Non è mai tardi per imparare e costruire un nuovo sapere
Il racconto di una donna tenace e straordinaria
Rai Storia ha trasmesso il documentario Anna Lorenzetto. Una rivoluzione silenziosa, di Simona Fasulo, che firma anche la regia, e Anna Maria Sorbo, con la collaborazione di Marilisa Calò. Il lavoro, realizzato dall’U.N.L.A. (Unione Nazionale Lotta all’Analfabetismo) e prodotto da Alessandro De Marinis per SDM Videoproduzioni, è visibile su Raiplay per qualche tempo ancora. Ne parliamo con tutte e tre le nostre socie.
Nell’epoca contemporanea, dove spesso viene dato peso a fake news e al populismo demagogico, la figura di Anna Lorenzetto appare come rivoluzionaria dal punto di vista dell’alfabetizzazione e della coscienza civile. Cosa vi ha spinto a raccontare la sua storia?
Simona: Da alcuni anni scrivo e dirigo documentari per Rai Cultura, e ho avuto la conferma che, nella narrazione del nostro paese, l’universo femminile non ha il peso che dovrebbe avere. Mi sono occupata di molte donne che hanno avuto un ruolo importante nella ricostruzione dell’Italia, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, delle quali a volte stentiamo a ricordare persino il nome.
Questa è l’ottica che mi ha convinto a lavorare all’idea di un documentario con Anna Maria, che stava scrivendo con Marilisa una fiction sulla Lorenzetto.
Anna Maria: Il mio “incontro” con Anna Lorenzetto risale addirittura al lontano autunno del 2008: fu per me un vero e proprio insight, motivandomi a saperne di più, a leggere i suoi volumi, a ricostruire tasselli di biografia inesistente. è stato il fascino emanato da questa misteriosa figura di donna e di pedagogista, anima e ispiratrice di uno straordinario viaggio educativo nel “profondo” Sud, attivista, intellettuale engagée, eppure misconosciuta ai più, pressoché ignorata dalla storiografia ufficiale, a far nascere il desiderio e il bisogno di raccontare, fuori di qualsiasi intento celebrativo e tantomeno agiografico, una bella storia.
Marilisa: Personalmente ho dedicato 10 anni della mia vita ad approfondire la figura di Anna Lorenzetto perché trovo culturalmente arretrato che una pedagogista d’eccellenza come lei che ha fatto l’alfabetizzazione del sud d’Italia nel dopoguerra, ha contribuito a fondare l’UDI, ha combattuto per la libertà e la civiltà dei popoli durante la guerra e nel dopoguerra, che ha coltivato sempre gli ideali di una cittadinanza inclusiva e fino agli anni 70 cosmopolita e che, prima ancora che arrivasse Olivetti a Matera, aveva educato le persone che vivevano nei Sassi ad essere non più sudditi ma cittadini, possa cadere dimenticata dalle istituzioni di ogni genere e grado a causa del suo essere donna e del suo orientamento sessuale.
I centri culturali diventano sinonimi di formazione, partecipazione, libertà, attivismo, democrazia, responsabilità. Quanto sono importanti queste parole oggi nella narrazione culturale italiana?
Anna Maria: Temo, purtroppo, non siano ancora così rilevanti quanto mi piacerebbe che fossero. Ribaltando la domanda, viene da chiedersi: queste parole funzionano davvero da quello che spesso ho sentito citare nel mondo della produzione come selling points o unique selling points di un’opera televisiva, cinematografica? Personalmente, nutro qualche dubbio.
Marilisa: Nei Centri di Cultura Popolare le persone venivano accolte e accettate per quello che erano. Pastori, contadine e contadini, analfabeti e analfabete che si firmavano solo con la X, venivano valorizzati come cittadini di cui prendersi cura e ancora di più, da cui apprendere. Senza pregiudizio e in modo inclusivo una professoressa universitaria che proveniva da un mondo borghese portava non i valori della competizione e della produttività ma i valori della cultura, dell’educazione, della dignità umana.
Simona: Non è facile fare un parallelo tra il tempo in cui nascevano i Centri di Cultura Popolare e oggi. La situazione è completamente diversa, se non altro per la circolazione capillare e continua di informazioni e scambi cui siamo abituati ora. È come se da quegli anni a oggi fosse passato uno tsunami a ribaltare il senso della vita, della società, del sentire comune. E le parole che tu citi: formazione, libertà, democrazia, responsabilità hanno preso un valore diverso, si sono svuotate di peso, perché sono usate spesso a sproposito, e si sono appesantite di sovrastrutture. Ritornare all’origine di quelle parole, al loro valore essenziale, potrebbe essere una buona idea per ricominciare a vederci chiaro.
Nel documentario c’è una frase significativa: “Scrivere è fatica e travaglio, come il seme che spacca la terra”. Nel vostro lavoro, quanto è stato importante il processo di scrittura?
Simona: Quella frase cui sono particolarmente affezionata mi sembra molto indicativa del processo di alfabetizzazione degli adulti, ma è anche profondamente vera per tutti noi che scriviamo – film, documentari, romanzi o poesie. Scrivere un documentario significa raccontare per immagini, che a volte sono di repertorio, quindi girate da altri e in tempi lontani, significa lavorare scucendo e ricucendo trame sottili. La scrittura del documentario non è la consueta stesura di una sceneggiatura, nello specifico si può dire che l’ossatura di questo lavoro, il fil rouge che lo attraversa, è fornito dalle parole della stessa Lorenzetto.
Infatti non potendone raccontare in dettaglio la vita, che lei, come molte donne attiviste della sua generazione, ha volutamente tenuto riservata, abbiamo scelto di usare brani del suo libro più significativo “Dal profondo sud”, per rappresentare quello che fu il suo impatto con la realtà del meridione nel dopoguerra.
Marilisa: Credo fermamente che la scrittura sia il primo passo fondamentale di definizione del racconto per immagini. Anche nel caso dei documentari, la penna sul foglio che ordisce l’idea accende la scintilla del percorso creativo. Il processo di scrittura per me è fondamentale, delinea il focus del racconto, indipendentemente da come venga poi realizzato, girato e montato. Rimane la qualità di quella prima parola che porta sul foglio l’idea, che delinea cosa racconto e la passione con cui lo racconto, la motivazione. Rimane l’essenza in quella parola, fossero anche poche righe, che una volta lette evocano immagini e sogni da rendere concreti. Come la prima stella nel firmamento si accende la sera a suggerire che sta arrivando il buio e la notte, cosi quella prima parola sul foglio rende possibile una visione.
Anna Maria: Concordo con Marilisa. Parlando nello specifico di questo lavoro, poi, nella “sceneggiatura” per il documentario sono confluiti spunti, immagini, echi di un processo di scrittura più ampio che nel tempo ha dato origine e si è sedimentato in forme diverse: non solo il documentario realizzato con Simona che lo ha anche diretto, ma anche il soggetto per un lungometraggio e il trattamento di una serie tv con Marilisa, l’articolo scientifico con Simona e la biografia che mi auguro di poter scrivere. La storia di Anna Lorenzetto, e – storia nella storia – il suo rapporto con l’americana Mrs. Law che fu convinta sostenitrice del movimento dei Centri di Cultura Popolare, sono una fonte di ispirazione inesauribile.
Nella fase produttiva e di ricerca, avete avuto difficoltà con il reperimento dei materiali di archivio?
Marilisa: Ci sono voluti anni di lavoro certosino, gusto per la ricerca e attenzione ai dettagli, ai luoghi nascosti e che il tempo ha reso invisibili per rintracciare memorie, racconti e ricordi di un tempo che fu. Anche quello che resta dei Centri di Cultura Popolare ha preso nuove forme e in tutti i modi il nostro interesse ad approfondire la figura di Anna Lorenzetto ha necessitato un lungo tempo di riflessione e approfondimento, di lettura dei suoi testi e di visione delle pochissime fotografie in cui è ritratta per comprendere che donna fosse.
Anna Maria: Certo, senza dubbio. Per quanto mi riguarda, tuttavia, trovo il lavoro d’archivio, di scavo nelle biblioteche, di rinvenimento di materiali inediti, specie epistolari, assolutamente piacevole. Mi è per così dire congeniale, per carattere.
Simona: I materiali fotografici utilizzati nel documentario provengono soprattutto dall’archivio dell’Unione Nazionale Lotta all’Analfabetismo, che è ricchissimo di istantanee d’epoca, in alcune delle quali appare anche Anna Lorenzetto, spesso attorniata da chi partecipava alle lezioni nei Centri di Cultura Popolare. Con l’apporto di materiale video dell’Aamod, della Cineteca Lucana e delle Teche Rai abbiamo ricostruito la storia dell’epoca. Il viaggio compiuto nel 2019 in Campania, Calabria, Lucania e Sardegna, con le telecamere e il drone pilotati da Luca De Marinis e Andrea Agostini, e gli incontri con le persone che in quei Centri portano ancora avanti il progetto della Lorenzetto, sono stati preziosi per la realizzazione del documentario.
Con “No Script No Film”, Writers Guild Italia porta all’attenzione dei poli di produzione audiovisiva l’importanza della figura dello sceneggiatore come non secondaria nell’attività filmica. Ritenete che sia un approccio indiscutibile e di primaria importanza?
Anna Maria: Assolutamente sì, e proprio per quanto si diceva prima sul processo di scrittura. Certo, la questione della maternità/paternità dell’opera resta una querelle annosa che spesso mette in ombra, se non ai margini, la figura dello sceneggiatore nel sistema di produzione cinematografica e televisiva. Basti pensare, riferendoci in particolare al documentario, che in molti regolamenti di festival dedicati al genere, in Italia, non si fa affatto riferimento allo sceneggiatore. Nella migliore delle ipotesi si parla di autore/regista… Modi e tecniche di produzione però pertengono all’industria e non alla creazione e sono storicamente determinati. La stessa figura del regista, in certi momenti della storia del cinema hollywoodiano, è stata oscurata dalla figura del produttore…
Simona: Senza script non c’è film, è di primaria importanza restituire centralità allo sceneggiatore: senza la costruzione dei personaggi, lo sviluppo dell’arco narrativo, i dialoghi non c’è la storia. Spesso è difficile distinguere i ruoli, perché dal momento in cui s’incomincia a girare il regista ha in mano la struttura del lavoro e sua è l’ultima parola, ma una buona collaborazione e l’approccio solidale al prodotto permettono di raggiungere un buon equilibrio. E io sono ancora stupita, e anche un po’ indignata, quando nei film e nelle fiction non si citano i nomi degli sceneggiatori.
Marilisa: In tutta la storia del cinema, anche nei movimenti che hanno esaltato il cinema più destrutturato dal punto di vista narrativo, alla base c’è qualcuno che su un foglio ha appuntato un’idea, ha discusso un personaggio, lo ha delineato la prima volta per costruirci intorno una storia. Alla base della nouvelle vague c’è la teoria del pedinamento di Zavattini. Tutto il cinema americano da quello classico alle serie tv di successo attuali punta sulla figura dello sceneggiatore per valorizzare il prodotto. Trovo fondamentale, come le fondamenta solide servono ad una casa stabile, che la WGI espanda nella società l’idea che all’industria delle immagini in movimento servono buoni sceneggiatori.