Il bollettino dello scrittoreVenezia

Chiusura in due tempi: 2

Andrea Vernier,  sceneggiatore e socio della Writers Guild Italia, osserva e vive, dal nostro particolare punto di vista di scrittori, gli eventi della 81. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2024)

Note a margine.

Quel che resta. Ecco cos’è, adesso.

Il Leone d’Oro ci parla dell’addio, del senso del tempo, ovvero del viverlo cercandoci un senso, anche condiviso – e la cultura è lo stratificarsi di questo (come pittura, architettura, letteraura, musica… etc etc). E non c’è niente di più adatto per l’addio ad una Mostra, ovvero a questo viaggio nelle stratificazioni, del raccontarci la nostra condivisa esperienza della vita…

Alla fine il turning point c’è stato. La stagione di adesso non è quella dell’inizio. Nel mentre è passata la tempesta. Le luci, ora, sono perfette – ripulite, come ci fosse chiarezza su quel che è stato. Anche i suoni arrivano definiti.

Cosa resta sul fondo del setaccio?

Un viaggio, perché sia vero viaggio, è obbligatoriamente una ricerca e una scoperta, un andare per provare a capire scoprendo. E qui, in questi giorni, si è fatto questo. Alla fine restano gli sguardi. Come se l’umanità, in fondo, fosse si, certo, anche in quel che si costruisce e si lascia ai posteri – che sia un film o una serie o un libro o altro prodotto ideato e costruito per andare verso gli altri – ma certamente non solo; anzi direi supratutto non solo. E si, lo so, casco sul particolarismo che rinnega la domensione pubblica alla base dell’agire nell’industria culturale, ma tant’è. Quel che resta certamente sono i film, di ogni genere e grado; e certo, i convegni e le parole pesate e dette, le parole scritte nei comunicati. Ma… no, ecco. Anche no. Quel che resta davvero, in questo senso di tridimensionalità restituita che arriva solo dopo la tempesta, sono gli sguardi personali. Sono loro in carne ed ossa, con i loro occhi, le loro espressioni, le loro esitazioni – il non detto che le/gli attraversava lo sguardo proprio davanti a me, in quel momento preciso…

…come quella notte consumata a parlare del senso del dovere, perché si voleva parlare di cinema e invece lui mi guardava fisso negli occhi e mi parlava lento e cadenzato e la sua preoccupazione per i giovani a cui insegna cinema, il sentirli sganciati, con una modalità entra/esci dalle cose che sembra tradire l’assenza di un sentimento di appartenenza, un senso di continuità, come non ci fosse una forza di gravità ad agire… e i suoi occhi nel parlarmi, direi stanchi, o preoccupati o sinceri, e quella strisciante sensazione di non aver fatto abbastanza, forse… che poi lo sai che non è così, ma sai anche che è proprio così che ci si sente, se si ha senso di responsabilità; e lui ce l’ha eccome il senso di responsabilità, quando ti prendi sulle spalle comunità intere… e ovviamente si parlava di cinema per poi, in realtà, parlare della vita, perché questo è; si vive per poi essere capaci di fare cinema…

…e quell’altra sera, poi; quella alcoolica e un po’ mistica, tra il marmo gelido, grigio antracite come una canna di fucile, ed era giusto, certo, perché le sue parole erano proiettili di precisione – e lui li, quella notte, e il suo sguardo insolitamente non fiero o sfidante, ma sinceramente perso dentro sè stesso, mentre mi regala il suo debito con Visconti, quello zoom a cercare di capire quel che la vita apparecchia nel dettaglio, partendo però dal totale, dalla grande consapevolezza che appartiene a chi sa… e naturalmente era come se stessi seduto nel suo salotto di casa, tra ciò che gli era più caro, perché così fa la civiltà quando accoglie un ospite nella propria dimora…

…e quel vento fortissimo fuori dalla finestra, poi, con quello sguardo unito a quella voce, a quel tono, così determinato e lineare – di chi non ha dolore o mestizia o rimpianto in questo momento, perché quel che è stato è dentro di lei ed in questo momento è un qui ed ora pieno di determinazione e capacità, dove la vita è presente, chiara davanti ai suoi occhi appassionati, ed è costruire a partire da un preciso atto di volontà. E però quel giorno il vento tirava tantissimo, come a chiamarci, inesorabile come un destino che è segnato e non puoi non cascarci – e infatti ci siamo cascati, a parlare della vita fratturata, di quel che bucava, sfregiava, sbatteva come le bandiere fuori… e noi dentro, a dirci fiduciosi di film e idee e cinema, che la vita è questo progettare oltre quel che il vento fa sbattere sul vetro… e il sentimento è quel che tiene tutto insieme, ed è alla fine anche e forse soprattutto un fatto collettivo…

…e quel gruppo formidabile, ancora; quelle persone appassionate a tal punto da finire ogni tempo a disposizione, e sforare oltre i supplementari per continuare ancora, che non importa cosa devi fare domani, tra poche ore ormai, perché non si può non condividere questa passione feroce che è il cinema, ovvero la vita, che è poi il cinema per esteso, forse…

…e quella stanchezza che passa come una nuvola intera a coprire lo sguardo, e che sguardo, così attento sempre ad ogni dettaglio, affinchè tutto vada al meglio… e invece era lì, esausta, a dirmi ti prego lasciami andare, voi e il vostro cinema – perché è troppo bello da poterselo perdere, ogni mondo, ogni sguardo consapevole che attraverso… e alla fine sono stremata, sfinita, da questa orgia di destini – e quel che avviene lassù mi stanca qua dentro, e guardami, ora, dopo giorni e giorni, perché questo fa una Mostra, una festa continua per la nostra anima che ha sempre bisogno di sguardi…

…e poi ancora quelle voci, perché a volte non puoi guardarli sempre in faccia mentre parlano, e a volte li hai visti prima, e ne hai sondato il senso di ricerca e peso, come guardassero nel mare di notte a volerne capire il peso specifico, la quantità tutta, perché niente deve restare fuori…

…e l’altra voce, invece, che non la vedi davanti all’orizzonte del Lido, ma la immagini davanti a quello pressochè infinito che può esserci in un salotto o una cucina o uno studio, vai a capire da dove ti parla, e ha sempre quel tono lì, pacato e puntuto, di chi misura con precisione gli angoli, e i passi, e pure i respiri, e poi capita che ti parla, e parla eccome, e degli anni delle sue writers room, del peso insopportabile dei maschi che non sapevano fare a meno del misurarsi il testosterone prima di ogni riunione, perché sai non era proprio prepotenza ma essere tribù e che ci vuoi fare quelli erano così – e ci senti la grevità, ma anche il tempo passato, forse un qualcosa rivolto all’oggi, alla baracconata che sembra a volte essere il politicamente corretto, che insomma, sai, io ho dato – e ci senti il tempo speso a ragionare, e se la clessidra ha consumato così tanta sabbia è per un motivo e un motivo solo, e si chiama passione…

…e poi lui, ecco, il cineasta, che forse è quello che più mi ha mosso dentro qualcosa, un qualcosa che in parte è nostalgia, ma solo in parte, perché in realtà è ricordo, che le due cose non coincidono e anzi; perché quando ricordi sai, come il corpo dopo un incidente, che magari per un po’ va storto, ma lui ha ricordo di sé, e devi solo rimetterlo in posizione, che lui sa. E insomma lui, il cineasta, mi ha ricordato, ecco cosa. Che non è idea, o costruzione, o calcolo. Che no, non lo è. Lui, il cineasta con appresso la figlia di pochissimo più grande di mio figlio, che mi parlava dell’esame di latino a settembre e del dimenticarsi la borsa in giro e di che si mangia qui, adesso… ecco, lui, il cineasta dalla voce impastata e profonda, come se tu dovessi stare davvero vicino o dentro il suo sguardo, per coglierlo, ecco, lui, mi ha ricordato: che il cinema è essere, ecco cosa.

E lui e tutti loro, tutte e tutti insieme, davvero, si sono fatti una cosa sola nella mia testa, e lo dico qui davanti a questo cielo di marmo bianco e cobalto, con la purezza delle poesia di Puskin, con la solitudine consapevole dei colori di Hopper e la musica di Alberto Iglesias, ecco, lo dico qui scontornando bene i concetti, che sono fluviali, certo, perché così è, se vi pare, la vita consumata; fluviale. Ma non il ricordo. Quello deve mettere a fuoco. Ovvero scegliere. Scontornare. E alla fine definire. E quel che resta è questo: il cinema è essere. Autentici, appassionati, vissuti, consumati, preoccupati, volenterosi, analisti, consapevoli, responsabili. E umili. Ecco. Umili perché si vive. Ecco. Ed è tutto qui. Perché il cinema è vivere. Solo che è vivere in questo modo. Ecco.

Ed è bellissimo.

Testo e foto di Andrea Vernier
Inviato WGI a Venezia

Il bollettino dello scrittore – I report dell’inviato di Writers Guild Italia (WGI) dalla 81. Mostra internazionale d’Arte Cinematografica (28 agosto – 7 settembre 2024).