Noi siamo Alitalia
Storia di un paese che non sa più volare
Presentato al Torino Film Festival 2023, uscito in sala e oggi disponibile su Vimeo, “Noi Siamo Alitalia – Storia di un Paese che non sa più volare” è il documentario che con onestà ripercorre il difficile cammino della nostra compagnia di bandiera, diretto da Filippo Soldi e da lui scritto con le nostre socie Anna Maria Sorbo, Maria Teresa Venditti.
Il film risolve l’intricata storia dell’Alitalia con un ingegnoso espediente narrativo: quattro giovani autori devono scrivere una docu-fiction sulla chiusura di Alitalia, ma, poiché nessuno di loro è in grado di capire niente delle complesse questioni aziendali ed economiche che hanno condotto allo smantellamento della compagnia, questi chiedono aiuto ad esperti.
Accade così, in una sceneggiatura che oscilla tra finzione e realtà, che i quattro autori del film scoprono una realtà che ha avuto un impatto devastante sulla vita delle persone e sull’intero Paese, senza che però quest’ultimo se ne sia re4so davvero conto.
“Noi siamo Alitalia” racconta così la storia del più grande licenziamento di massa della storia d’Italia: 11mila lavoratori e si sofferma sui motivi della chiusura definitiva della compagnia di bandiera, della nascita di ITA Airways e di tutto ciò che essa comporta in termini di indotto nel territorio nazionale territorio.
Filippo Soldi, Anna Maria Sorbo e Maria Teresa Venditti raccontano la costruzione di un docu-film che illumina sugli eventi, le ingerenze politiche, le verità sapientemente e volutamente nascoste per anni, ma anche le difficoltà che con passione hanno dovuto affrontare.
Quando avete cominciato a lavorare a questo progetto vi siete resi conto che la materia era decisamente intricata e poco chiara. Come siete riusciti poi a sviluppare il documentario?
Filippo Soldi: Io sono l’ultimo ad essere entrato. Sui materiali stavano già lavorando sia Anna Maria (Sorbo) sia Maria Teresa (Venditti). Non ho capito proprio niente all’inizio, buio totale. Per fortuna loro invece erano già più addentro al contesto e quindi per me sono state la guida per accedere, per tentare di capire, le mie Virgilio.
Maria Teresa Venditti: L’ingresso di Filippo (Soldi) ha dato la svolta al lavoro, perché è stato lui ad inventare in qualche modo la struttura, e anche Anna Maria. All’inizio c’era un’altra struttura.
Anna Maria Sorbo: Nessuno di noi tre sceneggiatori è arrivato all’inizio, la macchina produttiva era già all’opera. Il produttore aveva già raccolto del materiale sulle manifestazioni dei lavoratori Alitalia e alcune interviste ai protagonisti della vicenda. Si trattava quindi di dare una forma e una struttura a questo materiale, perché la vicenda Alitalia era piena di contraddizioni. Abbiamo cercato di dare una forma di inchiesta al racconto. Ci siamo posti molte domande e abbiamo tirato fuori tanto materiale grazie a ricerche sul web, da tesi sull’Alitalia e grafici sulla discesa subita da Alitalia nel panorama dei voli internazionali.
Qual è l’arco di tempo che avete scelto di coprire?
Anna Maria Sorbo: La vicenda parte da quando nasce l’Alitalia, subito dopo gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Noi siamo partiti proprio dall’origine, ci fermiamo a un passo dalla nascita di ITA. Il 15 ottobre 2021 è partito il nuovo vettore aereo, in quel momento è come se si decretasse la morte di Alitalia. Sono 70 anni di storia.
Quali sono i materiali che avete utilizzato per ricostruire la storia?
Anna Maria Sorbo: Molto materiale lo abbiamo preso dal volume “Sulle ali della dignità” scritto da Fabrizio Tomaselli, assistente di volo per anni in Alitalia, che ha svolto anche un’attività sindacalista, molto addentro alle vicende. Tomaselli poi è anche uno dei due esperti che ci guida, come se fosse un Virgilio dantesco, insieme a Gianni Dragoni, a ricostruire le vicende. Nel volume, non solo vengono ripercorsi tutti gli avvenimenti, ma c’è una sorta di cronologia molto precisa dei riferimenti giornalistici e di tutti i provvedimenti, anche legislativi, amministrativi ed economici. Insieme a questo, ci sono state le ricerche di archivio.
Maria Teresa Venditti: E anche le interviste.
Filippo Soldi: Il libro di Tomaselli è stata una base d’informazione, una sorgente di dati.
Anna Maria Sorbo: Sull’Alitalia è stato scritto molto e abbiamo fatto una ricerca di articoli di giornale che erano usciti. La difficoltà è stata poi quella di mettere a frutto tutto questo materiale.
Com’è la struttura di una sceneggiatura per un documentario? Come si crea?
Filippo Soldi: Io non avevo mai scritto una sceneggiatura per un documentario. C’è stato prima un lavoro di sbobinatura, una selezione delle parti delle interviste che avremmo montato e poi le abbiamo riportate su carta esattamente come se fossero battute dette da un attore. Accanto c’erano le scene di fiction che via via si andavano precisando, anche tenendo conto di quello che già c’era.
Maria Teresa Venditti: È stata inventata una redazione, attori che recitano il ruolo degli autori.
Anna Maria Sorbo: Una sorta di nostro alter ego.
Maria Teresa Venditti: Loro sono la parte fiction. Era necessario legare tutto questo materiale, dargli un senso compiuto, ma anche mandare sullo schermo le interviste girate prima che Filippo arrivasse, quindi in qualche modo bisognava trovare un sistema.
Filippo Soldi: A Torino c’è stato un giornalista del “Manifesto” che ha osservato che il documentario è sia su Alitalia, ma anche sul formarsi della scrittura. Io, scherzando, dico che le parti di finzione sono quasi più realistiche delle parti reali, perché sono le domande e i dubbi che ci ponevamo noi. Sono il condensato di quello che noi stessi dicevamo. Tanto che ho scelto di realizzarle, laddove possibile, dei piani sequenza, perché volevo che il tempo dell’attore fosse lo stesso dello spettatore, volevo che lo spettatore avesse la sensazione di stare nella stanza.
Anna Maria Sorbo: Nel docufilm viene fuori proprio il processo stesso della scrittura. La fiction in genere nasconde sempre le figure dell’autore e del regista, invece nel documentario questo meccanismo è esternato ed anzi diventa parte integrante della scrittura del documentario stesso.
In corso d’opera è cambiata la vostra opinione rispetto a un certo tipo di narrazione dei media?
Anna Maria Sorbo: Siamo partiti senza idee preconcette, abbiamo cercato di essere più oggettivi possibili ed è proprio quello che viene fuori. Quello che succede agli attori/autori della finzione è quello che vorremmo succedesse allo spettatore che guarda, che ricostruisce e che si fa venire gli stessi dubbi e le stesse contraddizioni rilevate da noi. Non dimentichiamoci che Alitalia è stato fino a un certo punto un fiore all’occhiello tra le aziende italiane e che poi è diventato un peso senza fondo anche per le casse dello Stato, per i contribuenti pubblici e così via. Questa parabola si doveva definire: com’è successo tutto questo?
Filippo Soldi: Il documentario racconta la storia di Alitalia dalla sua fondazione a quando è stata chiusa. Dell’Alitalia abbiamo sempre avuto informazioni frammentarie e questo ha provocato la non comprensione da parte di chi non era interno all’Alitalia. Mettere in fila i dati non è come ricevere dati sparpagliati, implica comprendere la realtà. Nel documentario accade questo: gli autori/attori mettono in fila, collegano gli eventi.
Dopo la proiezione del documentario e in fase di realizzazione, avete avuto riscontri o scontri a livello politico o ideologico con personalità legate ad Alitalia?
Filippo Soldi: Scontri, nel senso di polemiche aperte, no, non ce ne sono state. C’è stato il silenzio, il non rispondere, il negarsi. Questa cosa la rappresentiamo. Avevamo previsto in sceneggiatura di fare un piccolo focus sui possibili danni che la permanenza per lungo tempo in alta quota comporta sul corpo di chi lavora sull’aereo. Volevamo fare un approfondimento con una persona specializzata. Abbiamo contattato un medico, il quale ci disse che in linea teorica era disponibile, però aveva bisogno di ottenere una sorta di lasciapassare dalla sua azienda. Questo ente ci ha mandato un’e-mail molto contradditoria, in cui spiegava che questo signore era la persona giusta per il tema che volevamo affrontare, ma non ritenevano che avesse niente da dire su questo tema. Questa e-mail è finita ipso facto nel documentario. Si vedono proprio gli attori/autori che ad un certo punto si interrompono. Appare un cartello con scritto che lì doveva esserci quella scena che non è stato possibile girare perché avevano ricevuto questa mail.
Maria Teresa Venditti: La cosa più eclatante è proprio il silenzio, non solo delle istituzioni, ma proprio delle persone. Gli italiani sono probabilmente così assuefatti a ricevere input di ogni tipo, che ormai è tutto normale. Non troviamo una modalità di protesta. La nostra, in quanto piccoli autori, magari è stata questa, però si smuove pochissimo nell’opinione pubblica. In Francia hanno protestato per l’innalzamento dell’età pensionabile, i francesi sono un popolo che rivendica dei diritti. Noi evidentemente ci sentiamo sudditi e non rivendichiamo nulla, molto raramente rivendichiamo qualcosa. Anni fa abbiamo fatto con Filippo un documentario che parlava della crisi del 2008, in cui c’è stata un’alta percentuale di suicidi tra gli imprenditori. Filippo ha vinto il Globo d’oro per quel documentario. Anche in quel caso dicevamo: “Ma come è possibile lasciare che ci facciano tutto?” Ecco, questa è la cosa che ancora sbalordisce.
Filippo Soldi: Nel caso di “Suicidio Italia – Storie di estrema dignità” (2013) la risposta che io avevo ipotizzato era che si parlava di singoli imprenditori, quindi non facevano corpo. È ovvio che colpire il singolo è molto semplice e non ha conseguenze. Nel caso di Alitalia il discorso è diverso, lì c’era una forza lavoro compatta che in qualche modo è stata colpita.
Maria Teresa Venditti: È vero, erano compatti i lavoratori di Alitalia, perché loro hanno protestato tantissimo, hanno fatto le barricate, sono scesi in piazza, però il Paese non li ha seguiti. Invece di dire “Alitalia è anche nostra”, abbiamo detto “ma chi se ne importa di questi privilegiati dell’Italia. Tutti raccomandati”. Noi lo diciamo anche nel documentario, è stata messa in giro la chiacchiera che le hostess fossero tutte delle “poco di buono”, gli steward erano tutti raccomandati e così via, ma è come buttare il bambino con l’acqua sporca. Noi in Europa, e anche forse nel mondo, eravamo invidiati. Nel Lab di Fiumicino, dove si aggiustavano i motori, arrivavano da tutte le compagnie perché eravamo i più bravi.
Anna Maria Sorbo: Per questo documentario, il regista Filippo Soldi sarà premiato ai Nastri d’Argento del 2023 con un premio speciale “Cinema e Lavoro”, con la motivazione “Cosa significa lottare per il lavoro e vivere, nel momento della perdita, rabbia, delusione, impatto con le difficoltà della disoccupazione”, come si vede appunto nella storia collettiva di un clamoroso caso come quello di Alitalia.
Ma voi pensate che ci sia stata una volontà da parte di qualche “potere”, un’ingerenza nel modo di narrare la vicenda a livello mediatico?
Maria Teresa Venditti: Io sono la “complottologa” del gruppo. Secondo me, assolutamente sì, ma non solo su Alitalia, anche sulla pandemia, sul lockdown, sull’energia per la quale dobbiamo tutti ristrutturare casa, sulla guerra, su tutto. Non c’è una vera informazione oggettiva. Noi abbiamo cercato di esserlo, anche se forse non esiste l’oggettività, però un giornalista dovrebbe raccontare i fatti e non soltanto essere la voce ripetitiva della velina di turno.
Filippo Soldi: Io invece sono meno “complottologo”. Penso che nessuno si sia preso la briga di mettersi a studiare e quindi si riferiva quello che succedeva nella singola giornata senza collegarlo a ciò che era successo un anno prima. Non si ricordava e non si aveva voglia di fare ricerca per sapere che cos’era successo.