Un mistero intricato e pericoloso
Emozione e tensione nella teen story di una giovanissima videoblogger catapultata in un luogo sconosciuto e oscuro. La serie mistery “Snow Black” (10 episodi di 30′) dopo aver esordito su Rai Gulp la scorsa primavera, è ora disponibile su Rai Play. Ne parla a Writers Guild Italia uno degli autori, il nostro socio, sceneggiatore e story editor, Giancarlo Germino.
Carissimo Giancarlo, “Snow Black”, la prima serie tv mistery per adolescenti che hai scritto insieme a Massimo Bavastro, ha debuttato lo scorso 14 marzo su Rai Gulp. Che riscontro avete avuto nel risultato finale?
Fortunatamente la serie ha avuto ottimi ascolti che sono saliti di puntata in puntata e questo non era scontato, perché si tratta di un tipo di racconto nuovo per Rai Gulp che ha linee editoriali in evoluzione e vuole sperimentare. Snow Black è un mistery young adult che è stato trattato con la stessa cura e sforzo produttivo di una serie per adulti. Questo significa aprire il canale ai giovani adulti senza dimenticare i più piccoli. Quindi, in sostanza, un progetto sfidante che ha portato a casa il risultato.
Da dove è partita l’idea di adattare l’omonimo libro scritto da Francesca Tassini e Mario Pasqualotto? Avete scelto la fedeltà o una libera trasposizione del testo letterario?
Io e Massimo Bavastro siamo stati chiamati da Atlantyca per questa sfida. Abbiamo accettato perché il libro proponeva una tematica interessante: cosa significa per un adolescente restare intrappolato, dentro o fuori di metafora, in un telefono? Potersi esprimere, vivere e amare solo attraverso il filtro di uno smartphone? Quando ho letto per la prima volta il libro, il covid ci stava chiudendo in casa, era un tema fortissimo, e lo è ancora. Abbiamo scelto un adattamento molto libero. La sfida era mantenere il cuore del mistero e delle tematiche, dovendo però modificare molto dell’impostazione del libro, impossibile da mettere in scena fedelmente, per la scelta di un punto di vista che non avrebbe funzionato in tv. Ci siamo divertiti e abbiamo trovato tra gli autori del libro e nel team editoriale piena disponibilità all’ascolto.
Dieci puntate da 30 minuti l’una raccontano la gioventù odierna in una chiave diversa dal solito. Cosa differenzia “Snow Black” da altre serie tv come “Skam Italia” o “Summertime”?
Non credo siano serie da mettere a confronto. Le serie che citi sono oggi serie prodotte dalla piattaforma Netflix. Snow Black è invece una serie pensata per Rai Gulp e per la sua linea editoriale, quindi ha uno sguardo che si muove nel perimetro del canale, pur sperimentando e innovando. Inoltre Snow Black è una serie fortemente codificata e ”di genere”, che racconta i ragazzi attraverso un mistero, senza pretesa di essere generazionale o di affrontare tutte le tematiche dell’adolescenza.
E’ stato facile o complicato collaborare con un un contesto produttivo così ampio come Rai Ragazzi, Atlantyca Entertainment e Bedeschi Film?
Siamo stati sostenuti come autori in ogni fase del processo creativo. Mi ritengo fortunato ad aver avuto referenti sempre pronti ad ascoltare.
L’arco narrativo di Snow Black si è esaurito con il finale di stagione, o c’è spazio per eventuali prosecuzioni?
C’è spazio per nuove avventure per Ella, Kennedy e Snow, ma su questo meglio mantenere ancora un po’ di mistero, no?
“No script No series” è una delle campagne fondamentali di WGI. Per te che hai esperienza pluriennale come sceneggiatore e story editor, oltre alla docenza nella scrittura seriale (all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico), credi che possa essere utile per uscire dall’impasse che si è creato nell’attuale panorama nazionale?
C’è ancora molto da fare purtroppo in Italia. In troppi contesti il nome dello sceneggiatore viene omesso, dimenticato, inserito all’ultimo momento, citato a margine. Lo dimenticano gli uffici stampa, i giornalisti, siti istituzionali, persino la produzione, in una specie di rimozione di massa. Troppi sceneggiatori devono ancora condividere i titoli con chi non scrive davvero o addirittura lottare per avere un cartello. Su troppi palchi non ho visto gli sceneggiatori invitati che invece restavano in platea o a casa (al photocall poi li ho visti davvero raramente, sia al cinema che alla tv). Insomma la visibilità è ancora prossima allo zero. Quindi sì, la nostra campagna è necessaria, ma da sola non può cambiare un sistema così incancrenito. Sono necessarie di certo clausole contrattuali più stringenti sulla visibilità dell’autore, accordi di categoria e soprattutto la definizione di contratti standard fuori dai quali la prestazione e l’acquisizione dei diritti non possano dirsi legalmente stabilite.