Bollettino n. 4
Poi l’aria si addolcisce. Quella tortura somministrata sotto forma di caldo, sembre essersi stancata da sola. Con cautela, forse non troppo convinta, ma sembra mollare.
E’ la brezza, ovvio. Ad una certa ora, entra per forza. Ma tant’è; chissenefrega delle leggi che governano la meteorologia; a noi piacciono gli dei, i segni nell’aere, l’incrocio del destino.
Noi malati di Raccontami o Musa.
È che hai provato a vedere, leggere, capire. Hai passato le tue ore da ape operosa nell’enorme alveare dell’Overlook, che tutto sovrasta e tutto sa.
E adesso è quel momento lì; la pausa, il ripensarci. Assaporare.
Benedetti momenti di stanca, di passaggio.
Che poi a ben pensarci questi non sono momenti a caso. In effetti; cantami o musa. Dunque se giochiamo con i fili del destino, nulla è caso. Tutto è costruzione imperscrutabile di qualcuno che organizza e tende reti.
Serragge. Ecco cosa sono questi momenti. Le lunghe reti stese lungo la laguna, nascoste agli occhi e affioranti di un pelo dall’acqua. Sono spostate di continuo dai pescatori, ogni notte. Non sai dove le troverai – dove le ha messe il dio – o dei che siano.
La marea porta il pesce dritta dentro le serragge. Inevitabilmente.
La Mostra ha una marea con orari precisi. Alle 8 e 45 del mattino è la pace assoluta. E’ l’ordine delle cose – o almeno lo è nella pianta disegnata da qualche mente razionale. Alle 8 e 45 la vita della Mostra è un progetto.
Poi la marea comincia ad entrare decisa. E per 15 ore quella marea scorre impetuosa. In alcuni orari è davvero molto molto intensa. Tocca studiare percorsi alternativi, angoli ciechi alla corrente.
All’ora di pranzo il piazzale antistante il casinò è un surreale quadro di de Chirico, tagliato di netto da una luce abbagliante – che si intuisce però essere anche malevola, ostile. Le formichine sono una moltitudine – ma tutte ammassate per altri percorsi, in cerca di riparo.
L’ora di punta, punta all’ombra.
Ora, però. Ora, mentre scrivo, ci si avvicina al tramonto. E arriva lei, la brezza. La diva.
La musica si alza dai vari stand. Ora è un apericena continuo. Esattamente come mi diceva una delle interviste montane che prima o poi vi racconterò: siamo la società dell’evento continuo– ovvero dell’apericena.
Tutto vero.
E’ che la rete a quest’ora pare piena. Pesa. In efftti si accumulano segni, volti, indizi. Visioni. Alcune note cominciano ad addensarsi: la musica, onnipresente, a volte davvero invasiva, un probabile doping che risolve domande drammaturgiche in modo easy; il richiamo alla Musica sinfonica – lo scorso anno c’era Bernstein, quest’anno la Callas – come se il richiamo all’opera totale fosse sempre fortissimo; il biopic, per quel dannato bisogno di andare a frugare nell’Olimpo, a cercare di capire quanto siano inarrivabili gli dei; donne donne donne – ovunque donne come asse della storia, attorno alla cui crisi (riuscirò finalmente ad essere davvero padrona di me stessa, ad essere libera?) tutto ruota; famiglie, coppie, amicizie – l’essere umano si racconta attraverso questo imprescindibile legame essenziale, da cui tutto scaturisce… e questo, è per il momento.
Altro, ovviamente, pian piano si accumula.
Il giorno si chiude. E’ ora di rimettere in acqua le reti.
La serraggia torna dove deve stare; a pelo d’acqua. Invisibile ad uno sguardo veloce. Lei c’è, ma non deve vedersi. Fiduciosa, aspetta che la marea torni.
Mi suona l’avviso: ora di proiezione. Vado. A vedermi la dea Blanchett, naturalmente.
Perché si, è ovvio: cantami o musa.