Saremo giovani e bellissimi
“Saremo Giovani e Bellissimi” è l’opera prima di Letizia Lamartire, qui in veste di regista e sceneggiatrice, insieme a Anna Zagaglia e Marco Borromei, che è anche autore del soggetto. Il film è una produzione CSC Production e RAI Cinema e vede fra i suoi interpreti principali Barbora Bobulova, Alessandro Piavani, Massimiliano Gallo e Federica Sabatini. Dopo essere stato presentato nel concorso della Settimana Internazionale della Critica alla 75esima Mostra di Venezia, dove ha ottenuto il premio per la miglior colonna sonora, il film è ora nelle sale.
Cominciamo con un breve pitch del progetto.
Anna: Isabella e Bruno sono madre e figlio. Lei è un’artista che dopo essere diventata famosa giovanissima, con una sola canzone negli anni ‘90, non ha più inciso nessun album. Isabella si ripete che la causa di questo declino è stata la nascita di suo figlio Bruno, ma la realtà è che probabilmente non aveva più niente da dire. I due continuano a suonare in un locale di provincia, dove un amico di Isabella, innamorato di lei da sempre, permette loro di suonare tre volte alla settimana. Di pubblico, però, ne viene sempre meno. I due sono madre e figlio, ma tutti li scambiano per una coppia perché sono profondamente legati l’uno dell’altra: stanno sempre insieme, fanno qualsiasi cosa
insieme e non sembrano avere bisogno d’altro o di altri per essere felici. A partire da questa relazione poco convenzionale, il film racconta il distacco necessario che avviene tra i due. Un distacco difficile e doloroso come è sempre la fine del primo amore, ma fondamentale affinché Bruno possa crescere e diventare finalmente un adulto.
L’idea di partenza è tua, Marco, che ti sei recentemente diplomato al Centro Sperimentale di Roma come le tue colleghe. È forse nata tra i banchi di scuola?
Marco: Esatto. In realtà è nata proprio fra i banchi di scuola, e più precisamente nel contesto di un esercizio che ci era stato assegnato da una mia insegnante, Gloria Malatesta. Un giorno ci ha detto: “scrivete un soggetto su un film, un ipotetico figlio di Adele H, film di Truffaut”. Di quel film, la cosa che mi aveva veramente colpito è che tratta una storia d’amore ossessionante, quella della protagonista con un ufficiale. È ambientato nell’800, e lei è la figlia di Victor Hugo. E ancora di più mi aveva colpito questo rapporto che aveva col padre, come se volesse distaccarsene prima possibile per togliersi di dosso l’etichetta di figlia di Victor Hugo, tornando a essere una “vera persona”. Lui le chiedeva incessantemente di tornare a casa, mentre lei era partita per inseguire questo ufficiale. Quindi ho pensato “okay, faccio un soggetto ispirato a questa storia, su un ipotetico figlio di questa tipologia di donna: una donna che non sa stare sola senza un uomo, che prima era il padre e poi questo ufficiale”. “Sicuramente”, mi sono detto, “se dopo avesse un figlio maschio si attaccherebbe anche a lui, l’unico uomo che può avere accanto nella vita e che può impedirle di sentirsi più vecchia e di restare da sola”. Questa è, appunto, la base del personaggio di Isabella.
Letizia e Anna, come siete subentrate sul lavoro di Marco, prima a livello di scrittura e poi registico?
Letizia: Ho sentito mio questo film da quando ho provato un amore folle per i due personaggi, Isabella e Bruno, ovvero fin dalla prima lettura del soggetto. Il loro universo privato, questo rapporto che è un’eterna commedia, anche nel dolore della perdita, le loro fragilità e contraddizioni sono la vera forza del racconto e il mio intento era quello di scandagliare la profondità di questo legame. Ho cercato di guardare gli eventi con prospettive diverse, dall’alto, dal basso, dal dentro, dal fuori, mantenendo il doppio tono tra commedia e dramma, nella convinzione che in fin dei conti qualunque distacco tra genitori e figli sia un po’ come la fine di una storia d’amore e le relazioni sentimentali, lo sappiamo, spesso all’esterno appaiono buffe o ridicole, ricche di ripicche infantili e scelte dolorose. Inoltre, “Saremo giovani e bellissimi” è la sintesi dei due universi a me più cari: il cinema e la musica. Il soggetto mi è stato affidato da Elisabetta Bruscolini, anche per l’innesto musicale che già da principio era presente nell’opera e che quindi si collegava alla mia formazione in Conservatorio.
Anna: Ho letto il soggetto di Marco appena l’ha scritto, prima ancora di sapere che sarei stata coinvolta nel progetto, e mi è piaciuto molto. Io e Marco eravamo amici e colleghi, e nonostante frequentassimo anni diversi della stessa scuola avevamo già scritto diverse cose assieme. Con Letizia, nel frattempo, avevamo scritto due cortometraggi, che sono “Il Nostro Segreto” e “Piccole Italiane”. Il primo ha partecipato a moltissimi festival, mentre il secondo è stato presentato l’anno scorso alla Settimana della Critica di Venezia, rientrando poi nella cinquina dei Nastri. Di questi due corti avevo firmato sia il soggetto che la sceneggiatura. Questa fiducia reciproca credo sia la ragione per cui Letizia mi ha chiamata dopo essere stata coinvolta nel progetto, oltre all’affinità artistica che avevo già sperimentato con Marco. Il lavoro che in seguito abbiamo fatto sul film, si è mosso a partire dal cuore narrativo che era racchiuso nel soggetto di Marco, che abbiamo cercato di tradurre in una trama che andasse a seguire le evoluzioni emotive dei protagonisti. Sui personaggi abbiamo lavorato moltissimo, cercando di capire non solo chi fossero, ma anche chi fossero stati in passato. Non solo Isabella, ma anche Bruno, che è un personaggio molto interessante perché rappresenta quel maschile che non viene quasi mai raccontato, quello che non riesce a ritrovarsi nel corrente modello eterosessuale, ma neanche in quello omosessuale. Profondamente emotivo, sensibile, insicuro e per niente virile, non ha modelli di riferimento e si sente costantemente inadeguato mentre cerca di trovare la propria strada in un mondo in cui vanno invece pian piano affermandosi modelli femminili molto forti.
In questo film la musica è nevralgica, fondamentale, perfino cardine dal punto di vista narrativo (e non a caso è stata pure premiata dal Soundtrack Stars Award). Come si è svolto il lavoro di scrittura, tenendo conto di tutto questo? Musica e sceneggiatura sono andati di pari passo, o forse no?
Letizia: Sono state due le fasi di lavorazione per la stesura delle musiche. Una prima delle riprese del film, ovvero le canzoni scritte per ognuno dei personaggi principali, e successivamente la colonna sonora a film montato. Le canzoni scritte da Matteo Buzzanca danno una caratterizzazione specifica a Isabella, Bruno e Arianna e scandiscono bene la differenza generazionale. Nella costruzione dei brani di Isabella, Matteo ha proposto un immaginario sonoro dei primi anni Novanta, ispirandosi alle hit radiofoniche di quel periodo per il brano Tic Tac, e le atmosfere esotiche di Battiato per Le Spiagge di Damasco. Le canzoni di Bruno sono minimali e intime come i piccoli segreti che il ragazzo custodisce dentro di sé. Lo stile di Arianna, invece, ha un suono rock dalle venature new wave, rafforzando la grinta e qualche sfumatura dark del personaggio. Durante i momenti musicali l’azione non solo non si interrompe, ma incarna le relazioni sostituendo dialoghi, gelosie, rotture e riappacificazioni. Di qui la necessità di avere delle musiche originali, brani che fanno capo a due generi molto distanti tra loro, così come lo sono i due mondi che in questo film si scontrano.
Marco: Inizialmente il soggetto di partenza, ma proprio alla primissima fase, aveva comunque la musica e madre e figlio cantavano insieme. Erano, però, una cover band di Frank e Nancy Sinatra. Forse una cosa un po’ didascalica. L’idea di rendere Isabella una meteora del passato non è stata mia, ma è venuta soltanto dopo, lavorando tutti insieme. Era diventata una specie di Vanessa Paradis, insomma, con il suo singolo e l’immaginario della post-adolescente sessualizzata dal videoclip, con l’aspetto ancora da bambina, ma ammiccante. Non avevamo la canzone, però sapevamo che doveva essere una canzone del genere, fino a che Matteo Buzzanca non ha creato Tic Tac.
Anna: Il lavoro che abbiamo fatto sulle musiche è servito proprio a indicare che tipo di musica fanno, che tipo di canzoni, che tipo di testi, che tipo di immaginario vogliono evocare.
E questo lo avete delineato proprio voi.
Anna: Sì, perché era importante all’interno della drammaturgia. Abbiamo definito non solo la tipologia di musica a seconda dei vari personaggi e in quanti e quali momenti era presente nel film, ma anche cosa succedeva durante questi momenti musicali. Il nostro film non è un musical, i personaggi non si parlano quando cantano, ma allo stesso tempo non volevamo spezzare la narrazione, costringendola a fermarsi durante l’esecuzione dei brani. Per questo abbiamo cercato di trovare il modo di far sì che questi momenti si integrassero al racconto, diventando rilevanti sia per le dinamiche che generano tra i personaggi, sia per le emozioni e le tensioni che la musica permette di far emergere, portando comunque avanti l’azione.
Marco: Sapevamo che alla rottura tra Isabella e Bruno ci sarebbe stato un momento in cui lei avrebbe cantato una ballata triste, da sola, che poi è diventata Le Spiagge di Damasco, un simil-Battiato. Oppure quando lei va a vedere per la prima volta il concerto di suo figlio, di cui lui non l’aveva avvisata, non vediamo altro che l’esibizione, ma allo stesso tempo abbiamo un lungo primo piano su di lei, che si mostra contemporaneamente invidiosa, gelosa, e anche orgogliosa di lui. Senza battute. Tutto affidato alla regia e a Barbora.
Letizia, avete messo in scena personaggi complessi, sfaccettati, di certo non banali. Personaggi che, oltre a richiedere un’interpretazione ben studiata, dovevano anche confrontarsi con lo scoglio dell’interpretazione musicale. Come si è svolta in questo senso la scelta del cast e, successivamente, il tuo stesso approccio alla direzione degli attori?
Letizia: Il lavoro fatto con gli attori è stato particolarmente difficile, perché i personaggi sono musicisti, abbiamo lavorato sugli strumenti, le posture sul palco, la voce. La mia piccola esperienza al Conservatorio mi è stata utilissima per la messa in scena; ho
deciso di insegnare io stessa ad Alessandro Piavani a suonare la chitarra, perché era un modo per lavorare sul personaggio e per studiare i brani. Non mi bastava conoscere perfettamente la melodia e il testo, dovevo studiare l’armonia e l’arrangiamento per poter inquadrare e montare i momenti musicali al meglio. Abbiamo chiesto da subito la partecipazione di Barbora Bobulova: ero convinta che la sua eleganza, in contrasto con la passionalità di Isabella, avrebbe dato vita a qualcosa di unico. Che dire… È stata straordinaria. Oltre alla totale disponibilità nei miei confronti, ha amato Isabella in ogni sua sfaccettatura. Il suo impegno maggiore è stato quello di rendere il suo personaggio amabile, e non era facile visto quello che combina Isabella nel film. È stata capace di restituirle una fragilità e un’ingenuità adolescenziale, che permettono di creare quell’empatia giusta per il personaggio. Quando ho visto Alessandro per la prima volta ho detto: “è lui!”. Oltre alla bravura sono state la sua sensibilità e la gentilezza dei suoi tratti a convincermi da subito. Ha sorpreso tutti anche nel canto, dimostrandosi un interprete non comune.
Il progetto è nato in seno al CSC, sia come produzione ma soprattutto come sodalizio fra voi autori, il comparto registico, come anche attoriale. Federica Sabatini, infatti, è vostra amica, la conoscevate già, e ha finito per calarsi perfettamente nel ruolo di Arianna. C’è stato, in qualche modo, un tentativo di costruire il personaggio intorno all’attrice o forse no? Altrimenti, come avete pensato a lei?
Anna: No, il casting di Federica è stato fatto a posteriori.
Marco: Sapevamo che il personaggio doveva essere in quel modo, avere quelle fattezze fisiche, quella grinta, quella personalità. Lei è completamente diversa dal personaggio, come persona. Quindi è stata davvero molto brava nelle sue capacità attoriali, proprio nel dare questa immagine così calzante a un personaggio così differente da lei, per com’è veramente.
Vi siete impegnati molto nella creazione di personaggi complessi, sfaccettati, ma sembra ci sia stato anche un grosso impegno nell’inserire delle tematiche importanti, diverse dal solito. È un film molto ricco di tante cose da dire. Vorrei chiedervi quali sono per voi quelle che vi premono di più e in cui avete investito più forze.
Anna: Oltre al personaggio di Isabella, che gira intorno all’ansia di invecchiare e di non avere più niente da dire, e su cui ci siamo molto concentrati, per quanto riguarda le tematiche più generali abbiamo riflettuto molto sul tema della relazione incestuosa fra i due, che è stata frutto di lunghe discussioni. Ci siamo chiesti se fosse il caso di andare fino in fondo e abbiamo anche scritto una stesura in questa direzione, per quanto l’incesto non fosse mai esplicito. A un certo punto, però, ci siamo resi conto che si trattava di un evento forzato, che si mangiava tutto il resto, e ci siamo detti: “okay, se questo accadesse nella realtà, basterebbe che i due avessero solo l’idea dell’incesto, per mandare all’aria tutta la fantastica relazione che si sono costruiti negli anni”. La scena del ballo, che forse è quella che preferisco, è il momento in cui loro si avvicinano così tanto che è come se accadesse tutto, anche se in realtà non accade niente. Dopo quel momento, infatti, tra i due è necessario il distacco, perché si sono avvicinati troppo e ormai non è più possibile per loro tornare indietro.
Marco: Al di là del compito fatto per la scuola, ho scritto questa storia anche per raccontare proprio questo tipo di relazione. La relazione fra una madre che ha avuto un figlio quando era molto giovane e il figlio stesso. Un legame che appunto può essere strano, a tratti morboso, ma che in realtà è puro e innocente, se non che col passare del tempo, ovviamente, per diventare grandi, si deve decidere di andare incontro a una separazione forzata, ed è dolorosissimo. Non so se è una cosa solo italiana o universale, perché si sa che le mamme italiane sono un po’ così.
Parliamo del processo produttivo a cui siete andati incontro, invece. Dal soggetto al film; dal Centro Sperimentale a Venezia.
Letizia: Il tutto nasce con una prima stesura posata sul tavolo di una scrivania, accompagnata dalla voce di Elisabetta Bruscolini che mi chiede: “Lo faresti un film che non hai scritto tu dal principio?”. Leggo questa prima stesura, mi piace… e mi piace tanto. Incontro Marco Borromei, e da subito nasce il feeling giusto: siamo d’accordo su quello che c’è da sistemare e su cosa puntare. Cominciamo a scrivere e Anna, mia collaboratrice dai tempi della scuola, entra nel progetto, mentre Federica Pontremoli accetta di rivestire il ruolo di supervisore. La fondamentale presenza della musica nel film richiede una specifica collaborazione, e il gruppo Sugar incarica Matteo Buzzanca, uno degli autori e produttori più affermati della squadra, come autore della colonna sonora originale. Nel frattempo, il cast attori è deciso e cominciano le prove e la preparazione. Gli ultimi accorgimenti per la revisione dialoghi vengono dati da Lisa Nur Sultan, e Massimo Cantini Parrini accetta con entusiasmo di supervisionare il reparto costumi. Poi la parte più bella: il set. Ho solo un modo per definire questa esperienza: “una grande fortuna”. Non solo ho fatto un film, mi è stata anche data la possibilità di scegliere con chi farlo. Dietro la macchina da presa c’è una squadra e sono i miei compagni di scuola, in cordata per essere sempre giovani e bellissimi. Per finire, la Settimana Internazionale della Critica ci comunica che saremo a Venezia.
Marco: Con questo soggetto avevo vinto una borsa SIAE di sviluppo, ed è lì che Federica Pontremoli mi ha selezionato. Alla fine di questo laboratorio avevo scritto una prima stesura della sceneggiatura. Poi la CSC l’ha letta e si è dimostrata interessata. È stato allora che il progetto è arrivato fra le mani di Letizia. Non la conoscevo bene, prima, ma sapevo che aveva fatto il Conservatorio. Trattandosi di un film musicale, lavorare insieme mi sembrava la cosa più ovvia. Abbiamo cominciato, ed è subentrata Anna. Nel frattempo, abbiamo partecipato ai bandi del Ministero, e si è aggiunta la Film Commission dell’Emilia Romagna. Il film era stato scritto per un’ambientazione generica. Sapevamo che non si trattava di una metropoli, sapevamo che non era un paesino di 200 persone, ma doveva essere una realtà di provincia, e infatti la scelta è ricaduta su Ferrara. Barbora e Alessandro sono entrati abbastanza presto nel progetto, quindi hanno avuto la possibilità di studiare benissimo i personaggi, conoscersi, e provare fra di loro.
Letizia, tu e Anna avete già goduto del successo tutto veneziano di “Piccole Italiane”, cortometraggio in concorso alla Mostra del Cinema dell’anno scorso, sempre per la Settimana Internazionale della Critica. Ci racconti, in un confronto, l’esperienza di quest’anno rapportata a quella dell’anno precedente?
Letizia: Credo che la partecipazione di “Piccole italiane” l’anno scorso sia stata una sorta di cuscinetto che mi ha permesso di affrontare con più tranquillità l’esperienza di quest’anno. Per quanto sia meraviglioso ed emozionante stai pur sempre presentando un’opera alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia, ed è una bella responsabilità. Sono felice di non aver deluso le aspettative dei selezionatori dopo il cortometraggio, e devo molto alla Settimana della Critica. Non lo dimenticherò mai.