente per contare? Come pensa la Guilde di cavalcare questo momento di trasformazione?

In 315, per l’esattezza, hanno pagato la quota d’iscrizione. Dobbiamo affrontare una crisi di crescita. Più soci vuol dire più pratiche, più questioni da affrontare. Tocca stabilire delle priorità, per esempio bere meno champagne e pagare più parcelle d’avvocati. Non è che faccia molto piacere…  Scherzo. La nostra sola priorità è quella di restare interlocutori credibili agli occhi del Ministero, del CNC, delle reti e dei produttori. Essere rappresentativi è essenziale, ma non cerchiamo più di buttar dentro gente a tutti i costi.

Che funzione assegni al web nello sviluppo di una nuova serialità? Pensi che possa influenzare il linguaggio tv o che le due piattaforme avranno binari diversi, paralleli?

Certo ce ne saremo influenzati. Ma il nostro lavoro di sceneggiatori non viene intaccato nella sostanza dall’arrivo di nuove piattaforme per la diffusione delle opere. Ci sarà sempre bisogno di sceneggiatori per raccontare delle buon storie. E ci sarà sempre bisogno di pagarli. Fintanto che il modello economico del web sarà così precario, mi sembra difficile che si possano realizzare fiction seriali di qualità. Per contro, il transmediale, se è ben pensato a monte, a partire dal soggetto di serie, è uno strumento geniale, che potrebbe veramente cambiare il modo di “vivere” una serie.

Come vedi il futuro dello sceneggiatore? Sarà costretto, come nei paesi anglossassoni, a diventare anche produttore?

Il futuro degli sceneggiatori europei dipende prima di tutto dalla qualità della loro scrittura. Più saremo capaci di scrivere serie di successo, maggiore sarà la nostra capacità collettiva di influenzare le industrie europee della creatività. E’ tutto collegato.

Qualcuno di noi diventa produttore o regista, ma non tutti gli sceneggiatori hanno la voglia o la capacità di fare un altro mestiere. E’ una scelta personale.  D’altra parte tocca alle Guild e alle società di collecting europee piazzare lo sceneggiatore al centro del processo produttivo, cominciando dal primo problema: pagarlo e pagarlo bene.

La Guilde Française ha uno slogan «Tocca a noi scrivere la nostra storia». Perché tocca a noi, sceneggiatori, costringere l’industria a rispettarci. Nessuno lo farà al nostro posto. Questo richiede molta solidarietà, un po’ di soldi e la capacità reale di sedurre il grande pubblico.

(L’intervista e la versione in italiano dal francese sono a cura di Giovanna Koch)

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A’ l’occasion du Festival de la Fiction TV à La Rochelle, votre Guilde a organisé un débat sur les séries tele. Qu’est ce que vous entendez quand vous disez que c’est par les menageres que passe la révolution de la télévision généraliste ? En France comme en Europe, la fameuse « ménagère de moins de 50 ans » a un droit de vie et de mort sur nos séries. Elle est l’audience. Mais son profil a changé. Elle a vu tellement de séries américaines d’excellente qualité qu’elle ne peut plus se contenter de fictions nationales mal écrites. C’est à nous, scénaristes, avec les producteurs et les diffuseurs de créer de nouvelles séries qui, tout en gardant leur identité, puisse rivaliser en qualité et en audience avec les séries US.     

La télévision d’Etat , en Italie, se sents obligé de produire une fiction domestiquee. Car elle est destiné à une audience des vieux,  gens considérées comme enfants , fragils et impressionnables . Il n’y a pas le risque que votre menagere vous demande de la camomille? C’est la même chose en France. La télévision d’Etat devrait pouvoir faire des fictions populaires ET des fictions exigeantes et innovantes, mais elle veut plaire à tout le monde, et finit par ne plus plaire à personne… Ils veulent rajeunir leur audience mais ne font pas confiance aux auteurs et ils abiment les sujets qu’on leur propose. Nous venons de signer une charte de développement avec eux pour tenter d’inverser la tendance.  

Dans quelle direction voyez-vous ce changement? En multipliant les genres ? Dans une diversification des contenus ? Pour la télévision d’Etat, la solution serait de créer une véritable politique de Recherche et Développement. En France, nous leur proposons de continuer à développer des fictions traditionnelles mais nous leur demandons de consacrer des cases à des projets plus ambitieux capables de renouveler les publics. Ils n’ont pas encore dit oui…

Dans quelle mesure pensez-vous que les scenaristes peuvent se connecter à une nouvelle audience et de activer un changement ? Il faut être têtu… et être meilleur… Parce qu’au fond, seul le succès permet le changement. Le seul conseil à donner aux scénaristes, c’est de ne jamais arrêter de proposer des projets différents. Parce qu’un jour, on est là au bon endroit et au bon moment, et ça passe… Nous faisons un métier difficile, il y a peu d’élus, mais ceux qui s’accrochent auront toujours une place à prendre. Travailler pour la télé, c’est une guerre permanente…

Après beaucoup d’ années pendant lesquelles on vous a demande’ de domestiquer  votre ecriture, vous pensez que vous êtes prêt à écrire d’une manière différente ? Il ne faut pas écrire que pour la télé, il faut essayer le cinéma, le théâtre ou la littérature. C’est le seul moyen pour avoir une singularité d’écriture. C’est la grande force de notre boulot, on peut tout écrire…

Vous avez 300 membres. C’est un nombre suffisant? Votre Guilde comme pense de facer cette période de transformation? 315 adhérents exactement qui ont payé leur cotisation… Mais nous devons faire face à une crise de croissance. Plus il y a d’adhérents, plus il y a de dossiers à traiter. Nous devons déterminer des priorités, comme boire moins de champagne et embaucher des avocats… Et ça ne me fait pas plaisir… Plus sérieusement, notre priorité reste d’être des interlocuteurs crédibles face au Ministère, au CNC, aux diffuseurs et aux producteurs. Etre représentatif est essentiel, mais nous ne cherchons plus à recruter à tout prix.    

Qu’est que vous pensez du web dans le développement de nouvelles idees? Pensez-vous que ca peut influencer la télé ou que les deux plates-formes auront des pistes parallèles? Evidemment. Mais notre métier de scénariste ne change pas fondamentalement parce qu’il y a de nouveaux tuyaux pour diffuser les œuvres. Il faudra toujours des scénaristes pour raconter de bonnes histoires… Et il faudra toujours les payer… Tant que le modèle économique du web sera aussi fragile, il me semble compliqué de faire exister des fictions longues de qualité. En revanche, le transmédia, s’il est bien pensé en amont au moment de la création de la série, est un outil génial qui peut vraiment changer la manière de « vivre » une série.     

Qu’est que vous envisagez pour l’avenir des scénaristes ? Seront ils obligés , comme dans les pays anglo-saxons, a devenir aussi producteurs ? L’avenir des scénaristes européens passe d’abord par la qualité de leur écriture. Plus nous saurons écrire des séries à succès, meilleur sera notre capacité collective à influencer les industries créatives européennes. Tout est lié. Certains d’entre nous deviennent producteurs ou réalisateurs, mais tous les scénaristes n’ont pas la capacité ou l’envie de faire un autre métier. C’est un choix personnel. En revanche, c’est de la responsabilité des Guildes et des sociétés de perception européenne de placer le scénariste au cœur du processus de production, en commençant par une priorité : le payer et bien le payer. La Guilde Française a un slogan « A nous d’écrire notre histoire ». Parce que c’est à nous, scénaristes, de contraindre une industrie à nous considérer. Personne ne le fera pour nous. Ca demande beaucoup de solidarité, un peu d’argent, et une vraie capacité à être sexy et glamour vis-à-vis du grand public…

(Le domande in francese a Jean-André, le ha poste Michele Alberico. Le risposte sono, ovviamente, di Jean-André)

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