Un’Avventura
Carissima Isabella, il tuo ultimo lavoro, “Un’avventura” è al cinema. Ci puoi raccontare in un pitch la tua visione di questo musical atipico?
Un’avventura è la storia di due ragazzi molto diversi che, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, vivono il loro lungo amore nel tumulto di un percorso di crescita e cambiamento, quasi d’inversione valoriale, per poi scoprirsi però di nuovo vicinissimi grazie a quello stesso viaggio compiuto insieme.
“Acqua Azzurra, Acqua Chiara”, “Non è Francesca” e “Bella Linda” hanno segnato intere generazioni. Hai avvertito la responsabilità nell’accostamento narrativo alle immagini?
Certamente sì, ma ho avvertito anche la sfida e la bella opportunità di potermi lasciar ispirare da brani così potenti, ispirati, universali e diversi tra loro.
La selezione delle canzoni è stata fatta seguendo un criterio logico, cioè funzionale alla storia, o hai preferito inserire quelle che hai amato di più?
Sicuramente sono partita dai brani che ho amato di più, poi abbiamo fatto i conti con la realtà e la complessità dei diritti d’autore – non io ma la produzione, ovviamente – e poi c’è stata la riscoperta di canzoni magnifiche e inspiegabilmente un poco meno note come “Il vento”, “Ladro” o “Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto”.
Per me stare giorni ad ascoltare e riascoltare tutto il repertorio di Battisti e Mogol e scegliere tra tanti brani così forti ed emotivi e con un tale potere visivo e descrittivo è stata la parte più bella del percorso di scrittura.
Questa storia d’amore costruita intorno ai famosissimi brani scritti da Battisti con Mogol, ti ha creato problemi per quanto riguarda le licenze di utilizzazione degli stessi?
Come dicevo, non a me personalmente, ma so che la produzione ha fatto un grandissimo lavoro.
La prima cosa che mi è venuta in mente, è stato un insolito connubio tra “La La Land” e “Across the Universe”, e in alcuni momenti anche “Mamma mia”. Ti trovi d’accordo con questa mia affermazione?
Sicuramente sono film di cui chi scrive un Musical oggi non può non tenere conto; in realtà quando ho scritto Un’Avventura, La La Land non era ancora uscito. Ma “Across the Universe” e “Mamma mia” sono due film che integrano canzoni preesistenti ad una storia originale quindi mi hanno dato la speranza che un lavoro di quel tipo potesse portare a buoni frutti. Più ancora di quei due film però il mio riferimento costante è stato “Moulin Rouge”, un film che al tempo avevo molto amato e apprezzato per la sua grande libertà, vitalità e giocosità di movimento.
Gli anni 70’ sono stati un periodo di forte trasformazione in Italia dal punto di vista sociale, politico, ma soprattutto musicale. Dal momento in cui ti sei occupata della stesura del soggetto e poi della sceneggiatura, hai considerato da subito questo periodo come fonte di ispirazione?
Da subito ho deciso di ambientare la storia a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Se ci fai caso, il passaggio fra i due decenni avviene proprio a metà film. Sono due decenni trattati in modo stilizzato e simbolico, li ho scelti per raccontare l’anima duplice dei due protagonisti, entrambi sfidati dall’esigenza da un lato di amare seguendo l’istinto e il cuore e la libertà più totale, dall’altro lato di seguire le convenzioni sociali e il desiderio di
famiglia, matrimonio, stabilità. Queste due esigenze contrapposte sono ciò che davvero muove il film e la storia d’amore in tutta la sua dinamica profonda. E credo siano ciò che muove ogni coppia anche oggi. Ecco perché mi è sembrato giusto e attualissimo raccontarle nel loro conflitto costante e mai risolto, usando il contesto storico come mero detonatore simbolico.
Come hai scelto le location? Alcuni luoghi del Salento vengono evocati, ma in fase di scrittura hai deciso di mantenere il Sud Italia come un contesto astratto in opposizione a quello di una Roma grigia e non proprio solare? La variazione di scenario è una casualità, o una scelta descrittiva necessaria nell’altalenante relazione tra Matteo e Francesca?
La variazione di scenario è stata un punto fermo dall’inizio: provincia contro città, intese anche queste in un senso stilizzato e simbolico. Conservazione contro rivoluzione.
Attualmente è sul piccolo schermo “Baby”, la serie tv targata Netflix, di cui sei headwriter, autrice del soggetto di serie e della sceneggiatura del primo e dell’ultimo episodio. Da addetta ai lavori, come hai percepito l’avvento del colosso statunitense nel nostro paese, soprattutto nell’ottica di condizioni contrattuali degli sceneggiatori?
Sicuramente è un fatto positivo, negli Stati Uniti la figura dello sceneggiatore è molto più a fuoco di quanto non sia in Italia e le aspettative di questi interlocutori nei nostri confronti sono più precise, alte e sfidanti. Spero che il potere produttivo di Netflix e delle altre piattaforme internazionali in Italia cresca esponenzialmente, perché questa crescita corrisponderà senza dubbio al nostro rafforzamento come categoria.