Annecy 2017
Quasi assente l’animazione italiana
Annecy 2017. Il festival d’animazione più importante d’Europa ha invaso anche quest’anno dal 12 al 17 giugno una piccola cittadina della Savoia francese, ad appena due ore di macchina dall’Italia.
In 40 anni la programmazione lungimirante degli organizzatori, appoggiati dalle istituzioni, ha condotto una rassegna di nicchia a diventare un appuntamento imprescindibile che, in questa edizione ha attirato più di diecimila persone. Il festival si divide in due sezioni: il mercato, denominato MIFA, e le proiezioni, principalmente al Bonlieu, un multisala dotato di una fornita libreria di settore.
I due stabili distano circa 20 minuti a piedi quindi ė importante per gli ospiti programmare bene la giornata; il rischio altrimenti ė quello di correre da una parte all’altra e arrivare sempre in ritardo.
Il biglietto di ingresso al MIFA costava intorno ai 500 euro, ma gli italiani hanno potuto approfittare di uno sconto, passando attraverso l’ICE.
L’abbonamento al festival invece costava 80 euro e ha permesso l’ingresso a tutte le proiezioni e a numerose attività collaterali.
Per chi ė abituato ai festival di cinema saltano subito all’occhio due fatti, peculiari dell’animazione: l’assenza di attori, per ovvie ragioni, e lo scarso protagonismo dei registi. Il regista in questo mondo è un tecnico come gli altri. La parte del leone la fanno gli artisti visivi, suddivisi in una pletora di ruoli: story artists, layout artist, character designer, animatori e via dicendo. Anche gli scrittori sono ben rappresentati, sia come autori di libri, dal quale attingere per le storie, sia come sceneggiatori. La SACD, società di collecting come la SIAE, ha molti spazi a disposizione e organizza incontri e conferenze, anche in collaborazione con La Guilde degli sceneggiatori.
Il panorama italiano è desolante. Nel programma del festival di quest’anno, delle dimensioni di un volume di enciclopedia, sono presenti solo quattro nomi italiani.
Dario Imbrogno, autore di un bel corto autoprodotto Ossa presente in concorso, Victoria Musci, giovanissima che si propone nella sezione pitch in cerca di finanziamenti per un corto (Tufo) su un testimone di mafia in Sicilia, ma solo grazie all’intermediazione di un produttore francese, e il documentario di Marco Bonfanti sulla carriera di Bruno Bozzetto. Fine.
Purtroppo sembra uno specchio, amaro ma veritiero, della situazione in cui versano le nostre produzioni: retrospettive su un passato glorioso, piccole produzioni autonome di artisti validi ma senza capitale e progetti in cerca di finanziamenti costretti a passare dall’estero.
E’ da qui che dobbiamo partire. Dalla presa d’atto di una debacle totale: l’assenza di qualsiasi prodotto italiano maturo, serie tv o film, in un festival traboccante di proposte.
Come siamo arrivati a questo?
Il problema è comune ad altri settori di questo nostro paese: la mancanza di una struttura industriale. In Francia il paese agisce da decenni come un sistema con molti ingranaggi ma un fine comune. I risultati sono palesi, anche gli americani ora vengono qui in cerca di collaborazioni, per non parlare della Cina, quest’anno paese ospite accolto con tutti gli onori. Basta pensare al successo della serie di film Cattivissimo me di capitale americano con la Illumination, ma realizzati in Francia dalla McGuff con talenti europei.
Per riuscire anche noi in questa impresa non serve inventare niente, basterebbe copiare dalla Francia.
Vediamo settore per settore:
Artisti: le scuole francesi sono ottime, Le Gobelin di Parigi sforna i migliori talenti del mondo. Le grandi produzioni americane pescano normalmente da qui, a testimonianza della qualità. Il festival stesso promuove i saggi degli allievi dandogli ampia visibilità nelle proiezioni. La sinergia scuole-festival produce opportunità. Le grandi produzioni hanno a disposizione le sale per fare scouting con vantaggio e soddisfazione reciproca. Anche in Italia abbiamo buone scuole ma faticano a collegarsi con il mondo del lavoro, spesso i programmi sono pensati più basandosi sulle competenze dei docenti che in relazione alle richieste delle produzioni.
Produttori: i produttori francesi possono contare su una serie di possibilità con cui montare il loro budget. Molte televisioni oltre a fondi, statali e regionali, che investono con costanza nel settore. Il patrimonio pubblico tra l’altro è incrementato costantemente da un meccanismo virtuoso: poco meno di un euro per ogni biglietto staccato che va a finanziare un fondo destinato alle produzioni francesi. La regolarità dei finanziamenti, indipendente dagli umori della politica, permette una programmazione accurata. Il fatto che un film abbia successo è un biglietto da visita favorevole per accedere successivamente a nuovi finanziamenti, in un’ottica di crescita dimensionale delle produzioni.
La situazione italiana invece vede molti produttori di piccole dimensioni. La maggior parte sono autori diventati produttori loro malgrado, per riuscire a finanziare i propri progetti. La mancata divisione di ruolo tra autore e produttore ha portato a una distorsione del mercato, incapace di crescere e di selezionare le proposte migliori. I finanziamenti inoltre arrivano da un solo ente, la RAI. Le produzioni mirano a coprire i costi di produzione ma difficilmente, escluso pochi casi eccellenti, riescono a distribuire e vendere all’estero.
Attualmente la situazione è tale che la RAI preferisce finanziare gli studi francesi quando si tratta di partecipare a coproduzioni internazionali mentre finanzia gli italiani solo per progetti dal respiro locale, legati al nostro mercato interno. Speriamo che il nuovo corso RAI, presentato proprio ad Annecy, da Luca Milano, appena nominato direttore di RAI Ragazzi porti rapidamente dei benefici. E’ stata infatti presentata una riorganizzazione della struttura in quattro settori, produzione originale e co-produzione, acquisizioni, produzione in house, produzione per il web e le nuove piattaforme, sfruttando anche lo spazio di RAI play. Il direttore ha parlato anche di centralità del contenuto e di innovazione, di riduzione dei tempi tra realizzazione e messa in onda, di avviamento di piani di marketing.
Noi ci contiamo.
Abbiamo bisogno che qualcosa cambi perché per gli sceneggiatori la situazione è critica, la nostra capacità di lavorare con l’estero è molto limitata rispetto ai disegnatori e agli animatori. Scrivere in una lingua diversa da quella madre complica molto il lavoro e poche produzioni sono disposte ad assumersi l’onere. Per la maggioranza di noi quindi è imprescindibile partire da una produzione italiana, per poi eventualmente giungere, ma solo successivamente, all’estero.
Quali soluzioni?
Ce ne sono molte, le prime sono legate alla politica ma ogni attore della filiera dovrebbe modificare il proprio modus operandi.
Tutti i broadcaster che operano in Italia dovrebbero rispettare le quote di produzione di legge, che vengono spesso evase .
Il finanziamento di progetti internazionali, se fatto con fondi italiani, dovrebbe essere offerto in termini di service, ovvero legare l’erogazione del finanziamento al coinvolgimento nella produzione di studi italiani.
I produttori italiani dovrebbero scegliere se essere autori o produttori. La distinzione di ruolo permetterebbe una crescita, selezionando di volta in volta i progetti migliori e abbinandoli a registi e grafica più adatti al progetto, pescando anche oltre i confini dello studio. Il mercato inoltre non è uno spauracchio da temere ma un luogo di opportunità. Parlando con i produttori cinesi è apparso chiaro che, ad esempio, loro pensano in termini di mercato, non di finanziamenti. La produzione per loro è solo il primo step, mentre per noi la storia di una produzione termina spesso con la sua consegna al committente.
Gli artisti grafici si dovrebbero svincolare da un immaginario legato solo alla Disney che fu. Il mondo dell’animazione è in continuo movimento ed evoluzione. Le proposte italiane invece sembrano per lo più vecchie agli occhi esteri.
Gli scrittori devono osare di più. L’animazione è un linguaggio complesso, non sono solo “banalità per bambini”. Tanto per fare un esempio i pitch a cui ho assistito avevano per tema: la storia di un bambino soldato ingaggiato da truppe jihadiste nell’africa orientale, i problemi familiari di una donna dopo la scoperta di avere un cancro al seno, un musical ambientato nella Chicago del proibizionismo. Sto parlando di proposte di film, non di cortometraggi.
Il pubblico deve sprovincializzarsi. L’animazione non sono cartoni animati natalizi per bambini ma un linguaggio universale, capace di raccontare storie di ogni tipo. Nel resto del mondo è normale andare al cinema per vedere un film, che sia in animazione è solo una scelta tra le tante, come girare in bianco e nero o fare un film di genere
Personalmente, mi sembra urgente costituire un tavolo comune al quale far sedere i rappresentanti di tutti i settori in gioco e partire con una programmazione seria e a tutto tondo: dalle scuole, ai festival, agli spazi nei palinsesti, obblighi di investimento, certezze nel medio periodo. servono scelte e indirizzi chiari che permettano di attrarre investimenti. Ne varrebbe la pena perché in tutto il mondo l’animazione porta soldi e lavoro, e sarebbe nell’interesse di tutti far ripartire il motore.
Enrico Caroti Ghelli
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