Infinite riscritture
Scrivere un film
Io ho la percezione che le riscritture di un film siano per certi aspetti infinite.
Perché l’idea, già dal momento in cui nasce a quando diventa soggetto, subisce mille manipolazioni. A sua volta, il soggetto nel percorso che lo porta a diventare sceneggiatura, subisce cambiamenti radicali. E così la sceneggiatura, prima di arrivare al set, subisce inevitabilmente delle modifiche anche molto importanti, via via che si definisce il cast, che si scelgono i luoghi… Talvolta i luoghi ti costringono a cambiare delle cose, a togliere, ma anche a perdere e a guadagnare. Le riprese sono un’altra riscrittura, nel rapporto con gli attori, con gli imprevisti… La sceneggiatura deve servire a favorire l’energia che si sprigiona sul set. Il montaggio è un’ulteriore riscrittura fondamentale e poi il suono… è una fase importantissima del film, la si può definire una delle tante riscritture.
Un’altra scrittura è la fotografia: una volta la si faceva sul set. Oggi si finisce spesso di farlo al correging e ci si disinteressa di farlo durante le riprese. Un po’ si abusa. C’è una sopravvalutazione della tecnologia. Le fondamenta della fotografia mi piace impostarle mentre giro. Non è salutare pensare di riscrivere la fotografia poi…
E poi c’è la percezione che il pubblico ha del film. E’ una riscrittura che non si placa mai. Cerchi di fare un film che faccia ridere e ti dicono che hai realizzato un film drammatico… Vuoi fare una sequenza che per te non significa nulla e gli altri ci trovano un sacco di significati. Tu fai un film che pensi sia completamente diverso dagli altri che hai fatto e gli altri ci trovano mille fili rossi e ti dimostrano che hai fatto lo stesso film che avevi già fatto…
Tenere insieme il film
Quando stai girando il film ti trovi immerso in una grande tensione che comporta fatica fisica (ed è facile da capire) ma soprattutto fatica psicologica. Perché tu sei immerso in quel mondo, in quella storia e sia che tu stia girando una sequenza, o una semplice inquadratura di quella sequenza, tu devi essere costantemente, in ogni momento della giornata, sintonizzato con tutto ciò che riguarda la storia del film nel suo complesso. Perché ti arrivano le domande di coloro che stanno preparando quello che si dovrà girare poi, il giorno o la settimana dopo. Il piatto lo vuoi bianco o celestino? Tu non hai molto tempo per rispondere e devi dare una risposta che non può essere slegata dal resto del film. Ecco questo personaggio che piatto deve avere davanti? Il celestino fa bene alla psicologia del personaggio? Tu lo devi sapere, perché il personaggio lo conosci. Bianco. Devi rispondere in pochi secondi. Non puoi dire: fammici pensare… E poi arriva il costumista: Preferisci chiffon o tulle? Tu devi sapere tutto del tuo film, sia ciò che metti in scena, ma soprattutto anche quello che non sarà visualizzato. Un attore può chiamarti perché ha un dubbio sulla battuta… e tu devi essere pronto su tutto il fronte del film. Ed intanto è già cominciata anche la fase di post produzione. Ti chiama il montatore… Ma lì, preferisci cominciare col totale o col primo piano? Non puoi tenere fermi i tuoi collaboratori. Questa è la cosa faticosa.
E poi nel pomeriggio, mentre stanno per finire le riprese, senti arrivare gli uomini della produzione… Te la senti di venire a fare un sopralluogo?
Dormi, dormi pochissimo. L’ho chiesto: succede anche ai miei colleghi. Perché mentre ti rilassi, ti vengono le idee migliori. Perché tu ti sei portato appresso tutto il film, tutto quello che riguarda i personaggi, sia in quello che verrà visualizzato che nel sottotesto.
Quindi, quando il film finisce tu hai un’esperienza di crollo. Se la mattina dopo non vai in sala montaggio per affrontare un’altra riscrittura, puoi dover affrontare una depressione tipo quella post-partum. Ti si svuota la vita, ti si svuota tutto. Il montaggio diventa un’ancora di salvezza.
La bellezza del nostro mestiere è che cambia continuamente il codice del tuo comportamento: scrivi e puoi stare pure un anno da solo, seduto e alla fine non riesci neanche più a muoverti, ti si accrocca tutto. E poi, improvvisamente, cominci ad andare in giro per il mondo a fare sopralluoghi, per mesi… Sul set non ti siedi mai. La mitologia della sedia del regista è una cosa che non mi appartiene, non mi sono seduto mai. Poi arriva il montaggio, che è più vicino alla scrittura. E poi arriva la promozione… E’ un cambiare continuamente, che io considero vivificante, ma capisco che possa risultare doloroso.
La squadra
Il set è una squadra, un mondo che hai composto tu, in base a una serie di ragionamenti. Tutte queste scelte talvolta portano ad un’armonia e allora tu senti di avere in mano una struttura compatta, agile, che ti fa risparmiare tempo, che puoi osare. Certe volte quest’armonia non c’è, alcuni vanno a una certa velocità, altri arrancano. E non riesci ad essere così incisivo come la tua volontà ti suggerirebbe di essere.
Truffaut diceva: il cinema ti costringe a convivere con persone che nella vita normale non saluteresti nemmeno. Ed è vero: con qualcuno magari non ti intenderesti su niente, ma sul lavoro è giusto. Poi, finisce il film e ci si perde. Magari ti ritrovi due anni dopo. E’ curioso. In genere, è gente straordinaria, che sposa quello che fai, che cerca di dare il meglio. Talvolta gli chiedi delle cose che li mettono in grande difficoltà… come una volta che chiesi una modifica ad un costumista che stava lavorando per la messa in scena di un’opera a Verona. Solo più tardi mi ha rivelato che lo avevo gettato nella disperazione, che non sapeva come fare. La logica tua e del tuo film è come un treno che va a velocità supersonica e schiaccia qualunque cosa trova davanti e non puoi fare niente per fermarla…
Da dove nasce i’idea, come si fa a capire che è il film giusto.
Ognuno ha il suo sistema. Hitchcock andava in ufficio, comprava tutti i gialli che erano usciti, un po’ li leggeva lui, un po’ li faceva leggere alla sua segretaria e ai suoi assistenti…
Il film può nascere da qualsiasi cosa, per esempio da un’immagine… che vedi sulla carta stampata o attorno a te. Può nascere da una fatto di cronaca, o da un elemento di quel fatto di cronaca che ti fa scattare l’idea di qualcos’altro. Può nascere da un ricordo, da una lettura, da qualcosa che capita a te o che senti raccontare dagli altri. Da un’esperienza.
Nel 1977 fui chiamato dal mio datore di lavoro, un gestore di sale cinematografiche, lavoravo da lui come proiezionista. Aveva un cinema che era nato negli anni venti e che da cinque anni aveva chiuso. Aveva deciso di vendere l’immobile e voleva svuotarlo; mi disse smonta tutto, quello che ti serve prendilo, il resto lo buttiamo. Sono stato tre giorni dentro questo cinema, circondato da rigattieri e operai che smontavano le sedie di ferro, le appliques, le tende… Era tutto sporco. Solo lo schermo, coperto di polvere, sembrava più bianco di quando il cinema era aperto, che era color tabacco. Stando lì ebbi la sensazione che sento che tutti hanno quando… Totò da grande entra nel cinema. Bellissimo, si potrebbe fare un film su un cinema? Poi, l’ho fatto undici anni dopo. Conoscevo molti proiezionisti, ho raccolto le loro esperienze e quando ho cominciato a montare la storia tutto quel materiale mi è stato utile.
Un altro esempio: Stanno tutti bene. All’epoca vivevo a Roma, molto distante dal centro, quasi sul raccordo anulare. E avevo fatto un accordo con una trattoria lì vicino: mi facevano pagare poco e tutte le sere andavo a cenare lì. Ero appena arrivato, non conoscevo nessuno, non avevo amici. Una sera, dopo tante cene, scoprii un altro avventore che cenava da solo, un signore anziano con i capelli bianchi. Siccome in genere erano tutti camionisti, gente che avevo visto, questo signore mi colpì e chiesi al cameriere chi fosse. Mi rispose: Non lo so, ma sembra uno che viaggia. Non avevo mai notato capacità poetiche in quel cameriere e all’improvviso quella frase così ispirata… Ma perché sembra uno che viaggia? gli chiesi ancora. Perché ha la valigia sotto al tavolo. Confesso che per anni ho fatto questo gioco: doveva stava andando il signore con la valigia? Ho preso in considerazione trenta ipotesi diverse, finché si è fatta largo l’idea che andasse a trovare i suoi figli precedentemente emigrati e che non avesse preannunciato la sua visita. Il film l’ho fatto molti anno dopo.
Nel mio percorso c’è una lunga incubazione: da quando ho un’idea a quando faccio un film passano anche vent’anni. Unica eccezione: Una pura formalità che fu una folgorazione.
Anche La migliore offerta nasce da un’idea che avevo avuto nel 1984 che però non mi persuadeva del tutto e da un’altra idea – che ugualmente non mi persuadeva – che avevo avuto cinque anni prima del film. Poi innestandole una sull’altra, venne invece fuori la storia che ho realizzato.
La sconosciuta nacque quando avevo diciotto anni. Avevo letto di una piccola notizia di cronaca nera: una donna in Calabria era stata arrestata con il suo compagno perché aveva procreato un bambino su ordinazione. Mi chiedevo: ma se a questa donna, dopo sei, sette anni di carcere, quando esce le viene il desiderio di rivederlo questo bambino? Moltissimi anni dopo quest’idea mi tornò in mente, quando emerse quello che accadeva nel mercato delle nascite clandestine legato al traffico della prostituzione, mi si è aperto un mondo, ho indagato a lungo e poi…
Quindi, per me un’idea per essere buona, dopo molti anni, deve frullarti ancora in testa. Poi devi documentarti moltissimo e poi, forse, puoi scrivere un film. Se l’idea è macerata da tempo, scrivere diventa quasi un trascrivere: il film è già abbastanza formato nella tua mente. La scrittura diventa più felice o perlomeno meno dolorosa, perché la scrittura è un’esperienza dolorosa.
Uno scrittore famoso mi disse la stessa cosa: più a lungo pensi a una storia, più velocemente la scrivi. Meno la pensi, più tempo ti occorre per scriverla. Con tutte le eccezioni del caso, ovviamente.
Una breve intervista al TG1
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