L’Italia è indietro e ci vuole restare
Note in margine al convegno North meets South
È un fatto: come ha ricordato nel secondo panel, Luciano Sovena, presidente della Film Commission Lazio, tutti e tre i tre film italiani invitati a Cannes sono frutto di coproduzioni internazionali.
Il sito dell’Istituto Luce elenca tutte le società coinvolte: la Francia è presente in tutti e tre i progetti, ma ci sono anche l’Inghilterra e la Svizzera.
Il racconto dei racconti: Archimede, Le Pacte, Recorded Picture Company, Rai Cinema, con il contributo del MiBACT, in associazione con Gamenet, Banca Popolare di Vicenza, Morato Pane, Amer, Gruppo Barletta, Cinefinance, con il sostegno di Eurimages, Regione Lazio, Fondazione Apulia Film Commission, Toscana Film Commission
La Giovinezza: Indigo Film, Medusa Film, Barbary Films, con il contributo del MiBACT, C-Films, Pathé, Number 9 Filmscon, con il sostegno di Eurimages
Mia madre: Sacher Film, Fandango, Le Pacte, Rai Cinema, Arte France Cinéma, in associazione con Ifitalia Gruppo BNP Paribas, con il sostegno di Eurimage
Basta leggere questo elenco per poter sostenere che il mondo è già cambiato, che il cinema e la serialità tv italiana devono ragionare in termini di Europa, sia per l’acquisizione del denaro necessario a produrre, che per allargare il pubblico a cui si rivolgono.
E invece no: l’Italia resta indietro. Riccardo Monti dell’ICE (l’agenzia governativa per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), ha denunciato il nostro livello di arretratezza: in un paese con un grande surplus di esportazione sui prodotti, su un valore totale di 10 miliardi del settore cinema, l’esportazione è minuscola.
Ecco i dati, come appaiono sintetizzati sul sito dell’ICE
Siamo un paese in palese e umiliante imbarazzo, schiacciati tra paesi grandi di grande diffusione e paesi piccoli, come le nazioni del Nord Europa, che hanno però un’industria culturale capace di affrontare la sfida internazionale.
L’hanno detto tutti: i paesi nordici sono più avanti a noi di dieci anni…
Ad esempio, perché hanno varato leggi diverse che noi ancora disdegniamo. Dogma 95 – ha suggerito Lidia Ravera (assessore alla cultura della Regione Lazio) – non avrebbe potuto esistere senza un cinema finanziato dallo stato, con una tassa di scopo: per essere originale te lo devi permettere.
Originale. Tanto per la cronaca, vent’anni fa il Manifesto di Dogma questo dichiarava: “Oggi infuria una tempesta tecnologica, da cui conseguirà la definitiva democratizzazione del cinema. Per la prima volta chiunque può fare un film. Ma più i media divengono accessibili, più si fa importante l’avanguardia.”
Più si fa importante l’avanguardia. Il mondo degli autori è un mondo fertile, ha aggiunto lo speranzoso Monti: dobbiamo solo mettere in contatto gli autori e poi le cose succedono…Ed è esattamente quello che ha fatto Writers Guild Italia organizzando le due masterclass sul crime.
La scrittura va messa nelle condizioni ottimali, ha insistito Carlo Mazzotta, presidente della WGI, nel terzo panel. Come autori non ci sentiamo, non siamo, diversi. Neanche il sistema produttivo nordico è molto diverso dal nostro. Abbiamo solo bisogno che la nostra creatività non sia schiavizzata dall’esigenza di soddisfare quel mercato interno che i dati dell’ICE danno per esiguo.
Non è un problema di eccellenze. Il nostro problema è uscire dalla morta gora della ripetizione, ha ribadito Lidia Ravera.
Stefania Ippoliti del Coordinamento Nazionale delle Film Commission ha alimentato il fuoco della speranza: abbiamo gli strumenti per coprodurre, siamo in grado di spiegarvi come si accede ai fondi pubblici, come si può fare a trovare le locations. Possiamo aprire ai produttori il confronto con l’artigianato e l’impresa locale. Il nostro lavoro è favorire, semplificare: siamo pubblici, ma abbiamo l’atteggiamento della società privata.
L’Europa è il continente che ha prodotto più cinema nel 2014, ha dichiarato ancora Silvia Costa, presidente della Commissione Cultura UE.
Eppure… A gettare una secchiata d’acqua gelida sulle speranze di tutti è arrivato Riccardo Tozzi, presidente ANICA, che pure con Cattleya ha prodotto in tv le novità di Romanzo criminale – la serie e Gomorra-la serie. E’ stata una sequenza di dichiarazioni e poi rapide auto smentite, che hanno fotografato il presente, ma non prospettato il futuro.
- Nessun cinema vende all’estero… Ad esclusione del cinema francese, che ha fatto un enorme lavoro di comunicazione, mentre l’Italia non ha mai fatto promozione seria. (Quindi, potremmo cominciare a farla?)
- La tv generalista è per sua natura domestica, il cinema è il mondo del doppiaggio… Ma la pay tv è lo strumento culturale della globalizzazione e il suo pubblico si è abituato ai sottotitoli (quindi, possiamo pensare che anche il pubblico italiano evolva?)
- La pay tv chiede un prodotto di genere, la nuova serialità della pay tv avrà riflessi sul cinema e sulla tv generalista, ma il genere impedisce la contaminazione melò che in Italia tanto usiamo… (e perché dovremmo continuare ad usarla?)
- Il modello produttivo della nuova serialità è lo showrunner, l’incarnazione digitale dell’autore, ma… il protagonista in Italia è la casa di produzione, lo showrunner deve essere collettivo, la scrittura deve essere sottomessa alla visione di un regista… (Che è il motivo per cui facciamo tutti prodotti simili e non evolviamo)
Daniele Cesarano, per la WGI, ha rilevato l’incoerenza di alcune di queste affermazioni e posto in chiusura (nei pochissimi minuti concessi) due domande: com’è possibile che si dichiari il genere (come effettivamente è) il veicolo dell’internazionalità e poi si affermi che le tv generaliste non possono specializzarsi nei generi? E com’è possibile dire che per il successo di una serie serve la visione unica di uno showrunner e poi pretendere che questo showrunner sia un collettivo?
Michele Zatta, per la RAI, ha ammesso che le co-produzioni si contano sulla punta delle dita, che non è questione di sistema ma di volontà, di possibili incontri nati da una sola lettera come è stato per Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, e ha lanciato un’altra speranza: la Rai sta cambiando pelle…
Più concreti, come al solito, i produttori dei paesi nordici, che hanno cominciato a collaborare negli anni ’50, prima ancora che nascesse la Comunità Europea.
Il primo passo – visto che i singoli territori erano piccoli – è stata l’accettazione di una realtà linguistica più ampia dei confini nazionali: le lingue nordiche sono comprese da tutti, possono essere considerate varianti di una sola lingua. Nessun doppiaggio, dunque.
Il passo successivo è stato intervenire con fondi e premi statali: sono stati individuati cinque sistemi di finanziamento, poi entrati in Eurimages.
Il modello nordico è semplice, si basa su tre elementi imprescindibili: governo, produttori e parte artistica. La parte artistica è rappresentata dalle due figure del regista e dello sceneggiatore. Si cercano storie che abbiano valore culturale in modo che il sostegno sia dato a un prodotto che possa rivelarsi artistico. Documentari, film, fiction, games… Non importa differenziare o privilegiare i prodotti, è l’insieme del finanziamento che serve.
Capofila dei progetti è stata – tradizionalmente – la Danimarca, che così ha cominciato, da sola, a incassare 7 euro per ogni euro speso: sono arrivati i soldi per rendere grande il cinema danese e adesso, si dovrà trovare un modo più equilibrato per ridistribuire gli incassi fra tutti. Hanno definito il loro sistema europudding.
E lo sceneggiatore Nikolaj Scherfig, che ha condotto una delle nostre masterclass, ha detto che sarebbe bello pensare a una serie italo-danese sul Vaticano e la corruzione delle banche…
Voi capite, sì, come si ragiona qui e come si ragiona altrove?
A cura della redazione
1 commento